Autori | Raviola, Alice B. |
Anno Compilazione | 2002 |
Anno Revisione | VERSIONE PROVVISORIA |
Provincia | Alessandria.
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Area storica | Monferrato (Casalese). Vedi mappa 1. Vedi mappa 2. Vedi mappa 3.
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Abitanti | 1639 (ISTAT 1999).
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Estensione | 19,22 kmq.
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Confini | A nord e a nord-ovest Ozzano Monferrato e San Giorgio Monferrato, a nord-est Casale, a est Terruggia, a sud Conzano, Camagna e Cella Monte.
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Frazioni | Uviglie; Airali; Stevani; S. Martino; Garriano superiore; Garriano inferiore; Colma; Berroni; Castagnoni; Monvillone; Montalbano; Minerva; cantone Roncaglia, presso Casale; cantone de’ Ronchi; Pozzano; loc. Canovella. Vedi mappa.
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Toponimo storico | Nella documentazione medievale il toponimo è attestato come «Ruxignanum», con alcune piccole varianti sin dalla prima testimonianza del 960 (Cartario alessandrino, vol. III, doc. 450), quali «Rosignanum»; «Roxignanum»; «Rusignanum». L’apposizione «Monferrato» è stata introdotta in seguito all’unificazione del Regno d’Italia per distinguere il luogo dal toscano Rosignano Solvay.
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Diocesi | Rosignano entrò a far parte della diocesi di Casale nel 1474, anno della sua fondazione; in precedenza apparteneva a quella di Vercelli.
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Pieve | Si ha testimonianza dell’esistenza di una pieve per la metà del XIII secolo: si tratta di un patto tra il pievano «plebis de Rusignano» e il priore di San Bartolomeo di Cellamonte (Documenti Capitolari del sec. XIII, doc. 47 del 1265 ca). Di difficile interpretazione, invece, è un documento del 1287 in cui si fa riferimento all’esistenza di una chiesa di S. Pietro di «virrobono» di Rosignano, sita nella diocesi di Vercelli, motivo di lite tra il cappellano di S. Aniano d’Asti e il canonico di Torcello (Documenti Capitolari del sec. XIII, docc. 410-11). Secondo Camillo Cappellaro, però, la più antica pieve di Rosignano sarebbe stata quella di S. Vittore fuori le mura, risalente all’XI sec. Se ne ha notizia, ad esempio, in un atto del 1153 con cui Uguccione, vescovo di Vercelli, intervenne a dirimere una controversia tra la pieve stessa e la vicina cappella di S. Giorgio. Ancora attiva nel XIV sec., la pieve cadde progressivamente in rovina e nel 1566, in occasione della visita pastorale di mons. Scipione d’Este, vescovo di Casale, l’edificio appariva completamente diroccato, sebbene vi fosse ancora un pievano (tal Gregorio Massazia) ad essa legato. Nonostante l’invito del vescovo, la pieve non fu restaurata, ma il culto di S. Vittore restò vivo nella chiesa paesana dei S. Vittore e S. Giovanni Evangelista e nella memoria degli abitanti del paese che continuano a preferirlo al più recente patrono San Bartolomeo (Cappellaro 1984, pp. 254-256; Chiesa 1988, p. 14).
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Altre Presenze Ecclesiastiche | La chiesa di Casale sembra avere dei diritti sul territorio («posse», «poderio») di Rosignano, come risulta da alcuni accensamenti di terre effettuati verso la fine del Duecento (Le carte dell’archivio capitolare, vol. II, docc. 323-25 del 1271 e doc. 361 del 1295). Interessante è il fatto che nel 1284 la stessa chiesa avesse rivendicato diritti sul territorio di Rosignano, ma questa volta sotto il controllo del podestà cittadino (Le carte dell’archivio capitolare, vol. II, doc. 347). Per il XIV sec. si ha notizia, invece, di una chiesa intitolata a s. Giovanni, che probabilmente va identificata con l’attuale oratorio di S. Antonio, già parrocchiale di S. Giovanni Evangelista (Cappellaro 1984, p. 256).
In età moderna, i luoghi di culto si moltiplicarono rapidamente. Secondo la visita pastorale di mons. Ignazio della Chiesa, del 1748, Rosignano ne contava 22: la parrocchiale di S. Vittore; Santa Maria del Carmine; S. Antonio abate, già San Giovanni Evangelista, parrocchiale sotto quest’ultimo titolo dal 1563 circa al 1653; l’oratorio degli Apostoli o di S. Pietro; le chiese campestri della Beata Vergine delle Grazie; di San Grato; di San Francesco; di S. Giacomo di Stevani; di S. Martino, S. Ludovico e San Luigi, nel cantone S. Martino; di S. Bartolomeo alla Colma; S. Pietro ai Berroni; dell’Annunziata a Castagnoni; S. Eusebio, presso il castello d’Uviglie; S. Lorenzo a Monvillone; S. Gerardo a Montalbano; S. Clemente a Minerva; S. Giuseppe nel cantone Roncaglia, presso Casale; S. Ludovico nel cantone de’ Ronchi; la cappella private del castello di Picco Gonzaga d’Uviglie; la chiesa dei Domenicani a Pozzano e quella dei Barnabiti in loc. Canovella (Cappellaro 1984, p. 249). Va segnalato che la chiesa di Santa Maria del Carmine era legata ad un convento di Carmelitani, soppresso nel 1653 e risalente al 1481 (Cappellaro 1984, pp. 260-268). Quanto alla presenza di confraternite, in occasione della visita pastorale del 1566 ne furono censite tre: di S. Michele (o degli Angioli); degli Apostoli (poi di S. Pietro); dei Verberati (o Disciplinanti, poi S. Antonio abate). Nel 1596 risulta attiva anche una Compagnia del SS. Sacramento; nel 1608 una del Carmine; nel 1627 una Compagnia del Rosario. Nel 1712 fu poi istituita la Confraternita dei settantadue sacerdoti (confratelli). Ottocentesche, invece, le compagnie degli Agonizzanti (1820) e della Dottrina Cristiana (1864) (ibid., pp. 276 sgg.; Rosignano Monferrato, in “Monferratoarte”, Associazione Casalese Arte e Storia. Sito web (2013)). |
Assetto Insediativo | Sito alla confluenza di tre torrenti, il Paradiso, il Rotaldo e il Gattola, il nucleo originario di Rosignano, che nel Medioevo era fortificato, sorge su un colle tufaceo a 280 metri slm. Numerose le borgate sparse (cfr. il lemma ‘Frazioni’).
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Luoghi Scomparsi | Alcune pergamene dell’archivio comunale, forse risalenti al marchese di Monferrato Guglielmo I, fanno cenno ad alcune indennità concesse a dei possidenti del luogo per la distruzione di case in favore della fortificazione del luogo. Più utile per comprendere la distrettuazione di Rosignano in età medievale è la necessità di delimitare i confini emersa nel 1331. Sappiamo come in precedenza il luogo fosse spesso associato a quello di Cellamonte; allora i due distretti vennero non solo separati fra loro ma anche distinti da quello di Frassinello con sentenza arbitrale. L’anno seguente si giunse anche alla divisione del territorio tra Rosignano e il comune di Ozzano [A.C.R.; Bernardi, Ricerche, cit., p. 17].
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Comunità, origine, funzionamento | Ancora prima di un’indicazione esplicita di organizzazione comunale, il luogo risulta fortificato con un presidio militare sulla rocca. Inoltre, in un documento di lite del 1466 fra il comune e alcuni nobili Pocaparte si allude all’esistenza di un atto più antico con il quale altri familiari si erano adoperati per la costruzione del castello e della città (Statuti inediti di Rosignano, doc. 8). Testimonianza indiretta di vendite di terre, in seguito a probabili trattative fra la collettività e i signori locali, si ha in un documento del 1379 che ricorda un atto di conferma dei patti fra i nobili e gli uomini di Rosignano, datato 1281, cui seguì l’approvazione di Tommaso di Saluzzo, governatore del Monferrato (Statuti inediti di Rosignano, doc. 11). La prima attestazione documentaria diretta dell’esistenza attiva di un organismo comunale è della fine del 1284, allorché il podestà – che risulta essere anche podestà di Cellamonte – compare in un riaccenso di terre, situate nel territorio di Rosignano, da parte della chiesa casalese (Le carte dell’archivio capitolare, vol. II, doc. 347). Tuttavia, la comunità di Rosignano non appare ancora completamente autonoma, poiché giurò fedeltà al marchese Guglielmo VII in cambio di franchigie e privilegi, i quali furono poi ampiamente ridotti dal successore, che tolse alla collettività il diritto di eleggere i propri ufficiali e di elaborare statuti. Questi ultimi furono invece redatti sotto Manfredo IV di Saluzzo, governatore del Monferrato, il quale non solo convocò quattro rappresentanti di Rosignano al parlamento di Trino, ma consentì agli uomini del luogo di reggersi con leggi proprie e propri magistrati e di poter disporre liberamente dei loro beni (Statuti inediti di Rosignano, doc. 1 del 1305). All’anno seguente risale l’effettiva stesura degli statuti, poi confermati nel 1307 da Teodoro I Paleologo cui la collettività giurò fedeltà (San Giorgio 1780, p. 95; Gabotto 1894, p. 54) e poi nel 1335, con la delega ai consoli dell’esercizio della giustizia minore; altri capitoli furono aggiunti nel corso degli anni fino al 1444. Nel 1320, al parlamento di Chivasso voluto dal marchese del Monferrato per l’organizzazione di un esercito, al comune fu attribuito l’obbligo di fornire 4 militi; una cifra elevata che testimonia l’importanza del luogo, anche se non risultano fra i convocati i deputati del comune. Queste notizie indicano con certezza l’esistenza in Rosignano di un comune solidamente organizzato e nel Trecento numerosi furono i contratti tra la collettività e le famiglie dominanti, frutto spesso di contrasti violenti e di interventi marchionali non sempre a vantaggio della comunità: una prima vendita di terre è ricordata implicitamente in un atto del 1348. In questo richiamo si fa riferimento, con tutta probabilità, anche alle concessioni marchionali relative ai primi statuti trecenteschi (Statuti inediti di Rosignano, doc. 8). Diversi altri documenti, invece, testimoniano in modo diretto tali vendite, che, è da sottolineare, comprendono anche la cessione di diritti giurisdizionali, seppure sotto il controllo del marchese. Nel 1379 alcuni rappresentanti di Rosignano furono presenti al parlamento convocato a Moncalvo da Ottone di Brunswick, reggente del marchesato.
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Statuti | Risalenti al 1306, ci sono giunti in due copie cinquecentesche (una del 1527, l’altra del 1581) e sono conservati presso l’archivio comunale (AC Rosignano, m. 211). Statuto comunale attuale (acquisito in data anteriore all'entrata in vigore della L. 265/99 e in attesa di aggiornamento). Vedi testo.
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Catasti | Si sono conservati un registro di consegnamenti del 1607 (AC Rosignano, m. 494); un registro catastale per gli anni 1718-1786 (AC Rosignano, m. 446); una vacchetta del 1779 [A.C.R., Mazzo 463]. Il primo catasto figurato è degli anni 1773-1775 (AC Rosignano, m. 721); il secondo è del 1783, riaggiornato poi nel 1815 (AC Rosignano, m. 505).
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Ordinati | Il primo registro conservatosi contiene verbali degli anni 1538-1551; per gli anni successivi, la serie non è del tutto completa ma copre ampi periodi (1569-1587; 1597-1606, ecc.; cfr. AC Rosignano, mm. 248 sgg.). Per il XVIII sec., poi, la serie è pressoché continuativa e si sono conservate anche le carte di età napoleonica.
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Dipendenze nel Medioevo | I domini loci di Rosignano e di altre località circostanti sembrano divenire sempre più dipendenti dai marchesi di Monferrato nel corso del secolo XIII (cfr. infra). Durante i secoli centrali del medioevo, Rosignano appare quale località importante all’interno del marchesato: oltre a quanto detto in precedenza circa gli statuti, in essa, ad esempio, Teodoro I si rifugiò nel 1308 durante la guerra contro Carlo d’Angiò. Nondimeno, il rapporto tra il comune organizzato e il marchese nel corso del Trecento conobbe fasi di contrasto, come ci ricorda una stipula del 1322. Si tratta di una «charta libertatis» o «pactorum» fra la comunità e marchese, il quale si arrogò il potere di nominare un castellano quale suo funzionario, a riconoscimento della sua piena sovranità, riservandosi inoltre il mero e misto imperio, la piena giurisdizione e i servizi regali dovuti anche dagli altri suoi sudditi, lasciando al comune il solo esercizio della giustizia sui reati minori. In cambio, egli concesse agli uomini di Rosignano importanti esenzioni fiscali e privilegi a svantaggio dei nobili locali, che vennnero in tal modo obbligati a contribuire agli oneri comunali e a riconoscere gli statuti confermati (Statuti inediti di Rosignano, docc. 6-7). Pochi anni dopo, a causa dell’invadenza del castellano nelle competenze comunali e del mancato pagamento dei tributi da parte dei nobili, il marchese si trovò costretto a concedere un indulto generale e a stabilire nuove convenzioni con i rappresentanti del comune a sostituzione di quelle del 1322 (Statuti inediti di Rosignano, doc. 6). Le sempre più numerose liti tra il comune e i nobili sono per la maggior parte risolte a favore del primo, fatto che denota i buoni rapporti instaurati tra l’organismo e il marchese: ancora nel 1338 Giovanni II conferma gli statuti e i privilegi agli uomini di Rosignano, che in cambio prestano giuramento. Analogo il comportamento di Ottone di Brunswick, Teodoro II nel 1382 e Gian Giacomo nel 1419 il quale, però, infeudò la castellania al nobile Bartolomeo della Sala e discendenti, sollevando il difficile problema della giustizia criminale. È proprio a partire da questo atto che i marchesi cominciarono a violare i patti stipulati con la comunità, nell’attuazione della loro politica di accentramento del potere contro le autonomie locali. Così, nel 1463 il marchese investì della podestaria di Rosignano un privato a pegno di un credito (Statuti inediti di Rosignano, doc. 19), violando un articolo degli statuti che attribuiva al marchese solo la scelta del podestà in una rosa di nomi proprosta dalla comunità. Questa stessa concessione fu confermata da Guglielmo VII nel 1472, sempre in cambio di un mutuo.
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Feudo | Nel corso del Medioevo, il luogo risulta infeudato a numerose famiglie: la testimonianza più antica risale al 960, anno in cui l’imperatore Ottone I donò diverse corti in vari luoghi del Monferrato ai Colombi conti di Cuccaro, fra cui lo stesso «Ruxignanum» (Cartario alessandrino, vol. III, doc. 450). Per il secolo XII si hanno documenti che attestano l’esistenza dei signori dei due luoghi di Rosignano e Cellamonte, che in seguito ebbero in comune anche il podestà: alla famiglia Cuccaro subentrarono la famiglia Cane e i loro consorti Rossi, investiti da Enrico V nel 1116 dei due feudi (San Giorgio 1780, p. 29; Guasco 1911).
Sembra crearsi così una sorta di consortile di più famiglie locali unite per l’amministrazione dei diritti feudali su diversi castelli; i loro rapporti di dipendenza dai marchesi di Monferrato si rafforzarono nella seconda metà del Duecento, finché, verso il 1270, i diversi condomini donarono a Guglielmo VII metà dei rispettivi possedimenti – fra cui Rosignano – per esserne reinvestiti (Gentile 1963, p. 86). Nel 1408 il castello e giurisdizione di Rosignano furono infeudati a Bartolomeo della Sala (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 60, fasc. 1). Nel corso del secolo e nei due successivi accumularono beni feudali in Rosignano anche altre famiglie, tra le quali Gambera, i de Maria, i Guaita, i della Torre, i Bobba, i Valle, i Picco Pastrone (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 60, fascc. 2-14). Nel XVIII secolo, la maggior parte delle porzioni di Rosignano furono infeudate ai Grisella (Manno 1895-1906; Archivio De Conti). |
Mutamenti di distrettuazione | Dall’assegnazione del marchesato di Monferrato ai Gonzaga (1536) all’estinzione della dinastia (1708) e al passaggio del ducato ai Savoia, Rosignano continuò a far parte della provincia di Casale. In età napoleonica venne incluso prima nel dipartimento del Tanaro (Alessandria) del 1799, poi in quello di Marengo, creato nel 1801. Costituito capoluogo di mandamento, Rosignano conservò il ruolo anche in seguito alla Restaurazione, tornando peraltro a far parte della provincia di Casale. In epoca fascista confluì nell’attuale provincia di Alessandria.
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Mutamenti Territoriali |
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Comunanze | Nessuna notizia.
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Liti Territoriali |
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A.C.C. (Archivio Storico del Comune di Casale Monferrato).
A.C.C., Archivio De Conti, Mazzo 8, fasc. 119, Memorie compendiose sullo stato delle abbadie e castelli dell’odierno circondario di Casale esibito per la statistica nel 1811 (ms. s.d., autografo di Giuseppe De Conti. A.C.R. (Archivio Storico del Comune di Rosignano Monferrato).
Riordinato nel 1985 da C. Cappellaro). A.S.T. (Archivio di Stato di Torino):
A.S.T., Corte, Paesi, Paesi per A e B, R, Mazzo 25. A.S.T., Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, Mazzo 60. A.S.T., Sezioni Riunite, I archiviazione, Tributi del Monferrato, m. 1; A.S.T., Sezioni Riunite, II archiviazione, capo 79, Statistica generale, m. 6, Stato delle città e terre della provincia di Casale (s.d. ma post 20 maggio 1755). B.N.F. (Bibliothèque nationale de France). Vedi catalogo. B.N.F., département Cartes et plans, CPL GE DD-2987 (5042), Estats du duc de Savoye ...sous le nom de Piémont...le duché de Montferrat.... par le Sr Sanson d'Abbeville, chez Pierre Mariette (Paris), 1665 [Sanson, Nicolas (1600-1667). Cartographe]. Vedi mappa. B.N.F., département Cartes et plans, GE DD-2987 (5054 B), La principauté de Piémont, les marquisats de Saluce et de Suze, les comtés de Nice et d'Ast, le Montferrat / dediée au roy par son très humble, très obéissant, très fidèle sujet et serviteur H. Jaillot, géographe de sa Majesté, [chez l'auteur] (A Paris), 1695 [Jaillot, Alexis-Hubert (1632?-1712). Cartographe]. Vedi mappa. B.N.F., département Cartes et plans, CPL GE DD-2987 (5043), Le Piémont et le Montferrat avecque les passages de France en Italie ... / Par P. Du Val, Chez l'Autheur (A Paris), 1600-1699 [Duval, Pierre (1619-1683). Cartographe]. Vedi mappa. | |
Bibliografia | Boltri C., Rosignano Monferrato, Torino 1940.
Cappellaro C., Rosignano Monferrato. Delle cose sulla storia, Alessandria 1984.
Le carte dell’archivio capitolare di Casale Monferrato fino al 1313, a cura di F. Gabotto, U. Fisso, Pinerolo 1907-1908 (BSSS 40 e 41).
Casalis G., Dizionario geografico storico-statistico commerciale degli Stati del Regno di Sardegna, Maspero, Torino 1833-1856, 28 voll., vol. 16, ad vocem.
Chiesa C., Chiesa e villaggio: la “comunitas” di Rosignano dal XV al XIX secolo, tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Scienze politiche, A. A. 1987-1988, relatore prof. R. Davico (datt. presso la Biblioteca “Gioele Solari”).
De Bernardi P., Ricerche storico-giuridiche sugli statuti di Rosignano, tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Giurisprudenza, 1969, relatore prof. M. Viora (datt. presso la Biblioteca della Provincia di Torino).
Documenti capitolari del secolo XIII, a cura di A. M. Cotto Meluccio, P. Paquino, Asti 1987.
Gabotto F., Storia del Piemonte nella prima metà del secolo XIV, Torino 1894.
Gentile G., Gli statuti di Fubine, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Giurisprudenza, 1963, relatore prof. M. Viora (datt. presso la biblioteca della Provincia di Torino).
Guasco Di Bisio F., Dizionario feudale degli antichi Stati Sardi e della Lombardia, Pinerolo 1911 (BSSS 54-58).
Manno A., Il patriziato subalpino. Notizie di fatto storiche, genealogiche, feudali ed araldiche desunte da documenti, Civelli, Firenze 1895-1906, 2 voll. e 27 dattiloscritti, vol. I, ad vocem.
Memorie sopra la festa della Madonna dell’assalto che si celebra solennemente in Rosignano Monf. il 21 aprile d’ogni anno, Casale 1900.
Raviola B.A., Il Monferrato gonzaghesco: istituzioni ed élites di un “micro-stato” (1536-1708), tesi di dottorato in Storia della società europea in età moderna (XIII ciclo), Università degli Studi di Torino, 1998-2001, coordinatore prof. L. Allegra, tutor prof. G. Ricuperati.
Rosignano Monferrato, in “Monferratoarte”, Associazione Casalese Arte e Storia (2013). Vedi testo.
San Giorgio B., Cronaca del Monferrato, Torino 1780 (edizione a stampa a cura di F. Vernazza).
Statuti inediti di Rosignano, a cura di O. Nicodemi, Alessandria 1910 (BSSS 87).
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Descrizione Comune | Rosignano Monferrato
Grazie alla ricchezza della documentazione dell’archivio storico comunale e all’interessamento dell’erudito Oreste Nicodemi nei confronti del testo statutario del 1306, gli studi su Rosignano sono più numerosi di quelli relativi ad altre località del Basso Monferrato Casalese. Pur trattandosi di lavori di carattere localistico – da quest’approccio si discosta lievemente solo la tesi di laurea di Cesare Chiesa – in essi si mettono giustamente in luce l’importanza rivestita da Rosignano nel Medioevo e la solidità della sua organizzazione comunale.
Come si è anticipato, non si possiedono notizie certe sull’origine del comune, ma l’esistenza di una rocca fortificata e di una pieve duecentesche consentono di situarla con una certa sicurezza nel XIII secolo almeno. All’epoca l’autonomia goduta dagli abitanti del luogo non era piena, dal momento che essi erano soggetti a legami di dipendenza con un consortile dominato dalla famiglia Pocaparte e con il marchese di Monferrato Guglielmo VII cui prestarono un giuramento di fedeltà. Tuttavia, le prerogative comunali andarono via via crescendo fino all’elaborazione degli statuti, realizzata, non a caso, in un momento di momentanea fragilità del potere dei Paleologo che avevano delegato a Manfredo IV di Saluzzo il governo del loro dominio. Già nel 1307, comunque, Teodoro I Paleologo ne riprese possesso ottenendo un nuovo giuramento di fedeltà da parte della comunità rappresentata da esponenti dell’élite locale quali gli stessi Pocaparte, i Galardo, i Cavalerio, i de Regibus, i Massazia, tutti iniziatori di vere e proprie dinastie di notai attivi in loco (Cappellaro 1984, p. 71). Tra i 159 capitoli degli Statuti, decisamente conformi a quelli di altre località vicine, si può ricordare quello che istituiva una fiera annua da tenersi nel giorno di san Bartolomeo, chiaro indizio della strategicità anche economica rivestita dal villaggio fortificato (Cappellaro 1984, p. 219). Altri segnali di tale importanza vanno ravvisati nelle rivendicazioni della chiesa casalese nei confronti del territorio di Rosignano e nell’obbligo di fornire 4 militi imposto alla comunità nel 1320. Sempre dello stesso anno è un accordo tra la comunità e il marchese dal quale risulta che pochi anni prima i sindaci del comune avevano comprato dai nobili Nicolengi di Cellamonte – col consenso del marchese – ogni diritto loro spettante per mero e misto imperio su uomini e cose di Rosignano, con l’intento di affrancare tutti gli abitanti un tempo sottoposti ai suddetti signori. Il comune poteva dunque concedere immunità ed esenzioni, oltre che vendere in allodio a privati le terre riscattate dalla famiglia Nicolengi (Statuti inediti di Rosignano, doc. 2), e imporsi quale controparte per il controllo del proprio territorio. Dei contrasti con le famiglie dominanti per ottenere il pagamento delle tasse ci sono giunte del resto numerose attestazioni documentarie per tutto il secolo XIV (Statuti inediti di Rosignano, docc. 10-12). Nella maggior parte dei casi le contese furono risolte dai marchesi a favore della comunità, ma va detto che anche i rapporti con i sovrani non furono sempre lineari. La charta libertatis del 1322 (cfr. il lemma ‘Dipendenza nel Medioevo’) è lo specchio delle tensioni che videro contrapposte le due autorità nella lotta alla conquista di prerogative sempre più accentuate. Un cauto equilibrio fu raggiunto, come altrove, con la progressiva cessione di diritti giurisdizionali alla dinastia regnante in cambio di privilegi di carattere fiscale. Inevitabilmente, però, il peso della giurisdizione marchionale prese il sopravvento e l’intensificarsi di contrasti con i signori locali accertabile per il XV secolo mostra come il problema della nomina del podestà e, di conseguenza, dell’amministrazione della giustizia fosse divenuto centrale. Il fatto che i marchesi si schierassero spesso a favore della comunità significa sì che i dissapori si erano sopiti, ma anche che i primi avevano interesse a indebolire l’eccessivo potere delle famiglie signorili del luogo. Tra queste spicca ancora una volta quella dei Pocaparte, renitenti al pagamento delle taglie (AC Rosignano, doc. 38 del 1401; doc. 44 del 1437; docc. 45-46 del 1440). Solo nel 1441, dopo un quarantennio di liti, Facino Pocaparte accettò di riconoscere le norme statutarie di Rosignano, ma si trattò di un accordo di breve durata, già infranta da Antonio, Bartolomeo e Guglielmo Pocaparte nel 1466 (AC Rosignano, doc. 53). I contrasti si protrassero fino alla fine del secolo e furono parzialmente riassorbiti solo negli anni finali della dominazione paleologa, durante i quali il comune riconquistò parte delle prerogative perdute. Un altro casato con cui il comune entrò in conflitto fu quello dei Cane, tra i più in vista nell’entourage della corte paleologa, e proprietari di numerosi beni feudali in Rosignano: le «cavillationes et subterfugia» da essi messi in atto per non contribuire ai carichi fiscali diedero vita ad una lite nel 1416 (AC Rosignano, doc. 37). L’intensa attività della comunità è testimoniata anche dalla ridefinizione dei confini territoriali messa a punto sempre nel corso del XV secolo: nel 1407, infatti, fu fissata la linea di confine tra Rosignano e Camagna (AC Rosignano, docc. 39-40) e nel 1435, dopo una lunga lite, il giurista Enrichetto Natta, vicario generale del marchesato, stabilì che il torrente Rotaldo avrebbe segnato il confine tra Rosignano e Conzano (AC Rosignano, doc. 42). Anche il Liber viarum fatto compilare nel 1464 dal nuovo podestà Lionello Brixia, di Occimiano, va letto nell’ottica della risistemazione della rete stradale locale e, di conseguenza, dei confini delle proprietà comunali (Cappellaro 1984, p. 85). I giuramenti di fedeltà prestati ai marchesi di Monferrato nel 1419 e nel 1464 sancirono peraltro il consolidamento dell’autorità marchionale sul luogo e finirono con l’autorizzare implicitamente l’infrazione degli Statuti cui sia Giovanni IV sia Guglielmo VIII pervennero vendendo la carica di podestà al miglior offerente. La acquistò, per 200 fiorini milanesi e con facoltà di trasmetterla agli eredi, il sopra menzionato Brixia privando per decenni la comunità della facoltà di presentare al sovrano la consueta rosa di tre nomi dalla quale doveva essere scelto il giudice locale (AC Rosignano, doc. 54 del 1472). Solo nel 1508, in un momento in cui Guglielmo IX stava tentando di riorganizzare l’amministrazione della giustizia in Monferrato rinnovando le istituzioni casalesi e avvalendosi di podestà esperti sul territorio (Raviola 2001), Rosignano poté ricomprare il diritto di presentare la rosa, pagandolo 300 ducati d’oro (AC Rosignano, doc. 59 del 2 novembre 1508). L’anno successivo fu la volta del diritto del forno, comprato per 200 scudi d’oro del sole al fine di fornire agli abitanti del paese la possibilità di panificare senza vincoli fiscali (AC Rosignano, doc. 602). Camillo Cappellaro, cui si deve lo scrupoloso riordino dell’archivio e la scrittura di un libro assai meno preciso, legge questi episodi ironizzando sull’inesorabile perdita di autonomia comunale del paese. Essi, in realtà, vanno inseriti nel più ampio contesto del progressivo consolidamento del Monferrato quale realtà (proto)statale indipendente, contraddistinta da una maggiore capacità di raccordo del centro (in questo caso la capitale Casale) e dall’incremento del prelievo fiscale conseguito con mezzi diversi. Solo così si spiegano peraltro le numerose infeudazioni subite dallo stesso Rosignano a partire dal XV secolo: dall’investitura a Bartolomeo della Sala del 1408 alla vendita di beni feudali concessa a esponenti dell’élite locale (Caprioglio, Pocaparte, Scalma, Luparia) alle infeudazioni di epoca gonzaghesca a favore dei Gambera, dei della Porta, dei Paltro, dei Radicati, dei Grisella (Manno 1895-1906; Cappellaro 1984, p. 130). La frammentazione politico-giurisdizionale del territorio di Rosignano è proprio il dato da cui partire per analizzare le vicende di Rosignano in età moderna, periodo durante il quale l’avvento dei Gonzaga riacutizzò le antiche tensioni tra la comunità, ormai gestita da un’élite piuttosto definita, e il potere centrale. Non è un caso, ad esempio, che le due copie pervenuteci degli Statuti del 1306 risalgano entrambe al XVI secolo e, per la precisione, ad anni di mutamenti politici più o meno imminenti: la prima, infatti, è del 1527, di poco anteriore all’estinzione dei Paleologo (1533), e la seconda, del 1581, fu redatta nel momento di maggiore maturità dell’operato accentratore di Guglielmo Gonzaga (Raviola 2001). Tra le due date Rosignano aveva vissuto momenti drammatici, culminati nell’occupazione francese del biennio 1554-1555 e nello smarrimento (furto?) dello scrigno in cui il consiglio municipale conservava i suoi documenti più preziosi (Cappellaro 1984, p. 9). L’evento aveva scatenato le pressioni dei signori locali, decisi a non riconoscere la copia del 1527 e solo grazie a quella, forse più rigorosa, del 1581 la comunità poté sostenere senza perdere del tutto alcune delle sue prerogative le cause che la contrapposero per un decennio ai feudatari (1580-1590). Negli anni Sessanta del secolo – cruciali per le sorti dell’intero marchesato – si erano verificati anche scontri tra i consiglieri e gli abitanti dei ceti inferiori del paese. Lo dimostrerebbe il processo cui fu sottoposto tal Antonio Roverio, reo di aver apostrofato il consigliere Domenico Marisio con parole di denuncia: «Voi altri del Consiglio siete dei traditori, mandate li poveri homini a fare il bosco al Torcello, ma di voi non mandate nessuno e vi comportate così anche in tutto il resto» (Cappellaro 1984, p. 59). L’accusa metteva a nudo la parzialità delle scelte dei consiglieri in materia fiscale e offre anche un indizio della difficoltà incontrata dal consiglio nel far fronte ai crescenti carichi imposti dal centro. Per questo, nota Cappellaro, molti furono i consiglieri eletti che, nel corso del Cinquecento (ma non solo), rinunciarono alla delega (Cappellaro 1984, p. 60). Nonostante questo, il potere municipale rimase saldo nelle mani delle solite famiglie. Come osservava un anonimo funzionario ducale nel 1606, i 10-12 membri del consiglio locale continuavano a eleggersi l’un l’altro («si danno gentilmente l’un l’altro le palle in mano») di modo che «governano quasi sempre li medesimi dal che vengono poi […] tutti gl’altri mali» (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 60, fasc. 22). Tra questi andavano elencati la sperequazione fiscale a «danno notabile de’ poverelli»; la tenuta disonesta dei conti esattoriali con «mille spese imbrogliate»; lo scialacquio del denaro pubblico («70, 80 o 100 scudi in malvasia et altre cose donate a persone illustri»); l’abuso dell’imposizione di «taglie di ugualanza» puntualmente addossate sui meno abbienti; la corruzione degli esattori. Gli ovvi rimedi suggeriti al duca Vincenzo I erano quelli di riformare il consiglio, di sostituire gli esattori ricuperandone i debiti, di multare pesantemente i contravventori e di tassare i consignori del luogo, riducendo inoltre le loro prerogative giurisdizionali. Tutti consigli che, specie l’ultimo, erano destinati a rimanere per lo più lettera morta. Negli anni seguenti, infatti, le pretese dei feudatari locali si accentuarono e la comunità, sempre mal regolata, entrò in aperto contrasto con il conte Pastrone, che si comportava «come fosse padrone assoluto di quel feudo», e con Fabio e Antonio Torre, tutti eredi di alcune porzioni di giurisdizione del feudo grazie ad accorti matrimoni con i Bobba. Nel 1618 la comunità chiese addirittura che il Senato revocasse l’investitura concessa ad Antonio della Torre qualche anno prima. La relazione stilata in quell’occasione offre notizie preziose sullo stato di Rosignano al termine della prima guerra di Monferrato: la detta terra è distante da questa cità solamente 4 miglia et il suo territorio confina immediatamente col territorio d’essa cità. Fa essa terra anime 1050; paga ogn’anno alla camera di V. A. per l’ordinario scuti 510 d’oro, altri scuti 460 simili per il tasso della citadella et altri scuti 181 per la dote della serenissima duchessa di Lorena [sorella del duca]. Ha privilegio concessogli dal serenissimo sig. duca Vincenzo, padre di V. A […], di far ogn’anno una fiera, cioè alla festa di s. Bartolomeo, che dura per tre giorni doppo essa festa, et per l’istesso privilegio fa […] anco il mercato per un giorno d’ogni settimana, cioè ogni martedì.
Considerato, dunque, che la località era piuttosto florida e che i feudatari, in virtù dell’accordo tra la comunità e il marchese del 1508, non potevano vantare sulla stessa il diritto di esercitare la giustizia, i senatori proposero di esaudire la richiesta dei rosignanesi (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 60, fasc. 10, 8 settembre 1618) e Ferdinando Gonzaga, in cambio di 500 doppie d’oro, acconsentì promettendo di non alienare più Rosignano (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 60, fasc. 11, 19 ottobre 1618).
L’accordo restò valido per circa cinquant’anni, durante i quali il paese subì drammaticamente le incursioni degli eserciti spagnoli e francesi impegnati nella seconda guerra di Monferrato e nella guerra dei Trent’anni. Nel 1670, però, Rosignano risulta in possesso del marchese Vittorio Bobba che, nello stesso anno, vendette il feudo al barone torinese Pietro Valle per 11.000 lire piemontesi (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 60, fasc. 13). La conferma dei privilegi chiesta e ottenuta nel 1671 (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 60, fasc. 15) non fermò le infeudazioni del luogo che interessarono poi il marchese mantovano Luigi Canossa, il conte Giacomo Antonio Picco e, al principio del Settecento, la famiglia Grisella e vari esponenti dell’élite locale (Caprioglio e Imarisio in particolare). Dal punto di vista economico, gli ultimi anni della dominazione gonzaghesca in Monferrato, contraddistinti dalle campagne militari della guerra della Lega d’Augusta, furono per Rosignano assai pesanti. Secondo una relazione del vicepresidente del Magistrato camerale Tullio Berti, la comunità era stata tra le più danneggiate dello Stato con l’abbattimento di «180 tra case e cassine, stimate scudi 36.400» (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 60, fasc. 18, 1684). Tra il 1691 e il 1697 Rosignano aveva ospitato vari presidi accumulando un debito di 7843 doppie (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 60, fasc. 23) e nel 1713, al termine della guerra di Successione spagnola, il debito era salito a 27.500 ducatoni, ridotti a 22.500 nel 1725 (AST, Camera dei conti, prima archiviazione, m. 1, fasc. 7). Lievi i miglioramenti registrati dall’Intendenza di Casale a metà Settecento: la giurisdizione locale era ancora frantumata in dieci porzioni e i beni ecclesiastici immuni erano numerosi (621 moggia su un territorio di 4560, per un valore di £ 3000). La fiera e il mercato settimanale del martedì erano un antico ricordo, dal momento che «non v’era alcun commercio». I 1300 abitanti, suddivisi in 260 fuochi, vivevano sostanzialmente di agricoltura, producendo in abbondanza solo vino (34.200 carra all’anno) e frumento. I debiti ammontavano a 1909 lire, i tributi a 8315, mentre l’«importare de’ fumanti» garantiva la modesta entrata di 415 lire all’anno (AST, Camera dei conti, seconda archiviazione, capo 79, m. 6). Per agevolare la ripresa dell’economia locale e per razionalizzare il prelievo fiscale, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo si procedette a una nuova catastazione. Le operazioni erano iniziate nel 1766, dopo che la comunità aveva richiesto l’intervento delle autorità sabaude per fissare i confini di Rosignano (erano ancora poco chiari, ad esempio, quelli con Cella). Nel 1781, secondo i dati raccolti, il territorio comunale era cresciuto da 4560 a 5857 moggia; i beni immuni erano stati ridotti da 653 a 545 moggia, solo 260 delle quali di proprietà ecclesiastica. L’attività vitivinicola continuava a essere preponderante, ma furono incentivate anche colture ortofrutticole di altro tipo (legumi, alberi da frutto…) e attività di altra natura quali lo sfruttamento delle cave di tufo di cui il territorio è ricco. Parallelamente a questo risanamento economico-finanziario, furono rimodellate anche le istituzioni amministrative: secondo il regolamento dei Pubblici (1775) il consiglio fu ridotto a 5 membri, poi accresciuti di due dato il trend demografico positivo manifestato dal paese sul finire del XVIII sec. La popolosità di Rosignano, tra l’altro, fece sì che, in età napoleonica, il luogo divenisse capoluogo di cantone e di mandamento, punto di riferimento obbligato per i vicini comuni di Frassinello, Vignale, Ottiglio, Sala, Treville, Ozzano, Cella, San Giorgio e Terruggia (Cappellaro 1984, p. 149). La risistemazione della rete stradale messa a punto nel corso dell’Ottocento contribuì ad accrescere l’importanza del centro agricolo, venuta poi progressivamente meno con l’occasione mancata della ferrovia (per la costruzione della stazione fu preferito il vicino San Giorgio) (Cappellaro 1984, pp. 229 sgg.). Resta da considerare brevemente il ruolo giocato dalla frammentazione giurisdizionale e territoriale – Rosignano contava diverse borgate e frazioni – sulle abitudini cultuali degli abitanti. Come si è visto (cfr. il lemma ‘Altre presenze ecclesiastiche’), il paese abbondava di luoghi di culto sin dal Medioevo. I santi verso i quali era rivolta la devozione popolare erano due, san Vittore e san Bartolomeo, titolare il primo dell’antica pieve e della prima parrocchia e protettore il secondo della fiera paesana. A partire dal XVI secolo, tuttavia, le esigenze cultuali si moltiplicarono rapidamente, dando vita alla costruzione di numerose cappelle campestri e chiesette legate alle singole borgate o alle confraternite attive in paese. L’intreccio tra queste ultime e le famiglie più in vista dell’élite locale si fece più intenso, rendendo assai stretti i rapporti tra gli abitanti e il clero locale (Chiesa 1988). In alcuni casi, la comunità difese le prerogative dei parroci contro le pretese signorili: fu quanto accadde, ad esempio, nel 1650 quando il consiglio si scagliò contro il conte Francesco Picco Pastrone «qual non tralascia modi per privare quel povero popolo del beneficio che assiduamente riceve dalla servitù del prevosto G. B. Fava già sono 35 anni, non meno nelle cose spirituali quanto temporali» (AST, Corte, Paesi, Monf., Feudi per A e B, m. 60, fasc. 23). Ma il momento fondante dell’identità di Rosignano in Antico Regime fu senza dubbio l’episodio della resistenza opposta dal paese alle truppe spagnole nel 1640: in seguito alla cacciata degli assedianti (avvenuta il 21 aprile di quell’anno e celebrata dal cronista casalese Giovanni Domenico Bremio e dalla storiografia locale [Cappellaro 1984, p. 119]), la comunità stabilì di celebrare ogni anno una festa dedicandola alla Madonna dell’Assalto (Memorie). La tradizione proseguì inalterata per quasi due secoli, fino a che, a nel 1848, «in clima di tensione rivoluzionaria», il consiglio decise di non presenziare più ufficialmente alle celebrazioni (Cappellaro 1984, p. 121). In seguito, nonostante una riappacificazione del 1915, i rapporti tra il consiglio comunale e il clero si raffreddarono fino a giungere a una vera e propria frattura nel 1941 quando, per esigenze belliche, il podestà fascista, il sindaco e i consiglieri requisirono la campana della parrocchiale per farla fondere (Chiesa 1988, p. 49). |