Autori | Guglielmotti, Paola |
Anno Compilazione | 1998 |
Anno Revisione | In aggiornamento |
Provincia | Asti
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Area storica | Monferrato. Vedi mappa 1. Vedi mappa 2.
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Abitanti | 394 al censimento del 1991.
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Estensione | 919 ettari.
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Confini | Il territorio di Bruno, di un’altitudine compresa tra i 114 e i 250 metri sul livello del mare, confina, procedendo da nord in senso orario, con quelli di Bergamasco, Carentino, Mombaruzzo e Castelnuovo Belbo.
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Frazioni | Non sono dichiarate, ma vi sono case sparse. Vedi mappa.
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Toponimo storico | Brunum, come appare dall’atto del 1247 sotto citato.
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Diocesi | Acqui Terme.
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Pieve | Le fonti reperite non consentono di chiarire da quale pieve eventualmente dipendesse l’antica parrocchiale di Bruno.
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Altre Presenze Ecclesiastiche | Al di fuori del concentrico comunale, in direzione del Bosco delle sorti, si trova la chiesetta della Misericordia, ascritta al secolo XV. La visita pastorale del 1577 parla di un’antica parrocchiale dedicata a san Bartolomeo, ancora funzionante, ma mette in maggior rilievo quella di S. Maria; è citato anche un oratorio dei disciplinati (Archivio Vescovile di Acqui Terme, Visite pastorali, Fasc. I-B/C, Visita di G. Pegazzoni, vescovo di Bergamo, ff. 114-115). Quanto meno a fine Settecento è attiva anche la Compagnia della Santissima Annunziata (di cui esistono due registri del 1789 e 1793 in A. S. A., Enti ecclesiastici). Materiale tardo ottocentesco relativo a una congregazione di Carità è presente nell’Archivio Comunale (anche se un inventario settecentesco dell’Archivio – vedi alla voce Fonti – parla di un libro della congregazione datato 1721).
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Luoghi Scomparsi | Non è stata reperita documentazione adeguata.
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Comunità, origine, funzionamento | Il comune di Bruno è attestato nel 1247 – ed è questa anche la prima attestazione del luogo – perché i suoi due consoli intervengono insieme ai rappresentanti altri comuni limitrofi nella gestione indivisa di un bosco estesissimo, senza peraltro far riferimento ad autorità signorili locali (A. S. T, Corte, Paesi Monferrato Confini, vol. B, n. 9).
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Statuti | Negli anni ‘30 del Novecento si danno come mai rintracciati (ASTORI 1938, p. 6).
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Catasti | L’inventario sopra citato ricorda un primo catasto in pessime condizioni, corredato da un sommarione datato 1652, e un altro del 1725. Una mappa del catasto francese è in A. S. T., Camerale, Catasti [A, portafolio 106; G, fasc. 112]. Un “Libro delle mutazioni” del 1870 e un “Libro corrente dei trasporti” relativo al 1883-1942 sono in A. S. At., Catasti antichi.
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Ordinati | Dal secolo XVII (ma le cartelle recano la dicitura “delibere”), con una certa completezza.
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Dipendenze nel Medioevo | A Bruno la chiesa di Acqui non pare avere solo competenze ecclesiastiche, ma avere assunto anche qualche prerogativa signorile. Nel 1308 infatti il vescovo Otto conferma a favore di Ruffino e Enricacio Malecalciato e Oberto Tedisio di Mombaruzzo l’investitura di decime sulle sue terre in una serie di luoghi tra cui Bruno, che già era stata attuata ai predecessori dei tre personaggi nel 1251 dal proprio predecessore, il vescovo Guglielmo (Le carte medievali della Chiesa d’Acqui, a cura di R. PAVONI, Genova 1977, Collana storica di Fonti e studi, 22, n. 244, pp. 393-394).
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Feudo | Nel 1349 Bruno è citata quale feudo del marchese di Monferrato, nel contesto dell’infeudazione del castello e del villaggio di Rocchetta Palafea da parte del vescovo e “conte” di Acqui, Guido di Incisa, a Giovannardo e Alberto, marchesi di Incisa (Le carte medievali cit., n. 267, pp. 432-433). Le informazioni reperibili sull’età moderna lasciano ampi periodi scoperti. Risale al 1577 la supplica rivolta da Orazio Faa al duca di Monferrato per ottenere il beneplacito di erigere una primogenitura sopra il feudo di Bruno, che riceve decreto favorevole (A. S. T., Corte, Monferrato Feudi, m. 8, n. 1). Nel 1647 il paese dovrebbe essere ancora in mano alla famiglia Faa, dal momento che ha luogo una consulta sopra l’investitura e prerogativa del feudo di Bruno richiesto per il conte Ferdinando Faa dalla sorella, la marchesa Camilla Gonzaga (ivi, n. 3). Il possesso di Bruno è contestato negli anni ‘90 del secolo XVII da un esponente della famiglia Scarampi, che affermano che il feudo era stato occupato dagli antenati dell’allora marchese Ferdinando Faa e dall’abate di Carentino, suo zio, peraltro accusati di aver reagito con «oppressioni, omicidi e minacce» (ivi, n. 5).
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Mutamenti di distrettuazione | Durante il governo francese fa parte prima del Dipartimento del Tanaro e poi, dopo il 1808, di quello di Montenotte, Arrondissement di Acqui; sotto il governo sabaudo rientra nel mandamento di Mombaruzzo, della provincia di Acqui, fino alla costituzione della provincia di Asti, nel 1935.
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Mutamenti Territoriali | Non è accertabile quale esito abbia avuto una contesa con la più settentrionale comunità di Bergamasco, che nel 1671 accusa la comunità di Bruno di voler dilatare il suo territorio, a quanto si comprende in «contrata di Caminà», di 13 stare di terra limitrofe al fosso della Leuretta (o Lepretta) e adiacenti alla parallela via vicinale, tangente alla strada ducale che va da Bruno a Bergamasco: si tratterebbe della strada vicinale che gli uomini di Bergamasco usano per recarsi ai propri boschi. L’atto è completato da un tipo disegnato da un agrimensore. La comunità di Bergamasco chiede a quella di Bruno di rimuovere una croce, usata come termine confinario, che era stata spostata (A. S. Al., Senato del Monferrato, Atti di Lite, f. 124, n. 7). Risalgono al 1788 degli atti, ora perduti, nell’Archivio Comunale di Mombaruzzo (n. 2 in m. 1: Cat. I, Classe I, Confini) relativi alla liquidazione dei confini tra la comunità di Mombaruzzo e quelle di Ricaldone, Quaranti, Fontanile, Nizza, Incisa, Castelnuovo Belbo, Carentino, Gamalero, Cassine, Maranzana e Bruno stessa.
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Comunanze | La documentazione relativa ai beni comuni è abbondante e dispersa, ed è opportuno riferire per sommi capi i problemi relativi al loro sfruttamento, in cui non sembrano interferire i signori e feudatari locali. Bruno partecipa, come attestato già nel 1247, alla gestione indivisa di un bosco da parte degli abitanti di più luoghi, cioè di Cassine, Mombaruzzo, Maranzana, Alice, Ricaldone; sono confinanti del bosco gli «homines» della stessa Bruno, e poi di Gamalero, Quaranti, Mombaruzzo, Maranzana e Cassine (si vedano le schede di questi altri comuni). Si sottoscrivono accordi relativi alla preservazione del bosco e al suo uso solo da parte di uomini delle comunità citate e si prevede inoltre che qualora gli uomini di uno dei villaggi citati volessero vendere il bosco ciò dovrà avvenire previlegiando come acquirenti gli appartenenti a una comunità del medesimo “quarterio”. Non è tuttavia ricavabile a quale “quarterio” appartenga Bruno (A. S. T, Corte, Paesi Monferrato Confini, vol. B, n. 9); tracce del lungo possesso del bosco da parte di alcuni di quei villaggi sono rimaste nelle attuali isole amministrative di Alice (Bel Colle) e di Ricaldone, mentre per Bruno la sopravvivenza di quell’estensione boschiva è da identificare con i Boschi delle sorti, una regione del territorio comunale situata in direzione di Mombaruzzo.
Il fatto che la confraria di “San Spirito” – altrove di solito di origine medievale – figuri esclusivamente nella visita pastorale del 1577, sopra citata, ci preclude la possibilità di osservarne il contributo alla vita della comunità e alla gestione dei suoi beni, come invece sembra avvenire nella vicina Maranzana con la Congregazione di Carità. Vediamo però attiva un’altra associazione a carattere devozionale. Ciascuno di coloro che possono fruire del Bosco delle sorti ha l’obbligo di devolvere una parte della tagliata alla Compagnia del Santissimo Sacramento (per il mantenimento della lampada votiva), secondo quanto riferito da un testimone interrogato nel 1713 in una delle tante vertenze che, come si può vedere oltre, connotano la gestione di quei beni comuni: la compagnia è però già citata nel 1605, quando è stipulato l’accordo relativo con la prevostura (da un sunto sulla storia del Bosco delle sorti, basato sulle fonti originali e redatto in questi ultimi anni dal signor P. Pizio, in Boschi delle sorti, A. C. Bruno).
La giacenza documentaria più consistente è presso l’Archivio Comunale: il materiale non è inventariato e in parte in precario stato di conservazione. La proprietà del Bosco delle sorti – la cui estensione originaria sarebbe stata di 1400 moggia – spettava ai proprietari cosiddetti originari (una sessantina di famiglie), che nominavano come amministratori quattro “eletti”. Il contenzioso che attraversò letteralmente i secoli concerneva chi avesse diritto a essere sorteggiato di anno in anno per poter procedere al taglio del bosco, se cioè fosse un diritto dei soli abitanti originari o prerogativa gestita dalla comunità. I problemi si addensarono con il passaggio di Bruno al governo Savoia, dopo essere stato per secoli sotto il ducato di Mantova. Ne fanno fede i verbali di interrogatorio dei più anziani abitanti del paese, che ebbero luogo nel 1713, utili a chiarire il sistema di gestione, senza che tuttavia paia trovarsi una soluzione efficace. Uno degli interrogati dichiara tra l’altro che scritture e privilegi relative ai boschi erano stati «abbruciati a Cassinelle» (che è a sud di Acqui) nella sua casa (A. C. Bruno, "Boschi delle sorti" e il sunto di P. Pizio sopra citato).
In realtà non si tratta sempre di un diritto di fruizione incontestato, perché ad esempio nel 1456 la comunità di Cassine mostra di considerare come propria la Comuna, di cui poi deriverebbe il Bosco delle sorti di Bruno, nel momento in cui pare farne dono al marchese di Monferrato, riservandosene l’usufrutto: di quest’area incolta sono indicate le confinanze nei “poderia” di Cassine, Mombaruzzo, la città di Alessandria, Maranzana, Alice, Ricaldone, Bergamasco e Bruno stessa (A. S. T, Corte, Monferrato Confini, M 10, f. 24). Si tratta, come si può vedere, di confinanze in parte diverse da quelle indicate nel 1247. Una serie di contese relative alla Comuna della seconda metà del Cinquecento porta a un arbitrato, condotto dai rappresentanti dello stato di Milano (cui appartiene Cassine) e del Senato di Monferrato (cui appartengono le altre comunità) che definisce cosa si deve intendere per Comuna: «tutto ciò che vi è a Levante in coerenza di Carentino, Alessandria e Gamaleri a mezzodì della strada della valle del Cervino, ad occidente dei boschi di Mombaruzzo ed a septentrione del rivo del Ghisson». Di ciò si fanno tre parti, aggiudicate una a Cassine e le altre due a Mombaruzzo e alle altre comunità litiganti (A. S. T., Corte, Monferrato Confini, M 10, ff. 203 sgg., in particolare 320 sgg.; Monferrato, m. 23, Cassine, n. 3). Tra queste potrebbe esserci Bruno, anche se il villaggio non riesce a comparire nella documentazione superstite di età moderna relativa alle terre comuni: tuttavia nell’Ottocento non sono più attestate situazioni di promiscuità con i comuni vicini.
Documentazione di eterogenea provenienza in Archivio di Stato di Torino mostra che nel 1800, sotto il governo francese, il diritto dei proprietari originari era stato abolito dal sindaco del luogo, a beneficio dell’intera comunità, e i ricorrenti sono proprio i rappresentanti di quelle famiglie. Ma queste, dal 1818, detenendo gli uffici di consiglieri comunali, riescono ad attuare a proprio vantaggio una distribuzione del legname. La Regia Intendenza di Acqui propone nel 1828 una distribuzione del bosco per lotti, ma due anni dopo, quando il comune di Bruno chiede facoltà di nominare un suo guardaboschi, il bosco di 500 giornate appare integro (la stessa misura è data nel 1814). La questione è ancora aperta nel 1833 (A. S. T., Corte, Paesi per A e B, lettera B, m. 49, nn. 1-15).
Non è accertabile se abbia avuto corso un’altra vertenza del comune, in questo caso con il “marchesato” dei Faa relativamente a una porzione di terreno nei Boschi delle sorti, la cui documentazione è nell’apposito scaffale dell’Archivio Comunale. Il consiglio comunale deliberò di intentare una vera e propria causa nel 1889, ma il consistente plico conservato nell’Archivio Comunale cita una prima rivendicazione del 1791, in cui la comunità, affermando che il bosco in origine si estendeva per 600 moggia e che ora ne misurava solo 520, lamentava l’appropriazione indebita da parte dei marchesi di quanto mancava. Parte di quella che la comunità avverte come un’usurpazione è avvenuta verosimilmente con l’alienazione di 40 moggia di terra a favore del marchese Nicolò Faa, forse per sanare delle pendenze fiscali, così come si apprende da una relazione del Senato di Monferrato del 1682 (A. S. T., Corte, Monferrato confini, m. 8, n. 4).
Il seguito della storia del bosco si può ricostruire in appositi fascicoli o quaderni che contengono le trascrizioni di atti giudiziari degli anni ’60-’80 del secolo scorso, e sono conservati nell’Archivio Comunale. Si tratta in sostanza dei ricorsi presentati (ai tribunali Acqui e di Casale) contro la comunità da parte degli abitanti originari contro le procedure di alienazione dei boschi e l’istituzione della rendita fondiaria oppure da parte di coloro che ritenevano di subire un ingiusto trattamento da parte della comunità (si tratta forse dei medesimi personaggi). Una sentenza della Corte di Assise di Torino del 1881 pare chiudere la vicenda, dichiarando il comune proprietario assoluto del fondo e libero di disporne a suo piacimento. In questo dispositivo si fa riferimento a una sentenza del 1572 (ora non più reperibile) con cui sarebbe stato assegnato il bosco agli uomini di Bruno.
Attualmente non esisterebbero fondi sottoposti a usi civici, secondo quanto dichiarato già al Regio commissariato per l’abolizione degli usi civici nel 1935 e a chiusura delle operazioni nel 1939 (C. U. C., Provincia di Asti, cartella 10, Bruno).
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Liti Territoriali | Una serie di contese relative all'area boschiva della 'Comuna' della seconda metà del Cinquecento porta, nel 1599, a un arbitrato, condotto dai rappresentanti dello stato di Milano e del Senato di Monferrato (che successivamente ratificano) che definisce cosa si deve intendere per 'area boschiva della 'Comuna', anche se ai nostri occhi non appare del tutto chiaro:
tutto ciò che vi è a Levante in coerenza di Carentino, Alessandria e Gamaleri a mezzodì della strada della valle del Cervino, ad occidente dei boschi di Mombaruzzo ed a septentrione del rivo del Ghissone.
Di ciò si fanno tre parti, aggiudicate una a Cassine e le altre due a Mombaruzzo e alle altre comunità litiganti [A.S.T., Corte, Monferrato Confini, Mazzo 10, ff. 203 sgg., in particolare 320 sgg.; Monferrato, Mazzo 23, Cassine, n. 3; vd anche schede Alice Bel Colle, Carentino, Cassine, Gamalero, Maranzana e Mombaruzzo].
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Fonti edite: Le carte medievali della Chiesa d’Acqui, a cura di R. PAVONI, Genova 1977 (Collana storica di Fonti e studi, 22).
Fonti inedite:
A.C.B. (Archivio Storico del Comune di Bruno).
Un dettagliato elenco del materiale, prevalentemente settecentesco, contenuto nell’Archivio Comunale era stato redatto nel 1776 [A.S.T., Sezioni Riunite, Inventari comunali, Mazzo 2, Bruno]. L’Archivio Comunale, che presenta una buona mole documentaria è attualmente in corso di riordino da parte di volontari (giugno 1998). Vedi inventario.
A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche serie III, Monferrato, m. 6, Carta topografica dell'Alto Monferrato, s.d. Vedi mappa.
B.N.F. (Bibliothèque nationale de France). Vedi catalogo.
B.N.F., département Cartes et plans, GE DD-2987 (5054 B), La principauté de Piémont, les marquisats de Saluce et de Suze, les comtés de Nice et d'Ast, le Montferrat / dediée au roy par son très humble, très obéissant, très fidèle sujet et serviteur H. Jaillot, géographe de sa Majesté, [chez l'auteur] (A Paris), 1695 [Jaillot, Alexis-Hubert (1632?-1712). Cartographe]. Vedi mappa. | |
Bibliografia | ASTORI, E., Note sugli Statuti dei Comuni e Corporazioni nelle provincie di Alessandria e Asti, in «R. S. A. A. Al. At.», 47 (1938).
GUGLIELMOTTI, P., Comunità e territorio. Villaggi del Piemonte medievale, Roma 2001, pp. 207-228.
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Descrizione Comune | Bruno
Le carenze documentarie consentono solo qualche stringata ipotesi sulla storia del territorio di Bruno; hanno buona visibilità nelle fonti, come si è notato, alcune fasi della vicenda delle terre comuni, che a differenza di altri comuni vicini coinvolti – Alice e Ricaldone e le loro attuali isole amministrative – non lascia tracce attualmente tangibili. Minima sembra la conflittualità con le comunità vicine, anche quando siano interessate alla gestione del gran bosco comune citato a metà Duecento: è una scelta in cui forse pesa la comsapevolezza di doversi confrontare con un centro di maggior peso, come Mombaruzzo. E ciò anche a riprova del fatto che la progressiva rinuncia a questi beni e a questa gestione avviene per strade peculiari di ciascuna comunità. L’impressione – perché niente di più si può affermare – è quella di una sostanziale stabilità del disegno territoriale una volta definita a fine secolo XVI la questione di quello che diventa il Bosco delle sorti, con una certa corrispondenza cronologica rispetto alla compilazione del primo catasto, che risale a metà Seicento. Non è nemmeno chiaro quale sia il contributo dell’orografia al profilo del territorio così come si è consolidato con il tempo. Disponiamo di qualche modesta prova della capacità degli uomini di Bruno di tutelare quelli che ritengono propri diritti, come quando nel 1585 rivolgono una supplica al duca di Monferrato per impedire al feudatario Orazio Faa l’ottenimento della conferma della prerogativa della caccia sul territorio di Bruno (A. S. T., Corte, Monferrato Confini, m. 8, n. 2); oppure della volontà di aprirsi degli sbocchi, quando nel 1697 ottengono dal governo del Monferrato di poter tenere mercato due volte la settimana (ivi n. 6). La stessa presenza nel villaggio di due associazioni a carattere devozionale è da interpretare nel senso di una forte appartenenza locale dei loro membri, con probabili ricadute sulla gestione del territorio.
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