Autori | Rao, Riccardo |
Anno Compilazione | 2008 |
Provincia | Vercelli.
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Area storica | Contado di Vercelli.
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Abitanti | 1209 (ISTAT, 2001); 1293 (ISTAT, 2009); 1324 (Comune, 31 gennaio 2010).
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Estensione | 1742 ha (ISTAT).
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Confini | Asigliano Vercellese (Vc); Prarolo (Vc); Palestro (Pv); Rosasco (Pv); Caresana (Vc); Stroppiana (Vc).
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Frazioni | Il comune di Pezzana non registra nessuna frazione (Comune 2010). Tra i luoghi abitati censiti dall’ISTAT (2001) si possono invece menzionare Molino Priale e Santa Maria.
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Toponimo storico | Peciana, Pezana.
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Diocesi | Vercelli.
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Pieve | Sul finire del X secolo, la chiesa battesimale di riferimento per il villaggio era costituita da Sant’Eusebio di Vercelli (Carte dell’Archivio capitolare, I, doc. 13ter, p. 353). Nell’elenco delle chiese vercellesi che versavano la decima del 1298-1299, le chiese di Pezzana, vale a dire la parrocchiale intitolata a Sant’Eusebio (documentata dal 1184: Carte dell’Archivio capitolare, II, doc. 433, p. 139; Ferraris, Le chiese “stazionali”, p. 161), la cappella del castello (San Lorenzo, su cui, tra Due e Trecento, esercitavano il patronato i domini loci: ASVc, Ospedale di S. Silvestro della Rantiva, fascicolo 56-59, nn. 3206-3209, in data 1350, settembre 22, 1351, gennaio 10, 1376, febbraio 17; per le contese duecentesche con il capitolo di Sant’Eusebio si veda oltre, s.v. Dipendenza medioevo) e Santa Maria della Bona sono elencate come “ecclesie nullius plebanatus”, cioè non dipendenti da alcuna pieve (ARMO, p. 27).
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Altre Presenze Ecclesiastiche | Durante l’alto medioevo il principale edificio di culto del luogo era probabilmente costituito dalla basilica di San Pietro, documentata nella seconda metà del X secolo e in seguito scomparsa (Carte dell’Archivio capitolare, I, doc. 13bis, p. 351; Ferraris, Le chiese “stazionali”, p. 161). Sono attestate sin dal Duecento anche le chiese di San Lorenzo del castello e di Santa Maria della Bona (cfr. supra, s.v. Pieve). La chiesa di Sant’Anna, probabilmente istituita nel XV secolo, almeno dalla fine del XVI secolo risulta essere stata sede di una confraternita (Rosso, Pezzana, pp. 152-153).
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Assetto Insediativo | Virginio Bussi fa riferimento al ritrovamento di resti archeologici romani nel territorio del comune (Bussi, Profili). Si deve rilevare come la documentazione del XII secolo non faccia alcun cenno alla presenza di un castello, che, allo stato attuale delle conoscenze, appare documentato con sicurezza solo nel 1231 (ABC Vercelli, Atti privati, cartella 25, doc. in data 1231, ottobre 15; parziale trascrizione in Orsenigo, Vercelli sacra, p. 380; Panero, Comuni e borghi franchi, p. 27). Le fonti del XII secolo usano l’espressione villa – evitando il vocabolo castrum – per designare l’abitato (cfr., per esempio, Carte dell’Archivio capitolare, II, doc. 385, pp. 82-83). Nel 1185 si accenna alla platea (Carte dell’Archivio capitolare, II, doc. 455, p. 167, doc. 460, p. 172).
Nella seconda metà del XII secolo, tra i possessori di terre compaiono alcune stirpi di primo piano della classe dirigente urbana, come i da Pezzana-Preve, i Casalvolone, i Centori, i Capella, i Giudici, gli Alciati, i Fontanetto e, soprattutto, gli Avogadro: è possibile che tali presenze fossero state favorite dalla concessioni patrimoniali del capitolo. Una lite fra i Centori e gli Avogadro degli anni 1397-1399 menziona la costruzione da parte degli Avogadro di una struttura difensiva all’interno del castello (Rosso, Pezzana, p. 36). Nel 1431, il castello fu indicato come castellazzo, a indizio di un processo di degrado (doc. citato ivi, p. 37). Dalla seconda metà del Cinquecento, i Langosco della Motta acquistarono numerose terre dagli Avogadro (AST, Paesi per A e B, mazzo 33, Motta dei Conti, Registro degli atti del conte Alfonso Langosco di Motta dal 1578 al 1581). All’inizio del Seicento, essi possedevano le cascine del Rotto e Valgioia (AST, Paesi per A e B, mazzo 33, Motta dei Conti, Minutario di Giovan Battista Bonizio, f. 70-72). Il tessuto delle cascine pare consolidarsi tra Cinque e Seicento, quando iniziano a comparire le cascine Stoneia, Valgioia, del Rotto, Pinta, Casone (Rosso, Pezzana, pp. 59-63). Almeno alcune di queste cascine – in particolare quelle del capitolo di Sant’Eusebio di Vercelli – furono inquadrate nella fiscalità del villaggio soltanto nei primi decenni del Settecento (AC Pezzana, mazzo 16, anno 1713). |
Luoghi Scomparsi | Il principale luogo scomparso risulta essere la basilica di San Pietro, attestata nel X secolo (Ferraris, Le chiese “stazionali”, p. 161). Un documento del 1180, menziona inoltre una località denominata “ad castellarium”, a indizio di una struttura fortificata, probabilmente già in stato di degrado (Carte dell’Archivio capitolare, II, doc. 390, p. 89): è possibile che essa coincida con la località Castellaro menzionata nel catasto napoleonico.
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Comunità, origine, funzionamento | Le attestazioni medievali della comunità sono piuttosto scarne. Un atto del 1258 fa riferimento agli homines Peciane, lasciando solo sottintesa l’esistenza di una forma di organizzazione collettiva della comunità. Allo stato attuale delle conoscenze, soltanto nel 1422 la comunità emerge nella documentazione come soggetto politico, in occasione di un atto di procura (ABC Vercelli, Atti privati, cartella 62).
Come numerose comunità dell’area, all’inizio dell’età moderna Pezzana pagava l’affitto dei forni ai feudatari locali, gli Avogadro di Valdengo (un confronto potrebbe essere fatto con Motta dei Conti, anch’essa infeudata a un’antica e potente stirpe nobiliare, i Langosco). In tale località, il comune sembra tuttavia essere riuscito a riscattare tali diritti, in cambio della cessione di alcune proprietà comunali e di diritti sulle acque, ritenuti dal feudatario utili per migliorare le condizioni agrarie dei suoi fondi: in tale circostanza la comunità risultava rappresentata dai consoli, dalla credenza e dai capicasa (AST, Paesi, Provincia di Vercelli, mazzo 28, doc. in data 1550, marzo 7; cfr. anche AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114T, Pezzana: su tale politica si veda anche la voce Comunanze). Nella seconda metà del Seicento a capo della comunità risultavano posti quattro consoli (Rosso, Pezzana, docc. 11-14, pp. 209-212). Il conteggio dei fuochi del 1392 registrava 59 nuclei familiari nel villaggio, che nei dieci anni successivi si erano ridotti in maniera consistente, con la partenza o il decesso di ben 29 fuochi (AC Vercelli, Ordinati, 3, f. 62-63). Secondo il registro delle bocche del 1578, erano presenti 999 anime (AC Vercelli, Armadio 74, Consegne di bocche e grani del 1578). Dagli estimi del 1609 risultano 57 dichiarazioni, che sembrano indicare una comunità di dimensioni medio-piccole, meno popolosa delle vicine Langosco e Caresana. Nel 1712, i capicasa risultano (155), anche se le dimensioni dell’abitato apparivano dimezzate rispetto alla vicina Caresana (AST, Trafiggio vercellese, mazzo 1, categoria 13a). Nel 1775, probabilmente in connessione con l’affermazione della risicoltura, la popolazione era notevolmente aumentata: 218 capicasa per 1300 anime (Pagliolico, Il comune di Pezzana, p. 21). Si segnala, infine, che l’Archivio comunale ha conservato un inventario settecentesco delle scritture, utile a conoscere le pratiche di archiviazione delle scritture della comunità (AC Pezzana, mazzo 1). |
Statuti | Si sono conservati soltanto alcuni bandi campestri del 1824 (ABC Vercelli, Pezzana. Relazioni e note di misura dei beni, in data 1824, maggio 3). Esiste attestazione di bandi campestri per il 1750 (AC Pezzana, mazzo 1).
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Catasti | I più antichi estimi sono conservati a partire dal 1551. Oltre a quelli di tale anno sono presenti quelli del 1562, 1573, 1609, 1652 (AC Vercelli, Armadio 70, n. 5, 13, 29, 40, 45; dell’estimo del 1652 esiste una copia mutila in AC Pezzana, mazzo 22). Presso l’archivio di Stato di Torino si sono conservati il catasto francese (AST, Catasti, Pezzana, alleg. A, pf. 243; ivi, alleg. B, atl. 162; ivi, alleg. G, fasc. 462) e il Catasto Rabbini (AST, Catasti, Pezzana, Catasto Rabbini). Una copia del catasto napoleonico (1809), con mappa d’insieme e tavole particolari, è conservata presso la sala consigliare del comune di Pezzana. Copia del catasto degli anni 1935-1955 è invece conservata in ASVc, Disegni, Mappe catastali). Sotto tale voce si può inoltre ricordare la produzione di un cabreo contenente i possessi del capitolo di Sant’Eusebio di Vercelli (ABC Vercelli, 1774. Cabreo Beni di Pezzana).
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Ordinati | Gli ordinati partono dal 1696 (AC Pezzana, mazzi 2-12).
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Dipendenze nel Medioevo | Nel 1039, l’imperatore Corrado II confermò la giurisdizione di Pezzana a Guala di Casalvolone (Conradi II diplomata, doc. 280, p. 388, in data 1039, maggio 4): il possesso della stirpe fu corroborato da un ulteriore diploma emanato da Federico I, che assegnava ai Casalvolone il districtus sulla località assieme ai diritti regalistici (Friderici I diplomata, doc. 32, p. 55: “districtum in Leria et in Petiana et in Burontio cum pascuis et aliis ad regalia pertinentibus”). Nella località si assistette a una consistente penetrazione patrimoniale del capitolo di Sant’Eusebio di Vercelli, che vi aveva acquisito beni sin dalla seconda metà del X secolo (Carte dell’Archivio capitolare, I, doc. 13, pp. 11-12, doc. 15, pp. 16-17). Nel 1179, esso rilevò alcune prerogative, di natura giurisdizionale, che i signori di Casalvolone detenevano sui suoi beni in Pezzana (Carte dell’Archivio capitolare, II, doc. 385, pp. 82-83). Nell’area sono inoltre testimoniate le proprietà di numerose stirpi aristocratiche, inserite nella classe dirigente urbana. In particolare, è possibile che, oltre ai Casalvolone, anche i da Pezzana, da cui discendevano i Preve, fossero titolari di prerogative dominiche. Sino al Duecento, l’esercizio di poteri signorili rimase tuttavia probabilmente limitato e non esistono consistenti indicazioni in tale direzione (si noti anche l’assenza di attestazioni del castello fino a tale secolo, s.v. Assetto insediativo). Non è quindi detto che i Casalvolone, a dispetto delle concessioni imperiali, fossero riusciti a esercitare robusti poteri di coercizione in loco.
Una lite del 1231 tra gli Avogadro e i Musso da un lato e il capitolo di Sant’Eusebio dall’altro per la nomina del sacerdote nella cappella del castello sembra suggerire che le due famiglie si contendessero con i canonici il dominatus sul luogo (Orsenigo, Vercelli Sacra, p. 380, che interpreta, in maniera erronea, il Musso e l’Avogadro come consoli della comunità). All’inizio del Trecento risulta affermato il dominio di un consortile signorile, composto da aristocratici di origine urbana: gli Avogadro, i Centori e i Cagnola (ASVc, Ospedale di S. Silvestro della Rantiva, fascicolo 16, n. 3156, 1333, gennaio 28; fascicolo 19, n. 3159, 1347, settembre 25, fascicolo 56-59, nn. 3206-3209, in data 1350, settembre 22, 1351, gennaio 10, 1376, febbraio 17). |
Feudo | Sin dalle metà del Trecento, un ramo degli Avogadro viene designato come Avogadro di Pezzana, titolare di un feudo da parte della chiesa vercellese per diritti su Pezzana, consistente in parte della “viscontia” e delle decime sul luogo (Il “Libro delle investiture” del vescovo di Vercelli, doc. 71, p. 327; cfr. anche Rosso, Pezzana, p. 72). La presenza degli Avogadro a Pezzana risulta già ben radicata nella seconda metà del XII secolo a partire dal possesso di beni allodiali (Carte dell’Archivio capitolare, II, doc. 390, p. 89, doc. 455, p. 167). Nel 1417-1418, il feudo degli Avogadro di Pezzana fu avocato dai Visconti alla camera ducale, per ritornare dopo poco alla stirpe: dal 1428 ne risultava in possesso il ramo di Valdengo (Rosso, Pezzana, pp. 73-74). Nel 1620, Pezzana fu infeudata da Carlo Emanuele di Savoia ad Agostino Siccardi da Pigna (ivi, p. 75; Cenisio, I castelli del Vercellese, p. 103; cfr. AC Pezzana, mazzo 1, Bandi Campestri): nel corso del Settecento tali feudatari si scontrarono a più riprese con la comunità per la gestione delle operazioni di polizia campestre e per l’accesso ai pascoli (AC Pezzana, mazzo 1, bandi campestri, 1717, dicembre 30; Scritture Pezzana e Siccardi, 1752). Nel 1779 la località fu infeudata ai Campora (Manno, Il patriziato, p. 217; cfr. anche Balzaretti, Nobili e borghesi, p. 92).
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Mutamenti di distrettuazione | Pezzana non ha conosciuto significativi mutamenti di distrettuazione, rimanendo inquadrata, dal punto di vista politico ed ecclesiastico, nel distretto vercellese.
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Mutamenti Territoriali | Tra la seconda metà del XII e il XIII secolo, gli homines di Pezzana si impegnarono ad agrarizzare le superfici incolte in riva alla Sesia. Il territorio risultava ancora caratterizzato da avvallamenti e da superfici paludose, per via della presenza della Sesia, come sembrano indicare alcune tracce toponomastiche (“ad concam”: Carte dell’Archivio capitolare, II, doc. 390, p. 89; “ad vallem Pezolii”, “ad bosas et vallem Pusche”: ivi, doc. 460, pp. 172-173; “in vallibus”: ivi, doc. 591, p. 352; cfr. inoltre Panero, Terre in concessione e mobilità contadina, p. 56). Nel 1185 sono menzionati alcuni “ronchi”; gli arativi sembrano inoltre innestarsi sul bosco, che risulta interessato anche da processi di domesticazione, con la comparsa del castagno (Carte dell’Archivio capitolare, II, doc. 460, pp. 172-173). Nel 1258 si faceva riferimento alla “Valle Gaiperti, quam laborant homines Pezane” (ABC Vercelli, Atti privati, cartella 10, doc. in data 1258, settembre 26). Nel territorio del villaggio, soprattutto in direzione di Prarolo, sono documentate ampie superfici prative (Carte dell’Archivio capitolare, II, doc. 460, pp. 172-173, doc. 591, p. 352, doc. 593, p. 387). Sin dai primi decenni del Duecento, risulta inoltre diffusa la pratica della rotazione triennale nel territorio del comune (Panero, Terre in concessione e mobilità contadina, p. 145).
La maggiore trasformazione paesaggistica del territorio di Pezzana fu l’avvento del riso, che, come in altre località della bassa Sesia, sembra essersi affermato piuttosto tardivamente, soprattutto nel corso del Settecento. Negli anni Quaranta di tale secolo, la comunità si scontrò con un intermediario affittuario dell’abbazia di Santo Stefano di Vercelli, Morisio Giavotti, che aveva esteso la coltivazione dei risi nella vicina Prarolo, ubicata poco più a nord, eccedendo i limiti imposti dalle patenti regie di inizio secolo. Le proteste della collettività, a cui si erano unite quelle dei maggiori proprietari del luogo, puntavano l’indice contro le ripercussioni negative sull’agricoltura dell’area e persino su possibili processi di spopolamento: Restando il luogo e territorio di Pezzana situato inferiormente e più in basso di quello di Prarolo, come ne fa testimonianza il corso delle acque, di grandissimo pregiudizio riuscirebbe agli esponenti il seminerio de risi in detti tenimenti di Prarolo, mentre li scolatizi delle acque di tal seminerio non potrebbero se non decadere nel territorio di Pezzana già abbondante di fossi scolatorii, roggie ed altre acque, oltre diverse lagune d’acque stagnanti causate dalle inondazioni e corrusioni del fiume Sesia, onde li beni di tale territorio quali presente sono fertilissimi e come tali verrebbero a deteriorarsi e vendersi per bona parte incolti e tortuosi e conseguentemente paludosi, oltre li grandissimi ed irreparabili pregiudizi che cagionerebbe l’insalubrità dell’aria che sogliono produrre tali seminerii colle acque loro stagnanti e corrotte ed altre perniciose conseguenze di spopolazione degli abitanti e diminuzione dei bestiami, riflessi tutti che già si sono avuti in somma considerante nel suddetto regio editto del 26 febbraio 1728 quali dovevano escludersi dalla parte attrice con prove concludenti, e giudicio di esperti, il che non sendosi fatto vi mancherebbe un estremo sostanziale. Al termine del loro esposto, i rappresentanti di Pezzana avanzarono l’ipotesi di un vero e proprio dissesto idrogeologico, sposando, per quanto per ragioni di comodo, motivazioni ‘ecologiche’: La permissione chiamata dal detto affare la quale rende in gravissimo pregiudicio della comunità beni e popolo di Pezzana per gli accennati riflessi di infezione dell’aria e deteriorazione de fondi inferiori a detti tenimenti, che anche per il pericolo delle maggiori inondazioni e corrosione che verrebbe a caggionare il fiume Sesia con introdursi ne cavi fossi ed aquedotti di detti tenimenti quando quelli venissero a ridursi in risare come ne risulta dalli accennati attestati. Al di là delle note polemiche sulla malaria, la comunità insistette sull’impoverimento dell’agricoltura causato dall’eccesso di acque derivanti dall’espansione della risicoltura. A detta degli uomini di Pezzana, tale coltivazione avrebbe creato una serie di reazioni a catena sulle località circostanti, rendendo difficile, per via della riduzione dei bestiami e dell’impaludamento, la prosecuzione delle precedenti forme di agricoltura (AST, Materie ecclesiastiche, Abbazie, Vercelli. Abbazia di Santo Stefano, mazzo 1, 1746-1753, “Scritture riguardanti le differenze insorte tra la comunità di Pezzana e l’abbazia di Santo Stefano di Vercelli o sia Morisio Giavotti affittavolo della medesima riguardo al seminerio de risi ne beni proprii di detta abbazia”). La comunità non rinunciò a tracciare una ricostruzione del primo avvento della risicoltura, ricordando come quest’ultima fosse limitata ai beni sterili (“prima di detto anno 1710 vi si praticasse in essi [beni] tale seminerio e che per la loro mala qualità derivante dall’essere non tanto sterili che umidi palludosi non siino in stato di fruttare altro genere di grano”), mentre al presente si intendeva espanderla anche su campi fertili (“non essendosi neppure giustificata da detto affittavolo una tal qualità rispetto alli tenimenti di cui si agisce [..] che detti tenimenti anche prima del 1710 fino a questa parte sono sempre stati e sono ben coltivati e producenti qualonque genere di grano ed in buona parte popolati di noci e quantità di altri alberi”). |
Comunanze | Attorno alla metà del Cinquecento, nel 1573, le passate alienazioni di comunanze effettuate da sindaci e consiglieri furono messe in discussione per l’inosservanza delle clausole di solennità e per il mancato beneficio arrecato alla comunità (“sono stati alienati gli infrascripti beni della comunità et huomini di Pezzana da alcuni particolari di esso luogo asserti credenzieri et sindici senza autorità legittima et senza l’osservatione delle solenità che si richiedono nell’alienazione di beni della comunità e senza utile alcuno di essa comunità”). Tale attestazione sembra suggerire un conflitto tra la comunità e la sua classe dirigente attorno alla gestione di tali beni (AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114T, Pezzana, doc. in data 1573, aprile 29).
La comunità risulta detenere un patrimonio piuttosto cospicuo e nel Cinquecento si mostrò assai intraprendente nel tentativo di ampliarlo. Nel 1570, il comune avviò la costruzione del mulino del Priale, in seguito diventato frazione (Rosso, Pezzana, pp. 49-50). Esso era inoltre titolare della cascina Stoneia, sempre dallo stesso periodo. Nella seconda metà del Cinquecento è documentata la tendenza della collettività a impegnare con diritto di riscatto tale cascina ed altri suoi beni per ricevere denaro in prestito (ivi, pp. 48-50). Gli affitti della Stoneia proseguirono anche nei primi decenni del Seicento (ivi, pp. 201-205). Negli anni Trenta del Seicento, inoltre, la comunità stabilì una rendita annua sui suoi beni comunali (in particolare i forni e i mulini) da versare a un certo Paolo Giovannone di Vercelli, in cambio di una somma di denaro fornita per pagare un precedente debito contratto con un prestatore torinese in occasione di imposizioni fiscali (AC Pezzana, mazzo 16, doc. in data 1633, luglio 10). Pur proseguendo per tutto il Settecento gli affitti di beni comunali, documentati con continuità (AC Pezzana, mazzo 17, Affitto beni 695-1865), dagli anni Sessanta-Settanta del XVII secolo sono attestate diverse alienazioni di beni comunali, a indizio di un progressivo depauperamento del patrimonio della comunità (Rosso, Pezzana, docc. 11-14, pp. 209-212; cfr. anche ulteriori alienazioni di beni comunali del 1678, 1738, 1763: AC Pezzana, mazzo 16, Pezzana, copie d’instromenti). Un secolo dopo, i beni comunali risultavano ormai pressoché scomparsi: il comune non possedeva più né mulini né forni, ma soltanto poche pezze di bosco e alcuni pascoli “sterili e asciutti e fruttano erba che ne pur le bestie la vogliono mangiare” (Rosso, Pezzana, doc. 18, p. 219). Successivi inventari di beni comunali (1889) riportano un patrimonio ormai assai esiguo (AC Pezzana, mazzo 16, Beni 1618-1896). Sempre nella seconda metà del Cinquecento, la gestione dei beni collettivi si intrecciò strettamente con quella delle acque. Sono documentati conflitti tra coloro che tenevano in affitto o che avevano acquistato comunanze e la comunità affinché quest’ultima si occupasse della manutenzione dei canali confinanti. Nel 1574 scoppiò una vertenza con i Centori, che avevano acquistato un bene comunale vicino al Lamporo e pretendevano che il comune attendesse alla pulizia del fosso adiacente (AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114T, Pezzana; le acque del Lamporo erano già state oggetto di contesa tra la stirpe e la comunità nel 1526: AC Vercelli, Archivio Arborio Biamino di Caresanablot, n. 128). Nel 1590 avvenne un’ulteriore disputa con Domenico Balloco, che aveva affittato dalla comunità un gerbido a patto che la comunità la tenesse protetta dall’argine e che ci potesse coltivare (ivi, 1590 aprile 28). La stessa collettività, inoltre, cedette diritti sulle acque, come si è accennato (si veda supra, s.v. Comunità), ai feudatari: nel 1550, ricevette da Agostino Avogadro di Valdengo i diritti sul forno in cambio di un giorno d’acqua sul Lamporo; nel 1556, vendette ulteriori prerogative sulle acque del canale (AST, Paesi, Provincia di Vercelli, mazzo 28, docc.in data 1550, marzo 7, 1556, aprile 6). Le successive iniziative di irregimentazione delle acque attuate dall’Avogadro furono in seguito motivo di discordia, in particolare per una fontana fatta costruire nei pressi di una strada con acqua del Lamporo. Nel 1563, il Valdengo rivendicava l’utilità pubblica dell’iniziativa, sostenendo che l’opera aveva prodotto i miglioramenti per la produzione di letame e offerto maggiore disponibilità di fieno, “dove prima vi era penuria, non essendosi prati adaquati: per tal fabrica sono diventati bonissimi prati”. Secondo l’Avogadro, in seguito a tale opera vi era più “abondanza di feno in Pezana dil solito et pascolo al bestiame quale moreva o si stroppiava in detti prati paludosi ne meno si poteva pascolare” (ivi, doc. in data 1563, giugno 8). I miglioramenti dell’irrigazione sembrano essere andati a vantaggio soprattutto dei grandi proprietari, mentre la comunità, depauperata dalla dissoluzione della proprietà collettiva, mantenne difficoltà a conseguire un efficace concimazione delle piccole proprietà. L’erosione dei beni comunali, causata sia dalle alienazioni, sia dall’avvento, nel corso del Settecento, della risicoltura, oltre ad avere ripercussioni sulla concimazione delle terre, indebolì il sistema finanziario municipale. Anche per tale ragione, il comune ricorse all’affitto invernale dei campi a pecorai forestieri. Nel 1788, i canonici di Sant’Eusebio di Vercelli contestarono alla collettività l’affitto del pascolo invernale “siccome non fu mai praticata simil cosa”. L’usanza era a tal punto “dannosa” - addirittura “al sommo perniciosa al pubblico interesse e illicita alla comunità” -, che “molte comunità di questa Provincia in quali vi era l’uso inveterato d’afittare i pascoli ai pastori di pecore, essendosi ponderato il grave danno che ne soffrono i fondi, si è abolita la pratica nociva”. In particolare le pecore danneggiavano i prati, che in seguito non riuscivano più a sfamare il bestiame bovino dei proprietari locali. Il legale dei canonici sottolineò, inoltre, le scarse risorse pascolive della comunità, “la quale non possiede alcun tenimento compascuo atto per servire a pascolo ma tiene solamente alcune piccole pezze di gerbido qua e là, di niun reddito”: a suo avviso non si vedeva dunque la ragione di introdurre nuovi capi di ovini, visto “che non sono sufficienti i fondi dei particolari per il pascolo delle bestie bovine necessarie per la coltura dei terreni in modo che se venissero introdotte le pecore nel territorio i particolari per mancanza di sussistenza sarebbero costretti spropriarsi delle proprie bestie bovine, mezzo facilissimo per render incolto il terreno” (ABC Vercelli, Pezzana, Atti di lite, doc. in data 1788, novembre 24). È probabile che la comunità avesse avviato simili pratiche oltre che per cercare di conseguire forme alternative di concimazione a fronte della riduzione del bestiame bovino a causa dell’avanzata del riso e delle epizozie di metà secolo, anche per conseguire nuove risorse finanziarie. La causa si concluse, però, con il successo dei canonici. I Bandi campestri prodotti dalla comunità nel 1824 ribadirono all’articolo 10 l’interdizione ad introdurre pecore nei pascoli comunali come pure “l’introduzione ne’ pascoli de particolari delle pecore spettanti ai forestieri, sotto pena per ogni pecora di lire 3” (ABC Vercelli, Pezzana, Relazioni e note di misura dei beni, doc. in data 1824, maggio 3, art. 10). Negli stessi anni, la comunità fu impegnata in un’altra lite con il capitolo cattedrale, a cui, nel 1822, contestò l’usurpazione di alcune comunanze lasciate libere dalla Bona: anche in tale occorrenza la questione delle acque risulta strettamente legata a quella delle proprietà collettive (ABC Vercelli, Pezzana, Atti di lite). |
Liti Territoriali | L’inventario cinquecentesco dell’archivio arcivescovile di Vercelli reca traccia di una lite avvenuta nel 1567 tra l’abbazia di Santo Stefano, dominante a Prarolo, e la comunità di Pezzana (Le carte dell’archivio arcivescovile, p. 398). Nel 1729-1730, in occasione della perequazione, furono discusse alcune liti: la comunità si scontrò con Caresana per terre nella località Valle de Cagnoli e con Prarolo per alcuni prati e campi (AC Pezzana, mazzo 1; Rosso, Pezzana, pp. 185-187). Nel 1889, nel corso dei lavori della commissione censuaria per la compilazione del nuovo catasto, avvenne la delimitazione dei confini con Rosasco, terminata nel 1894 (AC Pezzana, mazzo 1, che, oltre agli atti conserva la mappa dei confini disegnata per la circostanza). Risale al 1902 una vertenza con Caresana relativa al pagamento dei costi per la riparazione del ponte sulla Bona nei pressi della cascina Castelletto (ASVc, AC Caresana, mazzo 34).
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Fonti inedite:
ABC Vercelli (Archivio Biblioteca Capitolare di Vercelli):
Atti privati, cartella 25.
Atti privati, cartella 62;
Pezzana, Atti di lite;
1774. Cabreo Beni di Pezzana;
Pezzana. Relazioni e note di misura dei beni.
AC Pezzana (Archivio storico del comune di Pezzana)
Mazzi 1-22.
AC Vercelli (Archivio Storico del Comune di Vercelli):
Archivio Arborio Biamino di Caresanablot;
Armadio 57, Terre distrettuali, 114T, Pezzana;
Armadio 70, n. 5, 13, 29, 40, 45;
Armadio 74, Consegne di bocche e grani del 1578;
Ordinati, 3.
ASBi (Archivio di Stato di Biella):
Archivi di Famiglie e persone, Avogadro di Valdengo, 90 pergamene su Pezzana (1326-1777);
Archivi di Famiglie e persone, San Martino di Baldissero e della Motta dei Conti.
AST (Archivio di Stato di Torino):
Catasti, Pezzana;
Paesi per A e B, mazzo 33, Motta dei Conti;
Paesi, Provincia di Vercelli, mazzo 28;
Materie ecclesiastiche, Abbazie, Vercelli. Abbazia di Santo Stefano, mazzo 1;
Trafiggio vercellese, mazzo 1, categoria 13a.
ASVc (Archivio di Stato di Vercelli);
AC Caresana (Archivio storico del comune di Caresana), mazzo 34;
Disegni, Mappe catastali.
Fonti edite:
Acta Reginae Montis Oropae (ARMO), Biella 1945, 3 voll.
Le carte dell’archivio arcivescovile di Vercelli, a cura di D. Arnoldi, Pinerolo 1917 (BSSS, 85/2).
Le carte dello archivio capitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi, G.C. Faccio, F. Gabotto e G. Rocchi, Pinerolo 1912 (BSSS, 70), vol. I.
Le carte dello archivio capitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi e F. Gabotto, Pinerolo 1914 (BSSS, 71), vol. II.
Conradi II diplomata, in Diplomata regum et imperatorum Germaniae, t. IV, Hannover-Liepzig 1909 (MGH).
Friderici I diplomata inde ab a. MCLII ad a. MCLVIII, Hg. H. Appelt, in Diplomata regum et imperatorum Germaniae, t. X/1, Hannover 1975 (MGH).
Il Libro delle investiture del vescovo di Vercelli Giovanni Fieschi (1349-1350), a cura di D. Arnoldi, Torino 1934 (BSSS, 73/2).
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Bibliografia | Avonto L., Andar per castelli. Da Vercelli, da Biella tutto intorno, Vercelli 1980.
Balzaretti S., Nobili e borghesi alla fine dell’Antico Regime, Vercelli 2005.
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Bianco L., Pezzana: la mia terra, Vercelli 1984.
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Panero F., Comuni e borghi franchi nel Piemonte medievale, Bologna 1988.
Rosso G., Pezzana: note di storia e di cronaca varia, Vercelli 1980.
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Descrizione Comune | Pezzana A Pezzana la diffusione della proprietà cittadina appare assai consistente e precoce. A fianco della presenza patrimoniale particolarmente antica della chiesa cattedrale, numerosi lignaggi di origine cittadina, tra XII e XIII secolo, forse anche per via dei rapporti con i canonici di Sant’Eusebio, risultano tra i proprietari del luogo. Fra tali stirpi emersero, a partire dal Duecento, gli Avogadro, che si imposero, dopo alcune esperienze in consortile, come il principale referente aristocratico-signorile del villaggio. Il ramo della famiglia radicato a Pezzana ebbe un ruolo importante nelle trasformazioni del territorio avvenute fra tardo medioevo ed età moderna, promuovendo, tra l’altro, significative iniziative edilizie nell’edificio che almeno dal XIII secolo costituiva la più importante struttura del villaggio: il castello. Gli Avogadro seppero, almeno sino alla fine del XVI secolo, ricomporre uno spazio politico assai frammentato, riuscendo a divenire il principale interlocutore per la comunità locale.
Gli interventi sul territorio della comunità locale appaiono legati soprattutto a due ordini di problemi, che a Pezzana risultano strettamente legati: le acque e le risorse collettive. La questione delle acque si impone sin dai secoli XII-XIII, quando è possibile seguire le iniziative di arroncamento degli uomini del luogo per strappare all’incolto le superfici in riva alla Sesia. Essa divenne assai urgente nel Cinquecento, quando i maggiori proprietari misero in opera nuove canalizzazioni, acquisendo diritti idrici dalla comunità, ma anche scontrandosi con quest’ultima. Per quanto concerne le risorse collettive, nel Cinquecento la comunità pare avere curato con attenzione questo ambito, soprattutto in alcuni nodi strategici, come i mulini e i forni: la presenza di simili strutture comunitarie pare un indicatore di una comunità in salute. Si assiste, tuttavia, a una tendenza di lungo corso al depauperamento di tale settore attraverso alienazioni, che condusse alla completa erosione di tali risorse attorno alla seconda metà del Settecento, nell’epoca delle grandi trasformazioni del paesaggio e dei rapporti di produzione dovuti allo sviluppo della risicoltura. La comunità sembra avere cercato di limitare l’impatto di tali processi sulle finanze comunali, reagendo con forza ad alcuni episodi di malversazione, ma soprattutto tentando, sul finire del Settecento, una gestione più redditizia dei pascoli invernali attraverso l’affitto a pastori forestieri. |