Montechiaro d'Asti

AutoriBattistoni, Marco
Anno Compilazione2005
Provincia
Asti
Area storica
Astigiano. Vedi mappa.
Abitanti
1382 (ISTAT 2001); 1396 (BDDE 2006).
Estensione
Estensione: 1014 ha (10,14 kmq: dati ISTAT, BDT).
Confini
A nord-ovest Cortanze, a nord Cunico, a est Cossombrato, a sud-est Villa San Secondo, a sud Camerano Casasco, Cinaglio e Chiusano d'Asti, a sud-ovest e a ovest Soglio.
Frazioni
Nocciola, Regione Reale.
Toponimo storico
La prima attestazione del toponimo «Monsclarus» risale al 1203 (Eydoux 1979b, p. 37; Viola 1973-1974).
Diocesi
Asti.
Pieve
Santa Maria di Pisenzana, la cui prima attestazione si incontra nel 905, quando il vescovo di Asti, Audace, dona ai canonici della sua cattedrale, insieme con altri possessi, «plebem unam in honore sancte dei genitricis marie dicatam sitam in villa que dicitur Pisenciana. cum titulis et omnibus decimis ad eandem plebem pertinentibus». L'atto di donazione è considerato dalla critica recente frutto di una pesante rielaborazione dell'originale, risalente ai primi decenni del secolo XII e imputabile al capitolo astese (un rilievo da estendersi, in qualche misura, anche al testo del successivo atto di conferma emanato da papa Sergio III nel 907). Le falsificazioni individuate non sembrano tuttavia riguardare la concessione della pieve di Pisenzana (Bosio 1894, p. 328; Eydoux 1978, pp. 21-22; Le più antiche carte dello archivio capitolare di Asti, docc. 37-38; Romanello 1991, pp. 12-13, 19-21). La pieve non figura tra i possessi donati o confermati alla Chiesa di Asti nel diploma dell'imperatore Enrico III al vescovo Pietro del 26 gennaio 1041 (Bosio 1894, p. 329; MGH, Diplomata). La si ritrova, invece, tra quelli enumerati dai tre Privilegia concessi dai papi Eugenio III, Anastasio IV, Adriano IV alla stessa Chiesa, nella persona del vescovo Anselmo e dei suoi successori, rispettivamente, il 16 maggio 1153, il 5 marzo 1154 e il 20 dicembre 1156 (Il Libro Verde della Chiesa d'Asti, docc. 315-317; Bosio 1894, p. 330), nonché negli analoghi documenti del 25 luglio 1169 di papa Alessandro III, indirizzato all'arcidiacono e al preposito della cattedrale, e del 7 agosto 1266 di Clemente IV, all'arcidiacono e ai canonici (Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 44; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 205). Intorno a quest'epoca, la circoscrizione plebana sembra comprendere le chiese di San Michele, nelle adiacenze di Pisenzana, scomparsa, di Cunico, di San Martino di Ponengo (anch'essa nel territorio, oggi, di Cunico), di Cortanze e dei luoghi, più tardi scomparsi, di Malesco, Crozarino («Corclarino»), Gobione e Albareto (Pittarello 1984, p. 127). In seguito alla fondazione della «villanova» (1200), si compie progressivamente una traslazione della sede plebana in Montechiaro, un processo di cui si incontrano indizi già in atti del 1227 e del 1248. Nel 1270, il pievano sembra risiedere nella chiesa di Santa Caterina («ecclesia Sancte Cataline»), la prima chiesa di cui sia documentata la presenza all'interno del nuovo villaggio (Eydoux 1979b, pp. 38-39; Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 327; Pittarello 1984, p. 127; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, docc. 98, 326; Visconti 2000, pp. 23-24). Come «plebs de Monteclaro» e sempre afferente al capitolo astese, la pieve compare nel Registrum Ecclesiarum dioecesis astensis del 1345 (Bosio 1894, p. 518). Un riaggiustamento compiuto dai canonici alla fine del secolo precedente ha sottratto le chiese di Cortanze, Albareto e Malesco, passate sotto il controllo diretto del capitolo, alla giurisdizione plebana, che si esercita allora sulle chiese di Cinaglio, Casasco, San Giorgio «de Cruce» (Soglio), Cortandone, Rivocrosio, Maretto, Viale, Piea, Cortazzone, Crozarino (Cortanze o Corsione), Ponengo e Cunico (Bosio 1894, pp. 524-525; Eydoux 1978, pp. 25-26; Eydoux 1984, pp. 29­30; Pittarello 1984, p. 127). Il territorio della pieve, confinava con la diocesi di Vercelli e con le pievi astigiane di Cossombrato e Meirate (oggi Piovà Massaia) (Eydoux 1987; Eydoux 1995; Visconti 2000, pp. 24-25).
Altre Presenze Ecclesiastiche
L'antica chiesa plebana, oggi nota come Santa Maria Assunta (indicata anche, tra i secoli XVIII e XIX, come Madonna di Campagna), è tuttora esistente in località Bric del Cimitero (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, m. 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, n. 9: Proposte e deliberazioni per la riduzione delle tre parrocchie di Montechiaro ad una sola [1816]; Sacerdote Carlo Domenico Mossotti parroco di Montechiaro d'Asti. Perché si rigetti la domanda di quel Consiglio Comunitativo per la soppressione delle tre Parrochie ivi nominate [1816]; Eydoux 1979a, pp. 21-22; Pittarello 1984, p. 127). Pur conservando la dignità di «ecclesia parochialis plebania», al momento della visita apostolica Peruzzi (1585) risultava «campestris et aperta tota», per cui la cura d'anime si esercitava presso l'oratorio di Santa Caterina, sito «intra terram», che già nel secolo XIII, come abbiamo visto, sembrava rilevarne, almeno parzialmente, le funzioni. Santa Maria, condividendo il destino di altre primitive sedi plebane, era rimasta chiesa cimiteriale (La visita apostolica di Angelo Peruzzi, f. 200 v Bordone 1984, p. 10; Eydoux 1979a, pp. 21-22; Visconti 2000, pp. 41-42). Nel 1662 fu decisa la sua riduzione a cappella campestre, per decreto del vescovo Roero, e durante i successivi due secoli vi si continuò a officiare saltuariamente (Pittarello 1984, pp. 127-128).
«Ecclesia de Malesco» (Maresco), elencata tra i possessi confermati alla Chiesa di Asti dai papi Alessandro III (1169) e Clemente IV (1266) e intitolata a San Vittore, si ergeva sulla sommità di una collina che oggi appare impropriamente denominata San Vito (Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 44, pp. 42-45; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 205, pp. 247-249; Visconti 2000, p. 49). In tre atti redatti nel novembre 1306 e nel febbraio 1307 compare la chiesa di San Vittore «de Malischo de Monteclaro» (Carte astigiane del secolo XIV, docc. 109, 110, 111 e 123, pp. 197, 199, 200 e 219) Come chiesa «de Malisco» figura poi nel Registro del 1345, nella sezione delle chiese direttamente dipendenti dal capitolo cattedrale astese (le «ecclesiae subditae Ecclesiae Astensis») (Bosio 1894, p. 519). Viene descritta come «diruta» in una visita pastorale del vescovo Tomati nel 1687, malgrado rimanga ufficialmente sede parrocchiale. È da sottolineare, infatti, che data la distanza dal concentrico di Montechiaro, gli abitanti del quartiere di Maresco avevano già provveduto alla costruzione di un oratorio sito nel villaggio e intitolato a Santa Maria Maddalena, che svolgeva funzioni parrocchiali in sostituzione di San Vittore. Il parroco di Santa Maria Maddalena, in un documento del 1816, la chiama «cappella campestre di San Vito» (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, m. 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, n. 9: Proposte e deliberazioni per la riduzione delle tre parrocchie di Montechiaro ad una sola [1816]; Sacerdote Carlo Domenico Mossotti parroco di Montechiaro d'Asti. Perché si rigetti la domanda di quel Consiglio Comunitativo per la soppressione delle tre Parrochie ivi nominate [1816]). Nel 1820 venne definitivamente abbattuta, mentre il suo cimitero era ancora utilizzato all'inizio del secolo XX (Bo 1933, p. 51; Eydoux 1979a, p. 50). Va segnalato che l'area sulla quale sorgeva la chiesa, parte del territorio del comune di Montechiaro fino al 1929, passò al comune di Chiusano dopo quella data (Visconti 2000, pp. 49-50).
San Nazario «de Mairano», annoverata dal Registro del 1345 tra le chiese esenti dalla giurisdizione vescovile («ecclesiae et loca exempta»), perché soggetta al priorato benedettino di San Secondo della Torre Rossa, di Asti («subest prioratu de Turre»), a sua volta dipendente dall'abbazia di San Benigno di Fruttuaria (Bosio 1894, p. 530), sicuramente attestata dal 1247 (Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 86). Già nel 1203, tuttavia, un priore di San Nazario «de Mairana» figura tra i partecipanti a un capitolo abbaziale tenutosi a Fruttuaria, mentre, ancora prima, nel 1159, l'abbazia risulta quanto meno avere possessi nel luogo (Pittarello 1984, p. 122). Nel 1265 papa Clemente IV conferma al monastero di San Benigno di Fruttuaria, fra i possessi siti «in Episcopatu Astensis», il possesso della «ecclesia Sancti Nazari de Macrano» (Eydoux 1979b, p. 39; Viola 1973-1974, doc. 7). La costruzione dell'edificio tuttora esistente sulle pendici del Bric San Nazario, in località Castel Mairano, è stata variamente datata, sulla base di elementi architettonici, tra la metà del secolo XI e quella del secolo XII (Eydoux 1979a, p. 49; Pittarello 1984, p. 122). Negli atti della visita apostolica Peruzzi (1585), la chiesa, curata, compare con l'intitolatura ai Santi Nazario, Celso, Vittore e Innocenzo. Essendo ormai «campestris et valde incommoda», non vi si celebra la messa se non una volta all'anno, e la cura d'anime viene di fatto esercitata nella «chiesa od oratorio» di San Bartolomeo, eretta all'interno del villaggio («intra terram») nel secolo XIV, anche se il titolo della parrocchia continua a essere quello dei Santi Nazario e Celso fino al 1752 (La visita apostolica di Angelo Peruzzi, f. 304r; Pittarello 1984, p. 122).
Le tre chiese di Santa Caterina, San Bartolomeo e Santa Maria Maddalena, site rispettivamente nei «quartieri» di Pisenzana, Mairano e Maresco finiscono con il rilevare, dapprima di fatto e poi (tra il XVII e il XVIII secolo) anche formalmente, le funzioni di cura d'anime originariamente esercitate dalle corrispondenti chiese «esterne» (come vengono definite in una visita pastorale della fine del secolo XVI) di Santa Maria, dei Santi Nazario e Celso, e di San Vittore (Torre 1995, p. 35). Sullo scorcio del secolo XVIII, le moderne parrocchie portano rispettivamente il titolo di pievania, arcipretura e rettoria. «In seguito a un'antica transazione», esercitano le funzioni parrocchiali per l'intero territorio di Montechiaro a turno, ciascuna per quattro mesi l'anno: un sistema che comporta il periodico trasferimento del «Santissimo Sacramento con tutti li arredi» da una parrocchia all'altra, lasciando, come lamentano i suoi critici all'inizio dell'Ottocento, «durante tale alternativa le due chiese superstiti come vedovate del Tabernacolo di Dio senza simbolo d'adorazione». In effetti, il compromesso è stato elaborato dal vescovo Panigarola nel 1588, per ovviare ai disordini più vistosi prodotti dall'incertezza della giurisdizione parrocchiale, ma la convivenza a rotazione delle tre parrocchie continua comunque a generare tensioni e concorrenza cultuale, anche se non è assente la ricerca di equilibri negoziati. Un momento importante, in questa direzione, sembrano segnare gli accordi intervenuti fra i tre curati con una transazione del 23 maggio 1671, che cercano di regolamentare «stili, modi e consuetudini» nell'officiatura dei vari luoghi di culto presenti sul territorio di Montechiaro. Tale accordo finì però per privilegiare i diritti dell'antica pieve e quindi la parrocchia di Santa Caterina (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, m. 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, n. 9: Proposte e deliberazioni per la riduzione delle tre parrocchie di Montechiaro ad una sola [1816]; Sacerdote Carlo Domenico Mossotti parroco di Montechiaro d'Asti. Perché si rigetti la domanda di quel Consiglio Comunitativo per la soppressione delle tre Parrochie ivi nominate [1816]; Balduini, f. 155; Bordone 1977, p. 174; Torre 1995, pp. 35, 261; Visconti 2000, pp. 42-49). Verso la fine del secolo XVIII, autorità ecclesiastiche quali i vescovi Caissotti e Arborio di Gattinara accarezzano l'idea di una riforma che riducesse a una sola le parrocchie del luogo, ma senza che essa abbia avuto seguito. Il progetto riprende vigore nel 1816, quando il consiglio comunale di Montechiaro si fa promotore di un'istanza in tale senso, appoggiata dall'episcopato, prevedendo una nuova sede da costruirsi nel centro del paese o la riutilizzazione della chiesa di San Bartolomeo (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, m. 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, n. 9: Proposte e deliberazioni per la riduzione delle tre parrocchie di Montechiaro ad una sola [1816]; Comunità di Montechiaro, Copia d'Ordinato, Ordinato di dimanda per la riunione delle tre Parochie in una sola [27 settembre 1816]). L'operazione dovrebbe essere finanziata con il ricavato della vendita di una parte dei beni appartenenti alle parrocchie soppresse. Sarà infine soppressa, tuttavia, la sola parrocchia di Santa Maria Maddalena, nel 1837 (Bosio 1894, p. 142). Nel 1940 il parroco, l'arciprete Luigi Bo, osservava ancora i problemi legati al permanere dell'esistenza di due parrocchie e due parroci in un «paese di meno di 1600 abitanti». Le due parrocchie vennero finalmente unite tra loro, «aeque principaliter», nel 1958, il che implicò la riduzione ad un solo parroco. La creazione di una sola parrocchia intitolata ai Santi Bartolomeo e Caterina (pur permanendo due chiese parrocchiali) si realizzò, infine, nel 1984 (Visconti 2000, pp. 50­53).
Chiesa di San Bernardino (demolita dopo il 1730). Attestata a partire dal 1627, fornì il toponimo all'area circostante. Era una delle quattro chiese sorte lungo il tratto di strada che da Montechiaro conduceva a San Nazario (le altre erano Sant'Antonio detta di Sant'Antonino, Santa Vittoria, San Bernardo da Mentone) (Visconti 2000, p. 58).
Chiesa di San Bernardo, una chiesetta scomparsa all'inizio del XIX secolo, intitolata al patrono di Montechiaro, posta in area campestre al bivio per Cunico e Rinco. La sua esistenza è testimoniata da un riferimento nella visita Broglia del 1627. Posta nel territorio afferente alla parrocchia di San Bartolomeo, risultava, però, di proprietà dell'intera comunità di Montechiaro. Visto lo stato di deterioramento in cui versava l'immobile l'immagine del Santo venne spostata nella chiesa di Sant'Antonino (Visconti 2000, p. 57).
Chiesa di San Carlo, sorta nel territorio della parrocchia di Santa Maria Maddalena e intitolata al santo morto nel 1584. Viene descritta in un verbale di visita del 1635 come di proprietà della famiglia de Frasys e bisognosa di interventi di restauro. Nel marzo del 1660 passò sotto proprietà della famiglia Falletti. Dopo i restauri venne utilizzata regolarmente per il culto. Nel 1838 entrò a far parte della parrocchia di Santa Caterina (Visconti 2000, p. 59).
Chiesa di San Defendente, posta in prossimità della porta di Maresco (Bo 1933, pp. 5 e 44; Bordone 1977, p. 174). Compare nei documenti per la prima volta nella visita del 1635 come proprietà del comune (Visconti 2000, p. 60).
Cappella di San Genesio di Gobione, anch'essa nominata nel 1169 e nel 1266 come dipendenza del capitolo cattedrale; nel 1451 viene ancora menzionato il suo cimitero: «cimiterium Sancti Genixii» (Eydoux 1984, pp. 26-28; Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 44, pp. 42-45; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272).
Cappella di San Giorgio, presente nelle bolle del 1169 (che la localizza «in abaraa», Albareto) e del 1266; è menzionata inoltre, come indicazione di confine fondiario, in un documento del 1269 (sentenza emessa dal giudice del comune di Asti nella causa tra il capitolo della cattedrale e Manuele Pelletta) e figura nel Registro del 1345, dove si trova elencata tra le chiese non soggette ad alcuna pieve («ecclesiae quae non sunt sub aliquo plebatu») (Bosio 1894, p. 529; Le carte dell'Archivio capitolare di Asti, doc. 82, pp. 110-113; Eydoux 1979a, p. 52; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 205, pp. 247-249).
Chiesa di San Giovanni, il primo riferimento ad una chiesa così intitolata è nell'elenco del 1345. È difficile però affermare che si tratti dello stesso edificio indicato nello stradario del 1450 che si descriveva come costruito nella regione Bertanea. La chiesa di San Giovanni è poi ricordata nelle visite pastorali del XVII secolo. Alla fine del Seicento risulta essere «fere tota diruta» e il vescovo ordina che venga eretto con i materiali di demolizione dell'edificio, almeno un pilone votivo. Risultava mantenersi memoria della chiesa ancora all'inizio del XIX secolo (Visconti 2000, p. 59).
Chiesa di San Luigi, edificio di culto con annessa area cimiteriale nella quale venivano sepolti i parrocchiani di San Bartolomeo già prima del 1591. Scomparsa prima del XIX secolo (Visconti 2000, pp. 58-59).
Chiesa di San Martino, probabile dipendenza del priorato di San Secondo della Torre Rossa di Asti (mentre le relative decime appartengono al capitolo della cattedrale), attestata nel 1169 con l'indicazione «de Cospergulis», e nel 1307 come «de Mayrano» (Bosco 1981, doc. 2, p. 228; Carte astigiane del secolo XIV, doc. 135, p. 238; Eydoux 1984, pp. 28-29; Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 44, pp. 42-45).
Cappella di San Michele, menzionata nella bolla di Alessandro III del 1169 e in quella di Clemente IV del 1266, in stretto collegamento con la pieve di Pisenzana (Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 44, p. 43; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238­1272, doc. 205, pp. 247-249). Nel verbale della visita del 1668 si fa riferimento ad una cappella di San Michele con cimitero contiguo (Visconti 2000, p. 61).
Chiesa o cappella di San Sebastiano: menzionata per la prima volta nel verbale del 1627 (Visconti 2000, p. 61).
Chiesa di Sant'Andrea «de Fontana Stantia», attestata nella bolla del 1169 (Eydoux 1979a, p. 51; Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 44, p. 43; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 205, pp. 247-249). È menzionata ancora nel 1286, nell'atto in cui viene venduta a Uberto, pievano di Cossombrato. Nella visita Tomatis del 1688, la chiesa viene descritta come diroccata. Attualmente una regione catastale porta il nome di «collina di Sant'Andrea» (Bo 1933, p. 22; Eydoux 1979a, pp. 51-52; Vergano 1957­1958, p. 157; Visconti 2000, p. 58).
Chiesa di Sant'Anna, sorta nel 1710 per dare casa alla confraternita delle Umiliate (o di Sant'Anna) precedentemente ospitata nella chiesa di Santa Maria Maddalena (Visconti 2000, p. 68).
Chiesa di Sant'Antonio abate, secondo una relazione del pievano Petratti redatta nel 1742 la chiesetta privata, la cui presenza sul territorio è attestata dal verbale di visita pastorale del 1627, venne spostata e avvicinata al paese tra il 1667 e il 1668 a spese della famiglia Vardero (Visconti 2000, p. 61).
Chiesa di Santa Vittoria, menzionata nelle visita del 1635 e sita nel territorio della parrocchia di San Bartolomeo (Visconti 2000, pp. 57-58).
Chiesa della SS. Annunziata, posta nel concentrico venne fondata per accogliere la sede della confraternita della SS. Annunziata, la cui istituzione era stata promossa dal comune ed eretta nel 1514. Nella parte bassa del campanile della chiesa era posto il carcere pubblico. Nella visita del 1585 è definita «oratorium societatis disciplinantium» ed è l'unica chiesa di Montechiaro trovata in buone condizioni (La visita apostolica di Angelo Peruzzi, f. 203r; Bertolotto 1999; Visconti 2000, p. 67).
Tra le fondazioni monastiche anticamente presenti nel territorio di Montechiaro, si segnala il priorato di San Nazzaro, dipendenza dell'abbazia di San Benigno di Fruttuaria, attestato dal 1203 a Mairano (Nada Patrone 1964, p. 706).
In Montechiaro furono attive nel tempo numerose confraternite e compagnie devozionali: la confraternita della Santissima Annunziata, aggregata per bolla del 1638 all'arciconfraternita romana del Gonfalone eretta in Roma nella chiesa di Santa Lucia; di essa si conservano elenchi di confratelli a partire dal 1671; la confraternita delle Umiliate, il cui primo elenco di consorelle conservato è del 1783; la compagnia dell'Addolorata, eretta nel 1659; la compagnia del Suffragio sotto il titolo di San Gregorio, eretta nel 1661; la compagnia della Sacra Cintola o della Cintura, eretta nel 1640; la compagnia degli Agonizzanti, eretta nel 1680; la compagnia del Santissimo Sacramento, eretta nel 1548 e sciolta nel 1848 a causa di una prolungata lite tra le due parrocchie montechiaresi; la compagnia della Dottrina Cristiana, già esistente nel 1588, ma la cui documentazione conservatasi inizia nel 1621; la compagnia dell'Immacolata Concezione, eretta nel 1639; la compagnia del Santo Rosario, eretta nel 1641; la compagnia dell'Addolorata o di Maria Vergine dei Sette Dolori, eretta nel 1659; la compagnia del Sacro Cuore, istituita nella diocesi di Asti canonicamente a Cortanze nel 1822; la compagnia delle Figlie di Maria, eretta ad Asti nel 1903; l'Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice, aggregata all'arciconfraternita di Torino nel 1923; la Società per l'adorazione del Santissimo Sacramento, eretta nel 1910 (Parola 1999, pp. 106-111; Visconti 2000, pp. 67-74).
In seguito all'istituzione dei vicariati foranei nella diocesi di Asti (1578), Montechiaro divenne sede di vicariato foraneo. Essendo però la carica elettiva non necessariamente il vicario era il curato di una delle parrocchie locali. Gli atti del primo sinodo Aiassa, tenutosi nel 1597, riportano i paesi che nel complesso costituivano il vicariato: Montechiaro, Villa San Secondo, Soglio, Cortanze, Piea, Cossombrato, Viale, Corsione e Frinco (Bosio 1894, p. 133; Visconti 2000, p. 53). Pur rimanendo immutata la sede del vicariato, nel corso del tempo il distretto subì mutamenti notevoli, in particolare nella fase successiva al periodo napoleonico, quando venne a contare solo quattro parrocchie (Soglio, Villa San Secondo, Cortanze e Casasco) oltre alle tre di Montechiaro (Visconti 2000, p. 53).
Assetto Insediativo
Montechiaro è una villanova: sorge in base a un accordo stipulato tra il comune di Asti e gli «homines» delle «ville» di Pisenzana, Maresco (Malisco), Mairano, Cortanze (Cortansero), che si impegnano a trasferirvi la loro abitazione, il 19 marzo 1200 (Codex Astensis, doc. 771 e n. 27; Eydoux 1979a, p. 45; Eydoux 1979b, pp. 32-33). Fra i luoghi maggiormente interessati dalla fondazione figurano anche Albareto e Fontana Stantia (Eydoux 1979a, p. 46). Il sito prescelto è una posizione collinare lungo lo spartiacque tra le valli della Versa e del Rilate. L'iniziativa astigiana corona un'opera di consolidamento politico e insediativo di uno spazio di confine con le terre controllate dai marchesi di Monferrato, avviata intorno al 1190 con il riassetto del territorio di alcune «ville veteres» nell'area del «castrum Alferii» (si veda la scheda dedicata a Castell'Alfero), e proseguita negli anni 1198-1199 con i patti di cittadinatico sottoscritti dai domini di Cortanze, Cossombrato, Camerano, Cinaglio, Casasco e dai probabili consignori di Maresco. Il contesto è dato dalle tensioni della fine del secolo XIII tra Asti e il Monferrato, iniziate nel 1191 con lo scontro per il feudo di Montiglio (Codex Astensis, docc. 620, 769, 775, 776, 777, 780; Eydoux 1979b, pp. 30-32). Montechiaro appare suddiviso in quartieri, costituiti e nominati sulla base del luogo di provenienza degli abitanti. Il riferimento al villaggio di origine torna anche nelle tre porte che davano accesso alla villanova. Il quartiere di Pisenzana, con sicurezza nel 1292, è il primo attestato (Le carte dell'Archivio capitolare di Asti, doc. 254, pp. 383-385; Eydoux 1979b, p. 38). Gli antichi insediamenti di Pisenzana, Mairano, Malesco e altri nuclei minori che entrano nel territorio della villanova deperiscono abbastanza lentamente, ma il processo si compie grosso modo entro la fine del secolo XIII e determina un assetto duraturo. Fonti di età moderna, come quelle prodotte dalla Perequazione generale del Piemonte (1698-1731) e dagli intendenti provinciali settecenteschi individuano nel territorio comunale una struttura insediativa di tipo marcatamente accentrato: Montechiaro è «luogo unito», costituito dal «recinto» e dai «suoi airali uniti attorno», con pochi «fuochi dispersi» (AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, Capo 21, n. 161: Registro delle notizie prese da Commissarj deputati per la verificaz.ne de Contratti a Corpo de beni dal 1680 al 1711 inclusive circa la qualità delle Misure e Registro de beni di caduna Comunità del Piemonte, e denominaz.ne de Cantoni Membri, e Cassinali [s.d.], c. 59v Balduini, f. 154r). Parziale eccezione, il «borgo staccato» di San Sebastiano, del resto non troppo distante dal «recinto», e «alcuni cascinali» (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, m. 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, n. 9: Proposte e deliberazioni per la riduzione delle tre parrocchie di Montechiaro ad una sola [1816]; Sacerdote Carlo Domenico Mossotti parroco di Montechiaro d'Asti. Perché si rigetti la domanda di quel Consiglio Comunitativo per la soppressione delle tre Parrochie ivi nominate [1816]). Si tratta di un'immagine sostanzialmente riproposta dalla "corografia" erudita della fine del secolo XVIII (Bordone 1977, p. 174), così come dalla più tarda "statistica" ottocentesca e in gran parte dei censimenti post-unitari. Soltanto, con la crescita demografica si registra l'espansione dell'insediamento che circonda il nucleo più elevato corrispondente al vecchio «recinto». In una descrizione di metà Ottocento, ad esempio, si parla di un «abitato entro mura» (la «muraglia di recinto tuttora esistente»), che costituisce la «contrada principale», alla quale si affiancano «i tre contigui sobborghi», «assai più popolati» (De Bartolomeis 1847, p. 473). Nuclei demici separati dal capoluogo compariranno solo nei censimenti del 1937 e del 1951: si tratta, rispettivamente, della frazione Stazione-Praie e della frazione Nocciola, sviluppatesi a breve distanza l'una dall'altra lungo la linea ferroviaria e la parallela strada statale Torino-Asti.
Luoghi Scomparsi
Pisenzana (Piesenzana): una «villa de pisenciana» compare per la prima volta in un documento del 905, il cui testo è stato tuttavia distorto da falsificazioni compiute nel secolo XII (Eydoux 1978, p. 21). In un documento successivo (995), risultano beni vescovili «in loco pisencjana» (Le più antiche carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 118, p. 227). Solo nella bolla di papa Alessandro III del 1169, insieme alla pieve, vengono confermati alla Chiesa astese il «castrum», la «villa» e il «districtus hominum» («plebem pisentiane cum castro, villa et capitulo totius plebatus servis Ancillis et capella Sancti Michaelis et decimis predictis ecclesiis pertinentibus et toto districto hominum»: Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 44, p. 43). Due anni prima, il vescovo Anselmo aveva ceduto ai canonici della sua cattedrale «omnia feuda» acquistati da Ottone di Montemorino e dai signori di Cortanze e di Cunico, che risultavano «tenuti e posseduti» dagli stessi canonici direttamente ovvero «per suos manentes vel ipsa plex vel homines de pisenciana» (Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 38, pp. 37-38; Eydoux 1979a, p. 48). Anche dopo la fondazione di Montechiaro, il capitolo cattedrale di Asti conserva in Pisenzana un patrimonio apparentemente assai cospicuo di beni e di diritti sulle terre e sugli uomini che configurano una forma di dominazione di tipo signorile sul luogo, e che ricorrono in diverse transazioni (uno strumento di divisione fra i canonici del 1227, ad esempio, assegna per quindici anni «Pisenzana cum pertinenciis suis» al preposito Guglielmo e ai suoi «socii» (Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 336, p. 291). Il «castrum» ricompare, all'interno di un'indicazione di toponimastica fondiaria («jn ortalibus sub castro pisenzane»), in un atto del 1235 (Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 405, pp. 351-352). Come luogo di redazione di un documento, sono menzionati, nel 1252, gli «ayrali de Pisenzana de Monteclaro» (Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 153, pp. 176-177). Altro elemento che concorre a definire l'assetto dello spazio incentrato sul luogo, ma con più marcata connotazione in senso giurisdizionale: il posse di Pisenzana. Compare, ad esempio, nel 1236, 1244, 1250 e 1297: nel 1297, accanto al posse di Montechiaro («in Monteclaro et posse et in Pisen9ana et posse»: Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 406, p. 353; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 63, pp. 74-76; doc. 136, p. 154; doc. 288, pp. 463-465). Nel 1266, papa Clemente IV riprende quasi alla lettera le concessioni di Alessandro III (Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 205, pp. 247-249). Solo con la cessione del 1297 (cfr. il lemma 'Comunità, origine, funzionamento'), questa situazione avrà termine, anche se il Capitolo si riserverà la giurisdizione spirituale sulla plebe, insieme ad alcuni beni, decime e altri diritti di prelievo (Le carte dell'Archivio capitolare di Asti, doc. 288, pp. 463-465; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 288, pp. 463-465). È ipotizzabile una localizzazione del territorio della villa tra la località San Sebastiano e la chiesa pievana (Eydoux 1978, pp. 21-22): due punti di riferimento nell'attuale territorio comunale sono costituiti dalla regione Rocca, in val Fameria, e della località Castellero, presso il confine con Cortanze, che forse corrisponde al sito del «masum de Castelario»: toponimo («de Castelario») attestato nel territorio di Pisenzana in documenti della seconda metà del secolo XIII (Eydoux 1979a, pp. 47-48, 48; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 262, pp. 323-325; Eydoux 1979b, pp. 29-30). Mairano: un documento del 1074, sulla cui integrale autenticità risulta esservi qualche dubbio, attribuisce al villaggio di Mairano il possesso della chiesa di San Nazario, un gioiello dell'arte romanica parvenuto fino ai nostri giorni (Visconti 2000, p. 8; Eydoux 1979a, pp. 46-47). La prima attestazione sicura è nell'atto di fondazione di Montechiaro (1200). Il toponimo riaffiora successivamente come indicativo di provenienza di personaggi nel 1231 (Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 391, p. 341) e nel 1242, quando troviamo però anche un riferimento al «territorium» del luogo (Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 47, pp. 54-56). Sebbene risulti impossibile precisare l'ubicazione di Mairano, una possibile indicazione ci è fornita dal microtoponimo regione Codevilla, attestato ancora agli inizi del secolo XX sulla collina posta tra il sito della chiesa di San Nazario e la regione Orchere. Nel 1265 papa Clemente IV conferma al monastero di San Benigno di Fruttuaria, oltre alla chiesa di San Nazario il possesso del «castrum» e della «villa» (Eydoux 1979b, p. 39; Viola 1973-1974, doc. 7). Anche lo stradario del 1450 menziona il «castrum de Meyrano». Una possibile traccia del castello nel toponimo regione Castelmairano, tra la chiesa e Codevilla (Eydoux 1979a, pp. 48-50, 49, 50; Eydoux 1979b, p. 30; Brosio 1961, p. 35). Maresco («Malisco» o «Malesco»): questo toponimo si incontra la prima volta nel già citato documento del 1074 (Visconti 2000, p. 7; Eydoux 1979a, pp. 46-47), ma la prima attestazione certa (attraverso il nome di un testimone presente alla stesura di un atto, «Alricus de Malisco») risale al 1150 (Eydoux 1979b, pp. 28-29, 28; Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 18). La Santa Sede conferma nel 1169 una serie di beni alla Chiesa d'Asti e tra essi è indicata la chiesa di Malesco, intitolata a quell'epoca a San Vittore, con decime e pertinenze (Visconti 2000, p.8; Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 44). Dopo la fondazione di Montechiaro, si incontra ancora menzione del luogo nel 1221, 1247, 1266, 1292, 1306 e 1307 (Codex Astensis, docc. 274 [1221], 726 [1292]; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, docc. 86 [1247], 205 [1266]; Carte astigiane del secolo XIV, docc. 109, 110, 111 [1306] e 123 [1307]). Albareto: nel documento del 1074 troviamo un primo riferimento al suo castello. Nella bolla papale del 1169, figura come sito di una cappella (cfr. il lemma 'Altre presenze ecclesiastiche') e di tre «mansi» («tres mansos in Abaraa») appartenenti al capitolo cattedrale (Eydoux 1979b, p. 30; Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 44, pp. 42-45). Quest'ultimo sembra detenervi, come in Pisenzana, interessi cospicui, fino al 1297. Tra le realtà qualificate dal toponimo nei documenti del secolo XIII: «vallis de Albareto» (1252, 1259, 1260) (Le carte dell'Archivio capitolare di Asti, doc. 63, pp. 82-85; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 153, pp. 176-177, doc. 185, pp. 224-225), «territorium de Albareto» (1260, 1278) (Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 182, pp. 220-221; Le carte dell'Archivio capitolare di Asti, doc. 157, pp. 221-223), «cortili de Albareto» (Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 63, pp. 82-85), siti di appezzamenti; «de Albareto» (1259) (Le carte dell'Archivio capitolare di Asti, doc. 62, pp. 80-82; doc. 63, pp. 82-85; Eydoux 1978, pp. 52-53), indicazione di provenienza di individui. Nell'alienazione dei diritti del capitolo al comune di Montechiaro nel 1297, figurano quelli sugli «homines» di Albareto (Le carte dell'Archivio capitolare di Asti, doc. 288, pp. 463-465; doc. 289, pp. 465-466). Nel registro del 1345 che elenca le chiese della diocesi di Asti appare ancora un riferimento alla sua chiesa, San Giorgio di Albareto, e al villaggio. Tracce più tarde del luogo nei microtoponimi quattrocenteschi «in Arbarellis» e «Beyrellum», corrispondenti probabilmente alla odierna valle Bairello, divisa fra i territori comunali di Montechiaro, Cortanze e Cunico (Eydoux 1979a, pp. 52-53). Gobione: la prima attestazione risale al 938 (Eydoux 1984, pp. 26-28; Le più antiche carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 54). La seconda attestazione si trova nelle bolle papali del 1156 e del 1169, come sito della chiesa di San Genesio «cum manso», posseduti della Chiesa astese (Il Libro Verde della Chiesa d'Asti, doc. 317, p. 212; Eydoux 1984, p. 27; Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 44, pp. 42-45). Tra coloro che prendono parte all'atto di fondazione di Montechiaro figura un «Rufinum de Gombiono», uomo di «Maliscum» (Maresco) (Codex Astensis, doc. 771). Gobione non viene più ricordato come villaggio dopo la fondazione di Montechiaro, ma soltanto (fino al 1266) come sito della chiesa o all'interno di un'indicazione toponimica che fa riferimento a un guado: «in posse Montisclari, ubi dicitur ad vadum Gubionis» (1239) (Eydoux 1984, p. 27; Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 22). «Cosperguli»: possibile luogo scomparso, di cui abbiamo traccia nelle attestazioni relative alla chiesa di San Martino (secolo XII) (Eydoux 1984, pp. 28-29). Crozarino (o Codarino o Clorclarino): compare per la prima volta in un documento del 1156, come sede di una chiesa intitolata a San Giovanni. A partire dal 1237 scompaiono tutti i riferimenti al villaggio, mentre la chiesa è ricordata nel documento della diocesi astense del 1345 come compresa nella pieve di Montechiaro. Ulteriori attestazioni della sua esistenza sono presenti nelle visite pastorali del XVII secolo. Permane a tutt'oggi il toponimo ad indicare la località (Visconti 2000, p. 16), sebbene secondo altre ipotesi possa rimandare all'attuale comune di Cortanze. Fontana Stantia: il villaggio, costruito in prossimità della chiesa di Sant'Andrea, è compreso negli elenchi dei possessi del Capitolo della Cattedrale astese nel 1169. Ceduto nel 1286 al pievano di Cossombrato, scompare nel successivo documento del 1345.
Comunità, origine, funzionamento
Insieme alla sua fondazione in quanto nuova realtà insediativa, nel 1200, Montechiaro acquista la condizione giuridica tipica dei «loca nova», di cui il comune di Asti va promuovendo la nascita da circa un decennio nelle aree di maggiore valore strategico limitrofe al primitivo «posse civitatis» (il territorio, grosso modo corrispondente al districtus vescovile, composto dai «burgi coherenti civitatis» o «posse vetus» e dalle «ville veteres»). Ai suoi abitanti, provenienti dai vicini luoghi, fino ad allora inquadrati in strutture di dominio signorile, viene concessa la cittadinanza astese. Montechiaro riconosce come oneri verso Asti il fare eserciti e soccorsi in pace e guerra verso il comune astense, salvare e custodire i cittadini astensi, concedere sempre l'accesso alla villanova agli stessi, pagare un fodro o una colletta su richiesta di Asti, assegnare ad Asti un sedime su richiesta. Si tratta del cosiddetto cittadinatico «de quantitate», messo a punto solo alcuni anni prima (lo si incontra per la prima volta nel 1198), che non obbliga alla residenza in città, ed equivale a una sorta di affrancazione collettiva dai gravami della dipendenza personale e, più in generale, implica una sostituzione dalla giurisdizione signorile con quella cittadina. Pur nella specificità delle diverse situazioni, la concessione della cittadinanza collettiva si accompagna a condizioni che delineano per le vere e proprie villenove (il termine è però usato raramente nelle fonti astigiane), così come più in generale per i «loca nova», uno statuto privilegiato entro il complessivo «dominato» astese, anche se non sembra equiparare realmente i loro residenti ai «cives antiqui» della città e dei sobborghi. Esse fanno perno sulla creazione di istituzioni comunali dotate di una certa autonomia giudiziaria e fiscale di fronte alle magistrature cittadine. Diversamente infatti dagli abitanti delle «ville veteres», considerati a tutti gli effetti rustici pienamente soggetti al dominio del comune cittadino, gli uomini dei «loca nova», ad esempio, non pagano alla loro comunità l'annuo «fodrum rusticale», ma contribuiscono, in genere, e questo sembra essere il caso di Montechiaro, come gli altri cittadini, al fodro urbano, straordinario, o a una qualche altra forma di versamento forfettario, che si configurano come un sorta di censo versato in cambio dell'affrancazione. Possono inoltre tenere catasti propri, distinti da quello cittadino (AC Montechiaro, 1200-1960, Prima Sezione d'Archivio [1200-1896], Serie 1, Pergamene, u. 1.1: Atto di fondazione di Montechiaro d'Asti [19 marzo 1200]; Bordone 1980a, pp. 141-145; Bordone 1989, pp. 284-287; Bordone 2002; Eydoux 1979b, pp. 36-37; Visconti 2000, p. 29). Molto complessa risulta la relazione della villanova con il capitolo della cattedrale di Asti. È probabile che questo detenesse diritti signorili di carattere personale su parte dei fondatori della villanova, e in particolare su coloro che provenivano da Pisenzana. Sta di fatto che nell'atto di fondazione di Montechiaro si fa esplicito riferimento alle possibili difficoltà che i signori avrebbero potuto incontrare nell'amministazione della giustizia. Dato il perdurare delle liti che almeno per tutto il XIII secolo caratterizzano i rapporti tra Montechiaro e il Capitolo è molto probabile che alla difficoltà di esercitare i diritti signorili che ancora gravavano su almeno parte degli abitanti della villanova sia da rimandare l'atto di vendita al comune di Montechiaro di tali diritti a cui fa riferimento un atto del Capitolo datato 28 marzo 1297. Fu solo dopo tale cessione che Montechiaro divenne effettivamente libero comune (Visconti 2000, pp. 29-30). Sul fronte dell'amministrazione della giustizia, questi luoghi hanno non di rado voce in capitolo nella scelta del podestà: a Montechiaro, la sua elezione è prerogativa locale, contestata dalla città, ma riconfermata nel 1312, l'anno stesso della dedizione di Asti a Roberto d'Angiò (AC Montechiaro, Prima Sezione, Serie 2, Atti antichi, u. 2.1: Sentenza relativa alla elezione del Podestà spettante alla Comunità di Montechiaro e non alla città di Asti [1312 copia del 1722]). Dopo avere attraversato una fase, quella del governo visconteo e orleanese, in cui invece i suoi spazi istituzionali di autonomia potrebbero essersi ridotti, la comunità di Montechiaro ricupera con il passaggio di Asti ai Savoia nel 1531 (Visconti 2000, p.77), e conserverà per tutta l'età moderna, la capacità di praticare prerogative piuttosto ampie. Nel 1561, ad esempio, in un documento prodotto nel corso della lite che la oppone a Villa San Secondo, compresa nel territorio del Marchesato di Monferrato, essa si proclama insignita da tempo immemorabile del «mero e misto imperio» e della «potestas gladii», obliterando la lunga e non troppo distante permanenza in una condizione forse meno privilegiata, afferma l'altrettanto risalente continuità della sua condizione di appartenenza al «capitaneato». Il testo prosegue con il ribadire, sulla falsariga di un'associazione pseudoetimologica corrente, la pienezza dell'esercizio giurisdizionale che si accompagna ai «certi e indubitati» confini della «villa»: lo «ius terrendi contra facinorosos homines delinquentes in suo territorio» (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, V, m. 1, 1319-1672, cc. 71-86, 1561. Incombenti fatti dalle Com. tà di Montechiaro, e Villa S. Secondo sulle diferenze loro di confini, nanti li delegati Bernardo Pagano p. parte del Duca di Savoja e Percivalle Calori p. parte del Duca di Monferrato, pretendendosi da quest'ult. Com.tà l'osservanza d'una sentenza arbitr.le del 1517, c. 81 v). La vita politica interna della comunità nell'età moderna sembra segnata da chiusure oligarchiche e da un'organizzazione di tipo dualistico e fazionario; nel secolo XVIII i gruppi che si confrontano prendono il nome di Antenati e di Opponenti (Bordone 1977, p. 173).
Statuti
Incipit liber capitulorum sive statutorum comunis montisclari tam maleficiorum quam causarum civilium del 14 aprile 1384, 38 ff. numerati (4 ff. aggiunti in epoche posteriori, ma risalenti alla metà del secolo XV): 107 articoli (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, n. 1: Statuti della Comunità di Montechiaro, Dono di S. E. il Cave Luigi Cibrario, V.i Nota 21 giugno 1861 [14 aprile 1384]; Cico 2000).
Catasti
Presso l'Archivio Storico comunale si trovano catasti redatti negli anni 1722-24 e 1777, Libri dei trasporti (registri dei mutamenti di proprietà degli appezzamenti) risalenti alla prima e alla seconda metà del secolo XIX, documentazione catastale relativa agli anni 1903-1936 (AC Montechiaro, Catasto, Serie 1, Libri del catasto, u. 372: Catasto figurato: libro della misura generale del territorio [1722-1724]; u. 373: Catastino: Libro in cui si contengono li beni posseduti da caduno nel luogo di Montechiaro per tutto l'anno 1777 [1777]; u. 374: Catasto dei terreni. Libro dei trasporti, vol. 7 [prima metà Ottocento]; u. 375: Catasto dei terreni. Libro dei trasporti, vol. 8 [seconda metà Ottocento]; u. 376-385: Catasto dei terreni. Libro dei trasporti, voll. 2, 3, 3bis, 4, 5, 6, 7, 8, 9 [inizio Novecento-anni Trenta Novecento]; u. 386: Catasto dei terreni. Matricola dei possessori [1923-1924]; Serie 2, Volture catastali, u. 387: Protocollo speciale delle domande di voltura dall'anno censuario 1913-1914 all'anno censuario 1935-1936; u. 388-402: Domande di voltura catastale [1903­1936]). Una relazione compilata nel quadro della Perequazione generale, apparentemente dopoil 1711, allude a operazioni di catastazione compiute intorno nel 1634. Dopo aver riferito della modalità locale di valutazione dei terreni a fini fiscali, «regolata a tenimenti, e non a proporzione di bontà», essa conclude per la assoluta necessità di una «misura generale del territorio» (AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, Capo 21, n. 161: Registro delle notizie prese da Commissarj deputati per la verificaz.ne de Contratti a Corpo de beni dal 1680 al 1711 inclusive circa la qualità delle Misure e Registro de beni di caduna Comunità del Piemonte, e denominaz.ne de Cantoni Membri, e Cassinali [s.d.], c. 43r), benché questa risulti essere stata effettuata nel 1702 (AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, Capo 21, n. 1: Nota Alfabetica de ' territorii stati misurati coll 'indicazione dell 'annata nella quale seguì la misura [s.d. ma dopo 1731], c. 10 v).
Ordinati
Presso l'Archivio Storico comunale sono conservati vari registri di Verbali originali del consiglio comunale «ordinario» e «raddoppiato» dal 1814 al 1897 (AC Montechiaro, Prima Sezione, Serie 3, Verbali originali del Consiglio ordinario e raddoppiato, uu. 3.1-3, 4.1-3, 5.1-3, 6.1-2, 7.1-2, 8.1-2 [1814-1837]) e di Verbali di deliberamento dello stesso consiglio e della giunta comunale dal 1815 al 1897 (AC Montechiaro, Prima Sezione, Serie 4, Verbali di deliberamento del Consiglio e della Giunta, uu. 9.1-3, 10.1-3, 11.1-3, 12.1-3, 13.1 [1815-1897]).
Dipendenze nel Medioevo

Pisenzana: è ipotizzabile che il vescovo di Asti Anselmo sia venuto in possesso del castello e della villa in seguito agli acquisti di «feudi» conclusi, probabilmente tra il 1157 e il 1162, con Ottone di Montemorino (luogo scomparso da situarsi forse nella media valle Rilate, nei pressi di Mombarone), con i signori di Cortanze, di Cunico e con altri «vassalli». Nel 1167, lo stesso vescovo cede questi recenti possessi ai canonici della sua cattedrale (Eydoux 1978, pp. 27-28; Eydoux 1979a, pp. 47-48; Eydoux 1979b, pp. 29-30; Le carte dello archivio capitolare di Asti, doc. 38). Mairano: mancano le attestazioni, ma i diritti del priorato benedettino di San Secondo della Torre Rossa, dipendente da San Benigno di Fruttuaria, documentati nei secoli XIII e XIV, sulla sua chiesa potrebbero adombrare un preesistente radicamento anche fondiario e signorile, oltreché di giurisdizione ecclesiastica, di quell'ente religioso (Eydoux 1979b, p. 30). Dal punto di vista della proprietà fondiaria, è documentata (1242) una presenza del Capitolo cattedrale (Le carte dello Archivio Capitolare di Asti: 1238-1272, doc. 47, pp. 54-56). Ipotizzabile, ma assai incerta, una dipendenza da signori di orbita aleramica nel tardo secolo XI (Eydoux 1979a, pp. 48-50). Maresco: tra gli «homines» di Maresco che prendono parte all'atto di fondazione di Montechiaro figura un «Obertus de Rippa», vassallo vescovile e cittadino astese, la cui famiglia, originaria di Riva di Chieri, detiene diritti signorili su Casasco, una circostanza che sembra indicare una presenza di questi signori anche in rapporto a Maresco, probabilmente in qualche forma di condominio con il Capitolo (Eydoux 1979a, p. 51; Eydoux 1979b, pp. 28­29). Dopo la fondazione di Montechiaro, i diritti del Capitolo su cose e persone del territorio della villanova sopravvivono a lungo. Ancora nel 1262, il comune di Montechiaro e il Capitolo sono in lite (dinanzi al giudice delegato dal papa) intorno alla giuridizione sul luogo, alle «pene e bandi» esercitati sugli abitanti, a decime e altri redditi («super iurisdictione ipsius loci, penis et bannis exactis ab hominibus loci eiusdem ad ipsum capitulum pertinentibus, pecuniae summa decimis, redditus et rebus aliis») (Le carte dell'Archivio capitolare di Asti, doc. 70, pp. 94-95). Solo nel 1297, il Capitolo, motivando la sua decisione con l'erosione cui vanno soggetti i suoi diritti di proprietà in quel territorio, la tenuità dei redditi che ne derivano e la propensione del comune di Asti a usurpare i «luoghi ecclesiastici», trasferisce a favore del comune di Montechiaro tutti i diritti di giurisdizione posseduti «su Montechiaro, sugli uomini di Montechiaro, Pisenzana, Cortanze, Albareto e Piea», tutti i suoi poteri bannali, diritti signorili, i legami di dipendenza personale che a esso per diverso titolo fanno capo, ogni altro bene e reddito fatta salva la giurisdizione spirituale sulla plebe, insieme ad alcuni beni, decime e altri diritti di prelievo a essa collegati:
merum et mixtum imperium ac omnimodam iurisdictionem quam habebat in Monteclaro, in hominibus Montisclari et Pisanzanae et Cortanserii et Albareti et Pleiae et fodra, banna et successiones et ius succedendi et homines et vassallos et fidelitates et homanescas et iura quae habebat in curacis et pedagiis et molitoriis et alia quaecumque [...]. Atque in dicta venditione fuerunt etiam renunciata omnia bona, fictus, debiturae, pensiones et quidquid capitulum et canonici ratione suarum prebendarum habebant vel habere videbantur usque ad illum diem sive in rebus, sive in iuribus, sive in hominibus dictorum locorum Montisclari, Pizantiane, Cortanzerii, Albareti et Pleiae (Le carte dell'Archivio capitolare di Asti, doc. 289, pp. 465-466; doc. 288, pp. 463-465).

Feudo
Nel disegno, lungamente perseguito da casa Savoia, di conseguire la sovranità sui feudi ecclesiastici «frammisti» ai loro Stati, si inserisce un passo compiuto dal duca Carlo Emanuele I nel 1611, che avrebbe potuto mutare drasticamente la condizione giurisdizionale di Montechiaro. In quell'anno, infatti, il duca raggiunge con il vescovo Giovanni Stefano Aiazza un accordo, in forza del quale, in permuta con la superiorità su diciassette luoghi dipendenti dal diretto dominio della Chiesa astigiana, cede alla stessa il luogo e territorio di Montechiaro, eretto «in feudo antico, retto, nobile e gentile» con titolo comitale. Benché ratificato nel 1613 dal Capitolo della cattedrale, il contratto non avrà alcun effetto, in quanto né il papa di allora, Paolo V, né i suoi successori concederanno il loro placet (AST, Corte, Paesi, Provincia di Asti, Feudi della Chiesa d'Asti, m. 27, n. 7: Diverse Copie del Memoriale sporto dal Vescovo d'Asti per ottenere il beneplacito apostolico della permuta da farsi tra esso, et il Duca Carlo Emanuele de' 17 Castelli semoventi dalla sua Chiesa con altrettanti redditi [s.d.]; n. 9: Copia d'Istruzione del Duca Carlo Emanuele Primo al Conte di Vische suo Ambasciatore a Roma per ottenere da S. Stà il Placet della permuta seguita tra detto Duca et il Vescovo d'Asti [1612]; n. 13: Consulto a favore della Camera Apostolica, nel quale si dimostra non essere tenuta confirmare la permuta seguita tra 'l Duca Carlo Emanuele Primo et il Vescovo d'Asti Aijazza delle 17 terre della Chiesa d'Asti col Feudo di Monte Chiaro [s.d.]; n. 19: Rattificanza del Capitolo della chiesa d'Asti del Contratto di permuta seguita tra il Duca Carlo Emanuel 1 ° et Monsig. Steffano Aijazza Vescovo d'Asti delli 10marzo 1611 per quale detto vescovo ha ceduto a detta S.A. la Sovranità sovra li diecisette castelli della detta Chiesa in cambio del feudo di Montechiaro [30 gennaio 1613]; Bosio 1894, p. 174; Guasco 1911, p. 1073).
Mutamenti di distrettuazione
l comune di Asti estende il proprio dominio del al di là dell'originario districtus vescovile tra la fine del secolo XII e gli inizi del secolo successivo. L'espansione si attua principalmente attraverso lo strumento del cittadinatico collettivo offerto agli abitanti dei villaggi che entrano nell'orbita cittadina. In questo caso, alla completa esautorazione dei vecchi domini si accompagna spesso, anche se non necessariamente, una profonda ristrutturazione dell'insediamento, come accade nella fondazione di Montechiaro. Altre volte, Asti consegue un controllo del territorio, almeno inizialmente, più indiretto, legando a sé i poteri signori con alleanze, vincoli feudali, patti di cittadinanza, che configurano sui luoghi interessati forme di giurisdizione cittadina «a compresenza signorile». Entro il primo quarto del secolo XIII, non solo lo spazio su cui si esercita complessivamente il dominatus di Asti, ma parimenti, al suo interno, lo stesso «posse Astense» (il vero e proprio territorio giurisdizionale del comune), si configura come un «territorio composito», articolato sulla base della diversità di condizione giuridica attribuita agli abitanti dei luoghi che lo compongono. Si tratta di una nozione ripresa e sistematizzata alla fine del secolo dal «sacrista» comunale e cronista Ogerio Alfieri, che, nella sfera della dipendenza diretta dal comune cittadino, distingue i borghi suburbani del «posse vetus civitatis», le «ville veteres», i «loca nova» o «loci novi». In questo schema di distrettuazione che si rivela assai durevole - e compatibile durante tutta l'età comunale con assestamenti e riclassificazioni dei luoghi al suo interno -, Montechiaro appartiene, per le circostanze della sua origine e per la caratterizzazione giuridica della sua dipendenza, alla categoria dei «loca nova» (Codex Astensis, cap. 51, p. 67; Bordone 1980a, p. 143; Bordone 2002). La sua condizione muta in modo netto, seppur solo temporaneamente, nella seconda metà del secolo XIV, quando la struttura del dominato astese, che la dedizione della città a Roberto d'Angiò nel 1312 non ha intaccato, subisce infine notevoli sconvolgimenti, sulla scia delle occupazioni e restituzioni dei luoghi, tra i quali Montechiaro, che scandiscono il conflitto tra i Visconti e i marchesi di Monferrato, testimoniate dai due patti intercorsi tra i belligeranti, nel 1364 e nel 1377, alle soglie della stabilizzazione politica raggiunta nel 1379 con il conseguimento della piena balia da parte di Gian Galeazzo Visconti (Bordone 1980a, pp. 146-147 e n. 49; Sangiorgio 1975, pp. 196 e 231). Dunque nel 1364 Montechiaro passa sotto il dominio dei marchesi di Monferrato e rimarrà tale fino al 1387, anno in cui tornò sotto i Visconti (Il codice delle Fidelitates Astenses, per esempio doc. 12, pp. 30-31; Visconti 2000, p.77). Così, nel complesso di norme relative all'esazione delle imposte indirette compilato nel 1377 e noto come Statuta Revarum, Montechiaro e altri sei «loca nova» vengono classificati unitamente a dieci «ville veteres» come appartenenti al districtus, un termine che riaffiora, a denotare una stretta dipendenza giurisdizionale e fiscale dalla città, sul modello di quella tipica appunto delle «ville veteres» (Bordone 1980a, p. 147 n. 50; Rubrice statutorum civitatis, p. 8v). Nelle fonti del tardo secolo XIV e del secolo XV si afferma in effetti una nuova partizione territoriale, che incontriamo per la prima volta nell'atto dotale (1386) di Valentina Visconti, andata in sposa a Luigi d'Orléans: accanto ai feudi di cittadini astensi e alle località soggette alla «iurisdictio civitatis» (il termine, equivalente, di districtus si trova solo nelle fonti comunali e non in quelle ducali), compare infatti una nuova circoscrizione, quella del «capitaneatus Astesane», istituita nell'età viscontea, in funzione difesiva antisabauda, che non dipende dagli organi cittadini, ma dall'amministrazione viscontea e poi orleanese. La nuova distrettuazione ricalca tuttavia in buona misura la distinzione di età comunale tra «ville veteres» e «loca nova»: non soltanto perché, per la maggior parte, le prime entrano nel distretto e i secondi nel capitaneato, ma soprattutto per la distinzione di condizione giuridica che essa continua a istituire tra i luoghi comunque soggetti a una diretta dipendenza giurisdizionale dai poteri imperniati sulla città (ad esempio, mentre gli abitanti del distretto pagano, come le «ville veteres», il fodro rustico alla loro comunità, il censo imposto nel capitaneato dalla tesoreria ducale evoca in qualche modo il fodro urbano pagato alla città nei «loca nova», come corrispettivo del cittadinatico) (Bordone 1980a, pp. 147-148 e nn. 49-50, 53; Il codice delle Fidelitates Astenses, p. 404; Sangiorgio 1975, p. 196; Rubrice statutorum civitatis Ast, p. 8v). Benché la figura del capitaneus scompaia probabilmente nel 1393, il capitaneato sopravvive per tutto il secolo XVI; la distinzione distretto/capitaneato permane dunque anche dopo il passaggio a casa Savoia della contea di Asti (attraverso la sposa del duca Carlo III, Beatrice di Portogallo, che nel 1531 ne viene investita dal cognato Carlo V), rimanendo significativa fino all'avvio della massiccia politica di infeudazioni che colpisce indifferentemente luoghi del distretto e del capitaneato inaugurata da Carlo Emanuele I a partire dalla prima guerra del Monferrato (1615-1618), e alle misure di scorporo dei contadi attuate negli anni successivi (Bordone 1980a, pp. 148-153 e nn. 55, 73; Bordone 1989, p. 24; Bordone 1998, pp. 24-25; Rubrice statutorum civitatis Ast, p. 16v). Nella contea sabauda, Montechiaro rientra tra i luoghi del capitaneato, ricuperando in tal modo una condizione più simile a quella che gli era propria in età comunale, benché non sia escluso che anche all'interno del districtus la comunità fosse riuscita a conservare una parte dei suoi passati privilegi (AC Montechiaro, Prima Sezione, Serie 1, Pergamene, u. 1.2: Rinnovo di fedeltà e conferma dei patti e privilegi fra la comunità di Montechiaro e Chiusano e la città d'Asti [18 giugno 1409]; u. 1.3: Sentenza della lite fra la Comunità di Montechiaro e Damiano di Valpono, procuratore fiscale, circa il pedaggio e le gabelle e dichiarazione delle Comunità di Montechiaro e Chiusano di appartenere al distretto di Asti e conferma dei privilegi [24 novembre 1411]; u. 2.2: Copia dell'istrumento di conferma dei privilegi del duca di Milano Gian Galeazzo [7 maggio 1381]; Bordone 1980a, pp. 152-153 e n. 73). A parte l'episodio senza seguito del 1613 (cfr. il lemma 'Feudo'), Montechiaro non subirà infeudazioni. Gli ordinamenti settecenteschi relativi alle intendenze, alle prefetture e alle assise dei giudici (1723, 1724, 1729, 1730 e 1749), confermano la collocazione di Montechiaro all'interno della provincia di Asti, istituita nel 1560, dove rimane fino alla caduta dell'antico regime in Piemonte (1798) (Cassetti 1996; Duboin 1818-1869, III, pp. 58, 72, 79, 98, 133, 160). Il luogo figura inoltre, almeno dal 1733, compreso nel Dipartimento (o Regolamento) di Asti delle Gabelle Unite del Piemonte (AST, Corte, Materie economiche, Gabelle generali, m. 1 d'addizione, n. 4: Billancj per le Regie Gabelle [1733]). Entro la maglia amministrativa francese, Montechiaro segue le sorti dell'intero territorio della vecchia provincia di appartenenza, aggregato, senza sostanziali alterazioni, a una circoscrizione di estensione variabile avente per capoluogo Asti. Si tratta dapprima del dipartimento del Tanaro, creato durante il primo effimero periodo di occupazione (1799), e, dopo il ritorno dei Francesi e in seguito alla riorganizzazione amministrativa del 1805, del dipartimento di Marengo, circondario (arrondissement) di Asti. Dopo la parentesi napoleonica, Montechiaro rientra, nel 1814, a far parte della ricostituita provincia di Asti che, dopo alcune instabili riorganizzazioni mandamentali nel 1818, viene ridotta a circondario della divisione amministrativa, poi provincia di Alessandria nel 1859 (Cassetti 1996; Sturani 1995; Sturani 2001). Nel 1926, il circondario di Asti, come gli altri circondari della provincia di appartenenza, confluì nel circondario di Alessandria, a sua volta soppresso (1927), «costituendo il suo territorio l'intera provincia di Alessandria» (Variazioni 1925-1927, p. 1). Infine, nel 1935, 105 comuni, tra i quali Cocconato, furono staccati dalla provincia di Alessandria e riuniti alla neoistituita provincia di Asti (Variazioni 1934-1936, pp. 7, 8-11; Bordone 2006; Gamba 2002). Attualmente è parte della Comunità collinare Val Rilate.
Mutamenti Territoriali
Nell'età moderna, la comunità risulta titolare di un «feudo rustico» (che non comporta cioè diritti di giurisdizione) di estensione pari a 200 giornate di boschi e incolti sul territorio di Cossombrato, nell'area della Madonna d'Olmetto. Per tali beni, la comunità riceve regolarmente l'investitura dai vescovi di Asti, a far data almeno dal 1519. Più tardi, vengono «meglio specificati» in virtù di una transazione intercorsa nel 1673 con i signori di Cossombrato, i conti Pelletta e Tarino. Da un punto di vista giurisdizionale, quei terreni afferiscono in effetti al feudo di Cossombrato (sono «semoventi dal castello di Cossombrato»), un luogo privo di organizzazione comunitaria («non fa corpo di comunità», nel linguaggio delle fonti), dipendente dal dominio diretto della Mensa Vescovile di Asti. In anni successivi all'acquisizione dei possessi feudali della Chiesa di Asti da parte dei Savoia (1784), la comunità riceve l'investitura da Vittorio Amedeo III (AC Montechiaro, Prima Sezione, Serie 1, Pergamene, u. 1.8: Atto di investitura del Vescovo di Asti Emanuele di Malabaila relativo ai boschi di Cossombrato a favore della Comunità di Montechiaro [10 dicembre 1519]; Serie 2, Atti antichi, u. 2.7: Investitura dei boschi in Cossombrato [21 marzo 1558]; u. 2.9 [31 maggio 1570]; u. 2.14 [5 ottobre 1588]; u. 2.16 [11 giugno 1597]; u. 2.17 [23 gennaio 1627]; u. 2.19 [3 aprile 1656]; u. 2.20 [17 ottobre 1663]; u. 2.21 [8 dicembre 1666]; u. 2.25 [12 aprile 1695]; u. 2.27 [1703-1770]; u. 2.29 [15 gennaio 1729]; u. 2.32 [1745-1785]; u. 2.33 [1796]; u. 2.34 [1796]; u. 1.13: Vittorio Amedeo IIIdi Savoia concede il rinnovo di investitura di 210 giornate di terreno, poste nel territorio di Cossombrato e di proprietà della Comunità di Montechiaro [5 aprile 1796]; u. 1.14: Decreto della Regia Camera relativo al pagamento di ottanta lire di Piemonte per ogni rinnovo dell'investitura di 210 giornate di terreno poste nel territorio di Cossombrato e di proprietà della Comunità di Montechiaro [2 luglio 1796]; AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, Capo 21, n. 73: Provincia d'Asti, Immuni e communi, Montechiaro [1721], c. 166; articolo 746, paragrafo 3, vol. 81: Mensa d'Asti Investiture feudali 1625 ad 1710, Libri diversi Investiturarum bonorum feudalium, et Feudorum in hoc Volumine uniti ab anno 1625 ad 1710, Consombrato, Montechiaro d'Asti; art. 794: Relazione, e descrizione di beni feudali in diversi Territorij delleprovincie d'Alba, Asti, Mondovì, e Torino [s. d. ma dopo 1784]). In seguito all'Editto di Perequazione del 5 maggio 1731, l'intero territorio di Cossombrato (che, sebbene la superiorità sul feudo appartenga formalmente alla Mensa vescovile fino al 1784, è oggetto di crescenti invadenze giurisdizionali di parte sabauda) viene «aggregato», essenzialmente ai fini della determinazione, ripartizione e riscossione delle imposte prediali, alla comunità di Montechiaro, depositaria del suo archivio e della sua documentazione catastale. Rappresentanti di Cossombrato, inoltre, siedono nel consiglio comunitativo di Montechiaro. Questa situazione dura fino al 1792, quando viene eretta la comunità di Cossombrato (AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, Capo 21, n. 1: Stato de' Tenimenti, che non fanno Corpo di Comunità [s.d. ma dopo 1731], c. 24r; Balduini, ff. 105v, 106-106v; si veda la scheda dedicata a Cossombrato). Un altro territorio, privo di organizzazione comunitaria, quello del feudo (di intricata e controversa sovranità) di Casasco, deve all'Editto del 1731 la sua aggregazione a Montechiaro, anche questa volta in vista della «collettazione dei carichi» fiscali, qui come a Cossombrato «per i beni enfiteutici dipendenti dal feudo». In questo caso, la comunità di Montechiaro è «investita della total giurisdizione» del territorio, nel quale i feudatari Grésy e Asinari di Bernezzo non possiedono «alcun redito né fondo feudale», alla riserva della «decima de' frutti di qualsivoglia sorta». Dopo il 1770, Casasco risulta nuovamente smembrato da Montechiaro e aggregato alla comunità di Camerano (AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, Capo 21, n. 1: Stato de' Tenimenti, che non fanno Corpo di Comunità [s.d. ma dopo 1731], c. 24r; Balduini, ff. 154-154 v; si veda la scheda dedicata a Camerano Casasco). Nel 1929 vennero ridefiniti i confini tra Montechiaro e Chiusano (cfr. il lemma 'Altre presenze ecclesiastiche').
Comunanze
Tra i documenti prodotti dalla Perequazione generale del Piemonte figura un lungo elenco «beni antichi della comunità» di Montechiaro, compilato nel 1721, sulla base delle dichiarazioni degli amministratori locali. Esso enumera diversi piccoli appezzamenti di terreno adibito a pascolo per un'estensione complessiva di circa 17 giornate, sparsi per il territorio di Montechiaro. Ma soprattutto registra le 200 giornate di bosco e 10 giornate di incolto e siti di strade che compongono il «feudo rustico» della comunità sul territorio di Cossombrato, nella regione della Madonna d'Olmetto, «ossia del Prato» o «del Debatto». Il bosco viene affittato al migliore offerente per il taglio periodico, che si completa in un ciclo di otto o nove anni, e il ricavato contribuisce al pagamento dei i debiti della comunità o della taglia, in scarico dei contribuenti (AST, Camera dei Conti, articolo 746, paragrafo 3, vol. 81: Mensa d'Asti Investiture feudali 1625 ad 1710, Libri diversi Investiturarum bonorum feudalium, et Feudorum in hoc Volumine uniti ab anno 1625 ad 1710, Consombrato, Montechiaro d'Asti; II Archiviazione, Capo 21, n. 161: Registro delle notizie prese da Commissarj deputati per la verificaz.ne de Contratti a Corpo de beni dal 1680 al 1711 inclusive circa la qualità delle Misure e Registro de beni di caduna Comunità del Piemonte, e denominaz.ne de Cantoni Membri, e Cassinali [s.d.], c. 166; art. 794: Relazione, e descrizione di beni feudali in diversi Territorij delle provincie d'Alba, Asti, Mondovì, e Torino [s. d. ma dopo 1784]; Balduini, ff. 154-154 v). Intorno a queste risorse, aperte all'uso promiscuo degli abitanti di entrambi i luoghi, Montechiaro e di Cossombrato, non mancano di insorgere tensioni. Nel 1821, ad esempio, quando la comunità di Montechiaro decide di affittare circa 25 giornate di terreni da essa classificati come incolti «infruttiferi», e di destinarli al dissodamento e alla coltivazione, si scontra con l'opposizione del comune di Cossombrato. Una perizia disposta dall'intendenza di Asti conclude per la distinzione dell'area in due sezioni di estensione pressoché eguale: una collinare, chiaramente classificabile come bosco e una pianeggiante di incolto che può dare un prodotto «in fascine». A Montechiaro viene dunque accordato il permesso di «roncamento» limitatamente a 10 giornate di bosco (site nelle regioni Bricco della Terra, Bricco del Prete e Bricco della Porta) e con obbligo di «reinselvamento» dopo un periodo di sfruttamento triennale, per non privare il comune di Cossombrato «di una raguardevole estensione di pascolo» (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, m. 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, atti relativi al dissodamento di boschi comunali [1821, 1827]).
Liti Territoriali
Nel 1461,  un accordo tra Montechiaro e i signori di Rinco, riconosce il torrente Versa come confine tra i rispettivi territori; precisa l'appartenenza territoriale dei siti sui quali sorge un complesso di mulini, dichiarandone invece gli edifici proprietà comune e comuni, in parti eguali, i proventi; fissa infine per ciascuna delle due parti contraenti dettagliati obblighi di governo delle acque degli affluenti della Versa sulle sponde rispettivamente controllate. L'atto assume particolare rilevanza, in quanto definisce nello stesso tempo il confine tra la contea di Asti e il marchesato, poi ducato, di Monferrato (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, n. 3: Transazione fatta tra la Comunità di Montechiaro ed Andreono Iberto e Guglielmino fratelli de Pallidi Signori di Rinco circa le differenze tra loro vertenti per un molino posto sulla Versa tra i confini di Montechiaro e di Rinco [18 settembre 1461]). Dal 1561 Montechiaro appare impegnato in una lite di confine con Cunico, anch'esso località monferrina: il contenzioso verte su alcuni pascoli (boschi e incolti). La lite sembra concludersi nel 1577 con la «terminazione dei due finaggi» per sentenza emessa dai due arbitri rispettivamente delegati dal duca di Savoia e dal duca di Monferrato, che prevede, tra l'altro, la costruzione di una strada che dovrà restare «comune e divisoria», servendo da «termine immobile e naturale», tra le due comunità. Nel 1672, un sequestro di merci operate dagli agenti del Dazio generale del Monferrato ai danni di due abitanti di Montechiaro, innesca tuttavia una contesa giurisdizionale intorno a una porzione della cosiddetta Contrada del Pilone, in cui si incontrano i confini di Montechiaro, Cunico e Colcavagno (Monferrato), che, contro Cunico, Montechiaro rivendica come propria. Il luogo in cui è avvenuto il sequestro contestato è apparentemente un tratto della «strada reale», che da Moncalvo, per Alfiano, si porta a Castelvero e Piovà (tutte località del ducato di Monferrato), toccando il territorio di Montechiaro e quello del feudo ecclesiastico di Piea. Nel 1584 era sorta lite tra Cunico e il conte di Piea che cercava di riscuotere un pedaggio sulla strada, in quello che Cunico riteneva essere proprio «indubitato» territorio. La data del 1561 segna anche l'avvio, per le cancellerie sabauda e monferrina, di un contenzioso territoriale che oppone Montechiaro a Villa San Secondo (Monferrato). Una definizione dei confini tra le due comunità è già intervenuta nel 1517, con sentenza di Gerolamo Malabaila, delegato dal re di Francia nel 1515 a terminare la controversia allora in corso. In anni successivi, però, contravvenendo, secondo la versione di Villa San Secondo, a quanto disposto dalla sentenza del 1517, i Montechiaresi hanno costruito una cascina sul monte Garabello (la cartografia odierna riporta, in territorio di Montechiaro, poco a sud degli abitati dei due comuni, il toponimo «Cascina Garabello») e, sempre secondo i Monferrini, approfittando degli eventi bellici, sono andati rimuovendo e spostando i termini di confine. Vanno inoltre compiendo violenti atti di possesso, recandosi in squadre di uomini armati a distruggere ed edificare ponti sui corsi d'acqua, tagliare alberi in quello che Villa San Secondo considera il proprio territorio. La contesa tra Villa San Secondo e Montechiaro è parte di un più complesso contenzioso, al quale, tra il secolo XV e il secolo XVII, concorrono aspetti e attori molteplici. Esso riguarda una vasta area nota all'epoca come «Boschi del Debatto», perlopiù boschiva e incolta, ma progressivamente interessata da dissodamenti, al cui centro si trova la capella della Madonna d'Olmetto (oggi, nel comune di Cossombrato). Su questi terreni convergono le pratiche d'uso degli abitanti degli insediamenti limitrofi, quali Cossombrato (feudo ecclesiastico), Villa San Secondo (Monferrato), Montechiaro (Capitanato di Asti), Corsione (Monferrato), Callianetto (Distretto di Asti, Castell'Alfero), in una situazione in cui i diritti di proprietà e di giurisdizione si presentano particolarmente intricati e indistinti (in maniera alquanto confusa, su almeno una parte dell'area si conserva la memoria di una dipendenza originaria dalla Mensa vescovile di Asti). Il centro propulsore principale, per così dire, della controversia, risiede nella situazione di indistinzione dei territori e di concorrenza giurisdizionale esistente tra il feudo di Cossombrato e la comunità di Villa San Secondo, che dura dalla nascita di quest'ultima alla fine del secolo XIII. Le tensioni a questo riguardo si riacutizzano intorno alla metà del secolo XVI, quando, probabilmente sulla spinta della crescita demografica, i signori del castello di Cossombrato si fanno promotori di iniziative di colonizzazione degli spazi incolti. Le sentenze arbitrali emesse da delegati monferrini e sabaudi, con la partecipazione di rappresentanti del vescovo, nel 1578 e nel 1580, la conseguente «terminazione» avvenuta nel 1583, danno luogo a una approssimativa misura e a una spartizione dell'area contesa del Debatto tra i signori di Cossombrato e Villa San Secondo, che lascia a carico dei primi la soddisfazione delle rivendicazioni eventualmente avanzate da Montechiaro. Le azioni rivendicative di Montechiaro continuano tuttavia a colpire Villa San Secondo, forse anche in ragione del radicamento astigiano e dell'allineamento filosabaudo dei conti Pelletta di Cossombrato, che anzi, all'inizio del secolo XVII, quando tornano a verificarsi episodi di scontro violento tra le due comunità, troviamo spesso alleati, quando non istigatori, degli uomini di Montechiaro. Un punto fermo al secolare contenzioso sul Debatto, anche sul fronte del confine tra Montechiaro e Villa San Secondo è raggiunto nell'aprile del 1606, con la sentenza arbitrale pronunciata alla Madonna d'Olmetto, dai senatori Rovasenda (per il duca di Savoia) e Manenti (per il duca di Monferrato): viene confermata la validità delle transazioni passate tra il feudo di Cossombrato e Villa San Secondo, escludenti dalla porzione dei boschi toccata a quest'ultima ogni compensazione a beneficio di Montechiaro; si rimandano i Montechiaresi alla trattativa diretta con i feudatari di Cossombrato per ogni questione relativa alle cessioni che i primi avrebbero ottenuto dai secondi nel 1505 e nel 1509; si conferma la «misura» e ridefinizione/ripristino dei termini di confine tra le due comunità (e rispettivi stati), avvenuta nel luglio dell'anno precedente (AST, Paesi, Monferrato, Confini, m. 68, P 6, 1240-1673, Docume.ti e Lettere risguard.ti le pendenze territoriali, che vi furono tralli Duchi di Monferr.o, e li SS.i di Passerano quand'erano Feudatarj dell'Impero; E l'acquisto, che de' loro feudi fu offerto dal Duca Carlo Emanuele I, cc. 66v-67v; si vedano le schede dedicata a Castell'Alfero, Corsione, Cossombrato, Villa San Secondo).
Fonti
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Catasto, Serie 1, Libri del catasto, u. 372: Catasto figurato: libro della misura generale del territorio (1722-1724); u. 373: Catastino: Libro in cui si contengono li beni posseduti da caduno nel luogo di Montechiaro per tutto l'anno 1777(1777); u. 374: Catasto dei terreni. Libro dei trasporti, vol. 7 (prima metà Ottocento); u. 375: Catasto dei terreni. Libro dei trasporti, vol. 8 (seconda metà Ottocento); u. 376-385: Catasto dei terreni. Libro dei trasporti, voll. 2, 3, 3bis, 4, 5, 6, 7, 8, 9 (inizio Novecento-anni Trenta Novecento); u. 386: Catasto dei terreni. Matricola dei possessori (1923-1924); Catasto, Serie 2, Volture catastali, u. 387: Protocollo speciale delle domande di voltura dall'anno censuario 1913-1914 all'anno censuario 1935-1936; u. 388-402: Domande di voltura catastale (1903-1936); 1200-1960, Prima Sezione d'Archivio (1200-1896), Serie 1, Pergamene, u. 1.1: Atto di fondazione di Montechiaro d'Asti (19 marzo 1200); u. 1.2: Rinnovo di fedeltà e conferma dei patti e privilegi fra la comunità di Montechiaro e Chiusano e la città d'Asti (18 giugno 1409); u. 1.3: Sentenza della lite fra la Comunità di Montechiaro e Damiano di Valpono, procuratore fiscale, circa il pedaggio e le gabelle e dichiarazione delle Comunità di Montechiaro e Chiusano di appartenere al distretto di Asti e conferma dei privilegi (24 novembre 1411); u. 1.4: Libro delle Strade (1451); u. 1.8: Atto di investitura del Vescovo di Asti Emanuele di Malabaila relativo ai boschi di Cossombrato a favore della Comunità di Montechiaro (10 dicembre 1519); u. 1.6: Ludovico e Gaspare Pelletta con Brando e Percivalle cedono agli uomini di Montechiaro (20 maggio 1505); u. 1.7: I conti Gaspare e Bernardo Pelletta cedono alla Comunità di Montechiaro 225 giornate di boschi di Cossombrato a patto che li difenda dagli attacchi degli uomini di Villa San Secondo (1 settembre 1509); u. 1.13: Vittorio Amedeo III di Savoia concede il rinnovo di investitura di 210 giornate di terreno, poste nel territorio di Cossombrato e di proprietà della Comunità di Montechiaro (5 aprile 1796); u. 1.14: Decreto della Regia Camera relativo al pagamento di ottanta lire di Piemonte per ogni rinnovo dell'investitura di 210 giornate di terreno poste nel territorio di Cossombrato e di proprietà della Comunità di Montechiaro (2 luglio 1796); Prima Sezione, Serie 2, Atti antichi, u. 2.1: Sentenza relativa alla elezione del Podestà spettante alla Comunità di Montechiaro e non alla città di Asti (1312 copia del 1722); u. 2.2: Copia dell'istrumento di conferma dei privilegi del duca di Milano Gian Galeazzo (7 maggio 1381); u. 2.12; Estratto del decreto di approvazione del Senato relativo ai privilegi concessi dal duca Emanuele Filiberto alla Comunità di Montechiaro (10 maggio 1576); u. 2.13; Conferma dei privilegi della Comunità di Montechiaro (1582); u. 2.7: Investitura dei boschi in Cossombrato (21 marzo 1558); u. 2.9 (31 maggio 1570); u. 2.14 (5 ottobre 1588); u. 2.16 (11 giugno 1597); u. 2.17 (23 gennaio 1627); u. 2.19 (3 aprile 1656); u. 2.20 (17 ottobre 1663); u. 2.21 (8 dicembre 1666); u. 2.25 (12 aprile 1695); u. 2.27 (1703-1770); u. 2.29 (15 gennaio 1729); u. 2.32 (1745-1785); u. 2.33 (1796); u. 2.34 (1796); u. 2.6: Instrumento con la Comunità di Montechiaro per il canone che paga al priore di San Secondo (15 aprile 1540); u. 2.10: Instrumento con copia delle terre del Priorato (23 ottobre 1570); u. 2.15 (30 novembre 1591); u. 2.11: Istrumento di pace fatta tra li Particolari di Montechiaro (6 agosto 1571); Prima Sezione, Serie 3, Verbali originali del Consiglio ordinario e raddoppiato, uu. 3.1-3, 4.1-3, 5.1-3, 6.1-2, 7.1-2, 8.1-2 (1814-1837); Prima Sezione, Serie 4, Verbali di deliberamento del Consiglio e della Giunta, uu. 9.1­3, 10.1-3, 11.1-3, 12.1-3, 13.1 (1815-1897). AD Asti (Archivio Storico della Diocesi di Asti), Visitatio apostolica episcopi Sarsinatensis 1585 (Peruzzi).
AST (Archivio di Stato di Torino):
Camera dei Conti, articolo 746, paragrafo 3, vol. 81: Mensa d'Asti Investiture feudali 1625 ad 1710, Libri diversi Investiturarum bonorum feudalium, et Feudorum in hoc Volumine uniti ab anno 1625 ad 1710, Consombrato, Montechiaro d'Asti; Camera dei Conti, art. 794: Relazione, e descrizione di beni feudali in diversi Territorij delle provincie d'Alba, Asti, Mondovì, e Torino (s. d. ma dopo 1784); Camera dei Conti, II Archiviazione, Capo 21, n. 1: Nota Alfabetica de' territorii stati misurati coll'indicazione dell'annata nella quale seguì la misura (s.d. ma dopo 1731); n. 1: Stato de' Tenimenti, che non fanno Corpo di Comunità (s.d. ma dopo 1731); n. 73: Provincia d'Asti, Immuni e communi, Montechiaro (1721); n. 161: Registro delle notizie prese da Commissarj deputati per la verificaz.ne de Contratti a Corpo de beni dal 1680 al 1711 inclusive circa la qualità delle Misure e Registro de beni di caduna Comunità del Piemonte, e denominaz.ne de Cantoni Membri, e Cassinali (s.d.); Corte, Materie economiche, Gabelle generali, m. 1 d'addizione, n. 4: Billancj per le Regie Gabelle (1733); Corte, Paesi, Monferrato, Confini per A e B, P 6, 1240-1673, Docume.ti e Lettere risguard.ti le pendenze territoriali, che vi furono tralli Duchi di Monferr.o, e li SS.i di Passerano quand'erano Feudatarj dell'Impero; E l'acquisto, che de' loro feudi fu offerto dal Duca Carlo Emanuele I, cc. 66v-67v; V, m. 1, 1319-1672, cc. 71-86, 1561. Incombenti fatti dalle Com. tà di Montechiaro, e Villa S. Secondo sulle diferenze loro di confini, nanti li delegati Bernardo Pagano p. parte del Duca di Savoja e Percivalle Calori p. parte del Duca di Monferrato, pretendendosi da quest'ult. Com.tà l'osservanza d'una sentenza arbitr.le del 1517; Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, m. 27, fasc. Montechiaro (Asti), 1297-1842, atti relativi al dissodamento di boschi comunali (1821, 1827); n. 1: Statuti della Comunità di Montechiaro, Dono di S. E. il Cav.e Luigi Cibrario, V.i Nota 21 giugno 1861 (14 aprile 1384); n. 3: Transazione fatta tra la Comunità di Montechiaro ed Andreono Iberto e Guglielmino fratelli de Pallidi Signori di Rinco circa le differenze tra loro vertenti per un molino posto sulla Versa tra i confini di Montechiaro e di Rinco (18 settembre 1461); 1828. Congregaz.ne di Carità ed i poveri di Montechiaro chiedono la rimossione del med.o Falletti Sindaco di quel Comune come interessato in una lite che loro rigguarda; Lettera dell'intendente di Asti al primo segretario di stato agli affari interni (10 dicembre 1821); Montechiaro (il comune) Opera straordinaria per inselvamento d'un bosco dissodato (13 Ottobre 1827); S.M. autorizza la Com.tà di Montechiaro a continuare nella coltura di 5 g.te di gerbido ch'essa possiede nel territorio di Cossombrato (Asti) derogando all'uopo al disposto del R.o Biglietto 27 genn.o 1824; Relazione a S.M. (16 marzo 1827); n. 9: Proposte e deliberazioni per la riduzione delle tre parrocchie di Montechiaro ad una sola (1816); Comunità di Montechiaro, Copia d'Ordinato, Ordinato di dimanda per la riunione delle tre Parochie in una sola (27 settembre 1816); Sacerdote Carlo Domenico Mossotti parroco di Montechiaro d'Asti. Perché si rigetti la domanda di quel Consiglio Comunitativoper la soppressione delle tre Parrochie ivi nominate (1816); Corte, Paesi, Provincia di Asti, Feudi della Chiesa d'Asti, m. 27, n. 7: Diverse Copie del Memoriale sporto dal Vescovo d'Asti per ottenere il beneplacito apostolico della permuta da farsi tra esso, et il Duca Carlo Emanuele de' 17 Castelli semoventi dalla sua Chiesa con altrettanti redditi (s.d.); n. 9: Copia d'Istruzione del Duca Carlo Emanuele Primo al Conte di Vische suo Ambasciatore a Roma per ottenere da S. Stà il Placet della permuta seguita tra detto Duca et il Vescovo d'Asti (1612); n. 13: Consulto a favore della Camera Apostolica, nel quale si dimostra non essere tenuta confirmare la permuta seguita tra 'l Duca Carlo Emanuele Primo et il Vescovo d'Asti Aijazza delle 17 terre della Chiesa d'Asti col Feudo di Monte Chiaro (s.d.); n. 19: Rattificanza del Capitolo della chiesa d'Asti del Contratto di permuta seguita tra il Duca Carlo Emanuel 1° et Monsig. Steffano Aijazza Vescovo d'Asti delli 10 marzo 1611 per quale detto vescovo ha ceduto a detta S.A. la Sovranità sovra li diecisette castelli della detta Chiesa in cambio del feudo di Montechiaro (30 gennaio 1613).

B.N.F. (Bibliothèque nationale de France). Vedi catalogo.
B.N.F., département Cartes et plans, GE DD-2987 (5054 B), La principauté de Piémont, les marquisats de Saluce et de Suze, les comtés de Nice et d'Ast, le Montferrat / dediée au roy par son très humble, très obéissant, très fidèle sujet et serviteur H. Jaillot, géographe de sa Majesté, [chez l'auteur] (A Paris), 1695 [Jaillot, Alexis-Hubert (1632?-1712). Cartographe]. Vedi mappa.

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Descrizione Comune
Montechiaro d'Asti
 Una delle principali caratteristiche che segnarono nel lungo periodo l'assetto territoriale di Montechiaro fu la forza della sua strutturazione in tre «quartieri», corrispondenti nel nome e nel simbolismo dell'orientamento topografico ai luoghi (Pisenzana, Mairano e Maresco) che avevano maggiormente contribuito al popolamento della villanova. Allo stato attuale della ricerca, non è possibile comprenderne adeguatamente il significato, ma è almeno plausibile l'ipotesi che per tutta l'età moderna quella tripartizione non abbia costituito una mera sopravvivenza del passato, ma abbia fornito alle fazioni che nella storia di Montechiaro si contesero il potere locale un duraturo principio di organizzazione. In particolare, ciò si manifesta nella compresenza e concorrenza cultuale delle tre parrocchie di Santa Caterina (quartiere di Pisenzana), San Bartolomeo (quartiere di Mairano) e Santa Maria Maddalena (quartiere di Maresco), una situazione protrattasi fino al 1837 e simbolicamente espressa nella trasmigrazione periodica, talvolta foriera di tensioni e di esplosioni di violenza, spesso più ordinata o negoziata, ma mai veramente pacifica, del Santissimo.
È notevole segnalare, a questo proposito, come un documento della fine del XVIII secolo testimoni la volontà di ricostruire e ufficializzare il rapporto tra le famiglie locali e il territorio, attraverso la minuziosa analisi dello stradario di metà Quattrocento tuttora conservato presso l'Archivio storico comunale.
I decenni compresi tra la fase più tarda dell'antico regime, durante la quale le lotte interne alla élite locale si espressero nella contrapposizione fra «Antenati» e «Opponenti», al periodo napoleonico e all'età della Restaurazione corrispondono a uno snodo importante, che meriterebbe approfondire, perché può aiutarci a gettare luce sull'operare del principio segmentano su base topografica, nel momento stesso in cui se ne profila probabilmente la crisi. Sembra infatti coagularsi allora uno schieramento di notabili orientato a riformulare i propri meccanismi di legittimazione direttamente su base municipale piuttosto che di quartiere. Superato con successo il passaggio dal periodo del governo francese alla Restaurazione, esso si rivela subito dotato dei canali di comunicazione più efficienti con le autorità statali e vescovili, dalle quali riceve approvazione e sostegno per il suo progetto di unificazione delle tre parrocchie di Montechiaro, implicante l'edificazione di una nuova sede o la ristrutturazione di una di quelle esistenti (con la demolizione, rispettivamente, di tutte e tre le vecchie chiese o di due di esse).

Nel 1816, l'anziano parroco di Santa Maria Maddalena ed economo di San Bartolomeo, cura vacante da ormai dieci anni, facendosi interprete di chi avversava il progetto, scriveva che all'origine degli «sforzi che si fecero sotto il cessato governo per la demolizione di queste chiese» erano «que' stessi che allora nel consiglio del municipio pervennero ancora a far parte dell'attuale Consiglio di Communità». Per risolvere la questione, i maggiorenti che appaiono schierati dietro il parroco di Maresco reclamano per suo tramite la via, consacrata dalla consuetudine, dell'assemblea generale dei capi di casa, contro la procedura decisionale stabilita dal prefetto di Asti: la convocazione di un «triplicato consiglio» composto di diciotto membri (i sei membri del «consiglio ordinario» più dodici «aggiunti»), secondo un criterio che intende assicurare la rappresentanza dei migliori «registranti» presenti in ogni parrocchia, ma che di fatto penalizza i più eminenti. Dietro queste proteste, si intravedono «le famiglie degli antichi benefattori delle parrocchie, che hanno cappelle, altari e sepolcri di loro patronato», evocate dal parroco dissidente, depositarie di un prestigio e di una legittimazione sociale della loro preminenza che si identificava forse con clientele in prevalenza interne ai confini delle singole parrocchie. I promotori dell'unicità della parrocchia, di cui gli avversari ricordano il passato che vorrebbero far apparire politicamente imbarazzante sotto il governo francese, vengono sì messi in cattiva luce sottolineandone lo spirito distruttivo e la smania per le «innovazioni», che la retorica conservatrice associa con la Rivoluzione, ma in alternativa, e con maggiore concretezza, sono presentati come «ansiosi, perché abitanti di piazza a torsi davanti una chiesa che possa forse nascondere od impedire la pompa che si vorebbe fatta dai loro caseggiati». La nuova politica del prestigio reca, a quanto sembra, un marchio residenziale preciso e comporta modalità di espressione tangibile della preminenza sociale che trasformano lo spazio del borgo come arena politica, proponendone una più decisa focalizzazione sulla «piazza». Si tratta di un processo di cui ci pare di poter cogliere una traccia nel rilievo che acquista la «contrada centrale» nella letteratura corografica della prima metà dell'Ottocento e nel parallelo declassamento dei tre quartieri originari a «sobborghi», ancorché descritti come demograficamente preponderanti sul nucleo centrale.
Non tutti gli «innovatori» pensavano in realtà ad abbattere le vecchie chiese parrocchiali e in particolare quella di San Bartolomeo, per l'appunto «sita nel centro del paese sulla pubblica piazza»; anzi, a dispetto delle accuse del suo economo e parroco di Maresco, la centralità appariva ai più un requisito necessario per la nuova sede, si trattasse di costruirla dal nulla o di riattare un precedente edificio. Il progetto di unificazione parrocchiale comportava però in ogni caso la fusione dei benefici e la messa in vendita di una parte di essi, una misura ufficialmente necessaria per finanziare i lavori necessari alla nuova sede, ma che nello stesso tempo si può vedere come un'appendice alle vendite dei «beni nazionali» effettuate sotto il precedente governo (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, m. 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, n. 9: Proposte e deliberazioni per la riduzione delle tre parrocchie di Montechiaro ad una sola [1816]).
La questione delle parrocchie si intreccia con la gestione poco trasparente del lascito disposto a favore dei poveri della sua parrocchia, elencati nominativamente, dall'arciprete Tommaso Viale, l'ultimo curato di San Bartolomeo, morto nel 1806. All'apertura del testamento, non si erano trovate somme significative di denaro nei suoi «scrigni», benché il personaggio in vita «passasse per uomo pecuniosissimo», mentre l'esecutore testamentario, il vice curato, prometteva di «far palese» la persona presso la quale i soldi erano stati collocati. In un clima di intrighi e reticenze, gli esecutori testamentari, sempre a detta del parroco di Maresco, vennero esautorati dal locale Comitato di beneficenza, a tutto danno degli intestatari, ai quali sarebbero andate ben magre elemosine. Dietro queste malversazioni: il «maire», poi sindaco sotto la Restaurazione, e il pievano di Santa Caterina, ossia gli esponenti dello stesso gruppo di potere che patrocinava la riduzione delle parrocchie (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, m. 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, 1828. Congregaz.ne di
Carità ed i poveri di Montechiaro chiedono la rimossione del med.o Falletti Sindaco di quel Comune come interessato in una lite che loro rigguarda; n. 9: Proposte e deliberazioni per la riduzione delle tre parrocchie di Montechiaro ad una sola [1816]).
Siamo tentati di scorgere logiche sociali in qualche modo riferibili alle nuove configurazioni e ai nuovi comportamenti dell' élite locale dietro le pressoché contemporanee vicende che interessano i beni del «feudo rustico» di cui è titolare la comunità, e che si cerca di avviare, negli anni Venti del secolo XIX, verso una sostanziale forma di privatizzazione, in grado di procurare, secondo alcune voci critiche nell'amministrazione sabauda, un beneficio che «non sarebbe per ridondare a favore del pubblico, ma bensì dei proprietari che cercano di farsene investire in perpetuo per una convenzione enfiteutica» (AST, Corte, Paesi, Paesi per A e B, M, m. 27, fasc. Montechiaro [Asti], 1297-1842, Lettera dell'intendente di Asti al primo segretario di stato agli affari interni [10 dicembre 1821]; Montechiaro [il comune] Opera straordinaria per inselvamento d'un bosco dissodato [13 Ottobre 1827]; S.M. autorizza la Com. tà di Montechiaro a continuare nella coltura di 5 g. te di gerbido ch 'essa possiede nel territorio di Cossombrato (Asti) derogando all'uopo al disposto del R.o Biglietto 27genn.o 1824; Relazione a S.M. [16 marzo 1827]).
Le tensioni interne alla comunità non impedirono comunque l'affermarsi di una identità locale forte, che si esprimevano in particolare con una tensione anti-monferrina che caratterizzò a lungo anche i comportamenti di carattere sociale fino al XX secolo. Ne è un esempio il costume, descritto ancora da Luigi Bo nel 1933, che prevedeva una dichiarazione esplicita a favore dei Savoia per le spose provenienti dirette a Montechiaro e provenienti dai comuni di Rinco, Scandeluzza e Colcavagno un tempo apparteneneti al Monferrato (Visconti 2000, p.77).