Autori | Battistoni, Marco |
Anno Compilazione | 2005 |
Provincia | Asti
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Area storica | Feudi della Chiesa di Asti; Contado di Asti. Vedi mappa 1. Vedi mappa 2. Vedi mappa 3.
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Abitanti | 1206 [censimento 1991] / 1241 [censimento 2001].
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Estensione | Ha. 1065 [ISTAT] / ha. 1018 [SITA].
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Confini | Canale, Ferrere, Montà, San Damiano d’Asti.
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Frazioni | Le fonti ISTAT segnalano la presenza di due “centri” insediativi, che insieme raccolgono oltre il 90 per cento della popolazione, cui si aggiungono quattro “nuclei”, che ne raccolgono circa il 5 per cento, mentre il restante risiede in “case sparse”. Vedi mappa.
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Toponimo storico | Cjsterna, attestato nel 980 [Gabotto 1904, doc. 100], Cisterna, dal 1041 [Assandria 1904-1907, II, doc. 323]. Documentate le varianti al plurale, come Cisterne, nel 1278 [Sella e Vayra 1880-1887, III, doc. 1086]. “Cisterna d’Asti” dal 1863 [Ministero 1889, p. 3].
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Diocesi | Asti.
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Pieve | Nel Registrum Ecclesiarum dioecesis astensis del 1345, la ecclesia de Cisterna figura tra le chiese dipendenti dalla plebes de Canalibus (Canale: la più antica attestazione sicura della plebes sancti Victoris de Canalibus risale al 1041 [Romanello 1991, p. 16]) [Bosio 1894, p. 523]. Dopo l’istituzione dei vicariati foranei nella diocesi, avvenuta nel 1578, Cisterna appare, nei sinodi Aiazza del 1593, e Panigarola del 1605, sotto la giurisdizione del vicariato foraneo di San Damiano. Tale dipendenza si mantenne anche nel 1805, all’indomani della riorganizzazione delle diocesi piemontesi promossa dal governo napoleonico. Nel 1817, dopo che la bolla Beati Petri ebbe nuovamente operato un riassetto complessivo delle circoscrizioni diocesane subalpine, la stessa Cisterna divenne sede di un vicariato foraneo comprendente Cellarengo, Pralormo e Valfenera [Bosio 1894, pp. 132, 138, 139; vd. anche schede Canale e San Damiano d'Asti].
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Altre Presenze Ecclesiastiche | La parrocchiale di Cisterna, intitolata ai Santi Gervasio e Protasio, è descritta negli atti della visita apostolica Peruzzi (1585) come campestris et tota aperta ac ruinosa. Non vi si celebrava più la messa né si amministravano i sacramenti, venendo orami esclusivamente utilizzata come cimitero. Le funzioni di cura d’anime venivano di fatto assicurate dall’Oratorio del Santo Spirito. Al tempo della visita Peruzzi, la parrocchia risultava di giuspatronato della famiglia de Zatis; in precedenza, il giuspatronato era spettato ai feudatari Pelletta, riconfermati in tale diritto con breve di Sisto IV del 9 luglio 1478, successivamente cioè alla perdita, per opera dello stesso pontefice, del loro controllo esclusivo sul feudo [A.C.V.A., Visitatio apostolica, c. 420r (p. 380); Claretta 1899, p. 182].
Mentre i diritti sull’antica parrocchiale sembrano dunque essere stati perlopiù appannaggio dei signori o di famiglie eminenti (ancora nel 1753, la nomina del curato spettava al feudatario, il principe Dal Pozzo [B.R.T., Relazione generale, c. 92v (p. 73), (p. 240)], l’oratorio appartenne alla comunità fino al 1633 e dal 1656 al 1667. Nel 1645 e nuovamente tra il 1678 e il 1737, venne tuttavia riconosciuto anche su di esso il giuspatronato feudale, che sarebbe definitivamente cessato, a vantaggio del ripristino dei diritti della comunità, nel 1742. La centralità dell’Oratorio nei meccanismi di integrazione politica locale, potenzialmente in senso antisignorile, è radicata nel suo legame genetico con la “confraria” del Santo Spirito - un sodalizio laicale imperniato su rituali redistributivi - non solo evidente nella titolatura della chiesa, ma soprattutto illustrato da un episodio significativo come quello che vide, nel 1667, un usurpatore dei “beni di Santo Spirito” compensare la confraria con il finanziamento della ricostruzione dell’Oratorio stesso. Nel periodo in cui l’Oratorio fu sotto il controllo dei signori, la comunità cercò di compensarne la perdita indirizzando un crescente investimento devozionale sull’antica parrocchiale [Torre 1995, pp. 30, 52, 101 e n]. Nel territorio di Cisterna si segnalano inoltre due cappelle, San Remigio e San Giuliano, all’origine di tensioni potenzialmente destabilizzatrici degli assetti territoriali, rispettivamente, all’interno della parrocchia e fra parrocchie confinanti. A partire dagli anni Sessanta del secolo XVII, il successo devozionale della cappella di San Remigio, sorta in corrispondenza di un nucleo demico periferico, sembrò prefigurare una minaccia all’integrità della giurisdizione parrocchiale, a fronte della quale il curato ottenne dal vescovo il (condizionzato) riconoscimento di alcune prerogative sui beni della cappella, vigorosamente osteggiate ancora nel 1737. Sempre nel corso dell’età moderna, l’attribuzione della cappella di San Giuliano, posta invece sul confine con il territorio della parrocchia di Canale, fu a lungo incerta e contesa tra le due giurisdizioni parrocchiali: ancora nel 1697, il vescovo ammetteva il permanere di una situazione di stallo [Torre 1995, p. 25n, 36]. |
Assetto Insediativo | Il luogo di Cisterna sorse nell’area gravitante attorno alla curtis di Gorzano, il cui incastellamento è attestato dal 955. In epoca precedente al secolo XI, il paesaggio della parte occidentale del comitato di Asti, fino alla sponda destra del torrente Rilate, era segnato dalla fitta presenza di ampie sezioni boschive “pertinenti” a centri agricoli e insediativi, quali Gorzano, prossimi a veri e propri agglomerati selvosi ancora poco intaccati dal dissodamento, come quelli di Cellere e di Bleso-Andona, quasi a formare un’unica foresta comprendente, tra gli altri, gli attuali territori di Cisterna e San Damiano [Bordone 1980, pp. 77n, 106-107].
Nella seconda metà del secolo XIII, Cisterna vide sorgere un castello dei Gorzano, che divenne il centro politico e militare della loro signoria territoriale dopo la perdita di Gorzano nel 1274 [Bordone 1976, p. 125]. (Vedi mappa.) L’assetto insediativo sviluppatosi appariva, agli osservatori dell’età moderna, di tipo nettamente policentrico. Così, nel 1753, secondo l’intendente di Asti, Cisterna era “luogo situato in collina, diviso in nove borgate”: quella del “luogo”, Sterba (forse per: Gherba), Valpelio (forse per: Valzelio), Valmellana, Mignave, Valle, Canigliano, Pasito e Rivo della Moia [B.R.T., Relazione generale, c. 92r (p. 72)]. Una fonte precedente di qualche decennio, prodotta nel corso della Perequazione generale del Piemonte, la descriveva invece come composta dei quattro “membri” de Il Mondo, Li Aijrali, Carsiane, Rimaggiore e Val di Zeglio. In questo caso, tuttavia, le informazioni non erano state raccolte direttamente sul luogo, ma nella limitrofa comunità (sabauda) di San Damiano, con la quale peraltro non erano mancate contese territoriali [A.S.T., Registro delle notizie, c. 56r]. All’inizio del secolo XIX, la Corografia del De Canis segnalava l’esistenza di “diverse case sparse sul territorio” e indicava la “borgata di San Matteo” come “la più considerevole unione d’abitanti alla campagna” [Bordone 1977, p. 123]. I censimenti del tardo Ottocento e del Novecento riflettono parimenti un assetto articolato in più unità insediative. Nel censimento del 1881, ad esempio, accanto alle due “frazioni” maggiori di Cisterna e San Matteo, figurano quelle, di entità demica notevolmente inferiore, di Valmelana, Varzeglio, Scaglia, Gherba e Saretto: le prime risultano interamente abitate da popolazione “agglomerata”; le seconde rispondono a un modello insediativo di tipo “sparso”. I censimenti del secolo XX ripropongono in tutto (come nel 1901 e nel 1911) o in parte (nel 1921, 1931, 1937 e 1951) le stesse unità, talvolta aggregandole in due o tre “frazioni”, (nel 1901, 1911, 1937 e 1951). Nel 1921 e nel 1931 le unità censite sono soltanto le tre “frazioni” del capoluogo, di Gherba e di San Matteo. I censimenti del 1937 e del 1951 istituiscono una classificazione delle unità censite al di sotto del comune, rispettivamente, tra “frazioni di censimento” e “centri” in esse compresi; tra “frazioni geografiche” e “località abitate”. In entrambi i casi figurano come unità di livello superiore il capoluogo e Gherba. Nel 1951, Gherba è inoltre definita “frazione speciale”, in quanto “territorio gravitante sul comune di Ferrere” [Bordone 1977, p. 285; Informazioni 1839, p. 27; Istituto Centrale 1956; Ministero 1883 e successivi; Presidenza 1927 e successivi]. |
Luoghi Scomparsi | Belriguardo (o Belvedere) I ruderi del castello di Belriguardo, punto strategico preso di mira nelle guerre della prima metà del secolo XVI, erano ancora visibili nel secolo XIX [Claretta 1899, p. 167; Bordone 1977, p. 123]. Secondo una fonte del tardo Settecento, Belriguardo ospitava allora una tenuta composta di “casa, sito altre volte il castello, vigna, bosco, castagnito, e gerbido”, posseduta da un “particolare” di Cisterna a titolo di “enfiteusi” verso il feudo [A.S.T., Relazione e descrizione, cc. 13r-v].
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Comunità, origine, funzionamento | Una prima organizzazione di tipo comunitario fu raggiunta con il conseguimento di statuti concessi dai signori del luogo in epoca imprecisata, precedente comunque alla fine del secolo XV, quando cioè “gli uomini e la comunità” di Cisterna presentarono ai recenti feudatari Della Rovere un testo statutario riformulato [Vd. Statuti]. L’avocazione del feudo e la parziale sostituzione dei feudatari da parte della Camera apostolica nell’ultimo quarto del secolo XV, quindi, nel secolo successivo, gli eventi bellici e le contrastanti rivendicazioni giurisdizionali avanzate dal vescovo di Asti, dal papa e dal duca di Savoia favorirono il protagonismo politico della comunità, che si espresse attorno al 1560 in episodi di rivolta contro il nuovo feudatario, in nome della rivendicazione del diritto alla nomina del podestà, dell’invocazione dell’alto dominio vescovile e del rifiuto dell’ingerenza sabauda [Vd. Feudo e Mutamenti di distrettuazione].
Nel secolo XVIII, la comunità di Cisterna appare impegnata in un serrato contenzioso con il principe Dal Pozzo, vertente in particolare sulla natura giuridica delle terre possedute dallo stesso nel feudo - allodiale, secondo la comunità, e quindi sottoponibile al pagamento degli oneri fiscali, oppure feudale, secondo il principe, e quindi fiscalmente esente -, e sulla legittimità del “censo” annualmente corrisposto dalla comunità al feudatario. Tali questioni s’intrecciavano con quella, altrettanto importante, dell’esatta individuazione dei beni posseduti dai “particolari” del luogo a titolo cosiddetto “enfiteutico”, i contemporanei avvertendo una certa ambiguità nella duplice classificazione operata dalla “misura” del territorio del 1709 di circa 94 giornate come “enfiteutiche” e di altre 243 giornate come “feudali”. La causa tra la comunità e il principe si dibatteva dinanzi alle più alte magistrature torinesi già prima del 1784, data del passaggio ufficiale del feudo sotto la sovranità sabauda. Nel 1764, ad esempio, un’ordinanza del Senato confermò al feudatario il diritto di esigere dalla comunità il pagamento annuo di un “censo giurisdizionale” di 32 ducati d’oro, mentre nel 1777 un regio biglietto sospese la causa sulla feudalità o allodialità dei beni dello stesso feudatario, pendente dinanzi alla Camera dei conti, affidando al primo presidente del Senato e all’avvocato generale il compito di arbitrare una composizione amichevole fra le parti [A.S.T., Relazione, e descrizione, cc. 13r-13v; B.R.T., Relazione generale, c. 93r (pp. 72-73)]. Diversi indizi presenti nella documentazione suggeriscono che, nel corso dell’età moderna, la comunità traesse la capacità di rappresentanza e di iniziativa che esplicava nei rapporti con il feudo e nella competizione per la sovranità sul luogo, anzitutto nell’esercizio di un controllo capillare, di tipo, per così dire, interstiziale e simbolico, su importanti attività pubbliche interne, in particolare nella sfera cerimoniale. Così, per esempio, ancor più che nella gestione di un patrimonio di terre comuni, la presenza della comunità si segnalava nella gestione della vita liturgica attraverso la sede dell’Oratorio del Santo Spirito, nonché nella proprietà comunitaria dei possedimenti fondiari del sodalizio stesso: poco meno di dieci giornate di terra fiscalmente esenti, ripartite tra vigna, prato, bosco e campi. La recente storiografia ha in effetti sottolineato l’importanza dei rituali di redistribuzione conviviale propri di questo tipo di sodalizio in comunità territorialmente frammentate e segmentate, quali Cisterna [Torre 1995]. |
Statuti | Si ha menzione di “statuti antichi” compilati in epoca imprecisata nell’atto del 1484 che registra l’omaggio prestato dalla comunità a Bartolomeo e Bernardino Della Rovere. In quell’occasione i feudatari confermarono “agli uomini, alle singole persone e alla comunità del luogo”: “omnia et singula privilegia franchixias exemptiones immunitates liberates preheminentias bonos mores et usantias ac omnes et singulla capitulla statuta et ordinamenta antiqua”. Nello stesso atto è citato un volumen novorum statutorum che i Della Rovere si riservavano di “rivedere e far rivedere” prima dell’approvazione [Claretta 1899, pp. 183, 225; Fontana 1907, I, p. 349]. Statuto comunale attuale, s.d. Vedi testo.
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Catasti | Nel 1572 risulta redatto un “nuovo catasto”, che recepiva, in particolare, gli aggiustamenti di confine con San Damiano e Canale in regione Valscagliana stabiliti nel 1550 [A.S.T., Sommario della Causa]. I più antichi catasti conservati risalgono tuttavia solo al XVIII secolo. [A.C.C., Catasto; A.C.C., Catasto: carte diverse]. Cisterna fu interessata da almeno alcune operazioni svoltesi nel quadro della Perequazione generale del Piemonte, come la “misura generale” del suo territorio che risulta avvenuta nel 1709. Sempre per impulso del governo sabaudo, nel 1721, la comunità effettuò un “consegnamento dei beni feudali antichi e degli enfiteutici del feudo” e nel 1749, in seguito a un’ordinanza dell’intendenza di Asti, una seconda “misura, descrizione ed allibramento” degli stessi beni “feudali ed enfiteutici”, senza peraltro arrivare a una distinzione e a una quantificazione coerente delle due categorie [A.S.T., Nota Alfabetica, c. 1r; A.S.T., Relazione e descrizione, cc. 13r-v]. Ulteriore materiale catastale otto- e novecentesco risulta depositato presso l’A.S.A.
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Ordinati | La serie degli “ordinati” e delle “deliberazioni” del consiglio comunale conservata presso l’A.C.C. inizia con l’anno 1561 e prosegue con poche lacune fino all’età contemporanea. Per la seconda metà del secolo XIX, si conservano inoltre le “deliberazioni” della giunta municipale [A.C.C., Ordinati].
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Dipendenze nel Medioevo | Il bacino del Borbore, in particolare sulla sponda sinistra del torrente, vide tra i secoli XI e XII probabilmente la più alta concentrazione patrimoniale di corti e castelli appartenenti alla Chiesa di Asti. La curtis di Gorzano figura tra i possessi confermati cum castro et capellis et silvis et omnibus pertinenciis al vescovo Pietro dall’imperatore Enrico III nel suo diploma del 1041 [Bordone 1980, pp. 77, 161-162; M.G.H, doc. 70]. E’ possibile che, al seguito di Gorzano, anche il luogo di Cisterna fosse pervenuto nelle mani del vescovo, all’indomani del dissolvimento del Comitato di Asti e della disgregazione del patrimonio comitale. Alla metà del secolo XIII, in ogni caso, Cisterna appare sotto il dominio di signori di Gorzano, che riconoscevano di tenere entrambi i luoghi, da loro acquisiti in tempi diversi, in beneficio dal vescovo di Asti.
La curia romana legittimò precocemente i beni e le giurisdizioni temporali della Chiesa astese, assumendoli sotto la sua protezione: se ne trovano attestazioni nel 907, sotto papa Sergio III, nel 1156, sotto Adriano IV; nel 1169 e nel 1266 sotto Alessandro III [Gabotto 1904, doc. 38; Gabotto, Gabiani 1907, doc. 44; Vergano 1942, doc. 205]. Nel corso del secolo XIII, la signoria territoriale costruita dai Gorzano non riuscì a sottrarsi al controllo politico del comune di Asti, anche se soltanto l’area attorno a Gorzano finì per esserne scorporata a vantaggio di una dipendenza diretta dalla città, che vi promosse la fondazione della villanova di San Damiano. Cisterna, al contrario, rimase comunque in una condizione di soggezione politica indiretta ad Asti, mediata dai patti di alleanza militare e quindi di cittadinatico stretti dai suoi signori con la repubblica [Bordone 1976, p. 125]. E’ a questo titolo che dobbiamo perciò interpretare la presenza di Cisterna tra i loca et villae dipendenti dalla giurisdizione astese al momento della sua massima espansione territoriale, verso la fine del secolo XIII, elencati negli statuti cittadini del 1379. La definizione del posse & districtus astensis enunciata negli stessi statuti implica in effetti una distinzione (formulata sullo scorcio del Duecento da cronisti municipali come Ogerio Alfieri e rimasta sostanzialmente alla base dell’assetto territoriale dello “stato” cittadino per tutta l’epoca della contea visconteo-orleanese, tra il 1379 e il 1531, e ancora valida nei primi tempi del governo sabaudo) tra le località che fanno direttamente parte del “dominio” del comune e i luoghi, come Cisterna, dove “il comune o suoi cittadini possiedono un qualche diritto di giurisdizione”, sui quali la città esercita una forma più indiretta di controllo politico [Rubrice statutorum, pp. 59-60; Bordone 1989, pp. 286-290; Bordone 1998, pp. 24-25; Bordone, “Loci novi”, pp. 1-4]. Durante la lunga transizione al regime signorile in Asti durante il secolo XIV, in un contesto di generale allentamento della presa della città sulla periferia del proprio dominio, ossia sull’area controllata grazie ai vincoli di tipo “personale” imposti ai signori locali, Cisterna vide indubbiamente rafforzarsi la sua autonoma condizione di feudo vescovile, confermata dall’imperatore Enrico VII nel 1311. Di fatto, si venne delineando in questi anni una sorta di bilanciamento di sfere d’influenza, che contemperava la salvaguardia dei diritti della Chiesa sul feudo e il riconoscimento delle esigenze militari del potere della città. Così, attorno alla metà del secolo, il vescovo Baldracco Malabaila, impegnato a rinsaldare il controllo sui propri vassalli, contestualmente all’investitura dei nuovi feudatari Borgognini, consentì a che essi e il castello restassero a disposizione di Asti in caso di operazioni militari non dirette contro gli interessi della Chiesa. In forza di tale concessione, fu in seguito possibile ai nuovi signori di Asti, Visconti e Orléans, di ricevere attestazioni di colleganza da parte dei feudatari di Cisterna, come la “aderenza” giurata alla figlia di Gian Galeazzo Visconti, Valentina, andata in sposa a Luigi di Valois, duca di Orléans. Cisterna non risulta invece compresa nella dote assegnata nel 1386 alla stessa Valentina Visconti, al contrario degli altri feudi vescovili, come Cortandone e Cortanze, in mano ai Pelletta, inclusi in quanto tenuti da cittadini astesi e sudditi del duca di Milano. Il suo rapporto con la contea orleanese fu dunque sostanzialmento quello di un’alleanza militare. Anzi, il trattato di alleanza stipulato nel 1417 tra il vescovo e gli stessi Orléans, previde che, in caso di guerra con il marchese di Monferrato, a Cisterna “le differenze ven[issero] rimesse” ai signori locali. In tal modo, questi ultimi acquisirono un considerevole spazio di iniziativa politica, che talvolta parve alimentare una volontà di completa indipendenza anche alla superiore giurisdizione vescovile o papale - come emerse nel conflitto che oppose i Garretti e il vescovo Alberto Guttuari nei primi decenni del secolo XV e come accadde più tardi, verso la fine del secolo successivo, nel quadro della contesa per la sovranità sul feudo tra il vescovo di Asti, il papa e il duca di Savoia. Dalla seconda metà del secolo XIV si assiste tuttavia alla progressiva affermazione del principio di una diretta supremazia pontificia sui feudi vescovili. Per Cisterna e altri feudi ecclesiastici dell’Astigiano, il reale punto di svolta in questa direzione è rappresentato dagli atti compiuti da papa Sisto IV fra il 1472 e il 1476 nella causa che vedeva imputati di omicidio alcuni membri della stessa famiglia Pelletta - signori oltre che di Cisterna, anche dei feudi vescovili di Cortanze (astese) e di Cortazzone (pavese): l’avocazione alla curia romana della causa e, soprattutto, il sequestro, la confisca e la reinfeudazione ad altri dei loro possessi, di cui veniva in tal modo solennemente sancita la diretta caducità alla Camera apostolica [Bordone 1976, p. 126; Bordone 1989, loc. cit.; Bordone, La Provincia, pp. 8-9; Claretta 1899, pp. 171, 176-179; Gnetti 1992-1993; A.S.T., Transonto autentico]. |
Feudo | I più antichi signori di Cisterna appartenevano a una famiglia, presente nella cerchia del vescovo di Asti dalla fine del secolo XI, che si fregiava del predicativo “di Gorzano”, dal “castello curtense” ricevuto in beneficio dallo stesso vescovo. Attorno alla metà del secolo XIII, i Gorzano avevano esteso il loro dominio, oltre che su tutto il territorio corrispondente a quello degli attuali comuni di Cisterna d'Asti e di San Damiano d'Asti, sull’area dominata dai castelli di Valfenera e di Pralormo, ai limiti orientali dell’Astisium. Nel 1274, i Gorzano tentarono di sottrarsi al controllo politico del comune di Asti, con il quale in precedenza avevano dovuto schierarsi e stringere il cittadinatico, facendo atto di dedizione a Carlo d’Angiò, reduce da una vittoria militare sulla città. Questa mossa li espose alla rappresaglia della repubblica, che comportò la distruzione del castello di Gorzano e la confisca del suo territorio, dove venne fondata la villanova di San Damiano.
Da questo momento, il centro principale della signoria dei Gorzano divenne Cisterna, luogo che tenevano anch’esso in feudo dal vescovo di Asti, dalla metà del secolo XIII. Fino al 1242, sulle terre e sugli uomini di Cisterna, come sul castello di Belvedere (o Belriguardo) [cfr. Luoghi scomparsi], divenuto in seguito parte integrante del feudo, ebbe diritti anche un’altra famiglia signorile radicata nel vicino “Astisio”: i signori di Loreto (presso Canale), che in quell’anno alienarono tutti quei loro possessi al comune di Asti. Fu probabilmente questo evento che spinse i Gorzano, una volta venuti in possesso di Cisterna, a munirla di un castello, nel tentativo di arginare l’espansionismo astese. Nel 1280, tuttavia, dopo essere stati sconfitti e puniti, come si è visto, dalla repubblica cittadina, dovettero acconsentire a che il loro nuovo castello e i suoi abitanti fossero tenuti a contribuire alle necessità militari di quest’ultima, ciò che allora contribuì ad allentare di fatto notevolmente l’alta signoria ecclesiastica sul feudo di Cisterna, la quale tuttavia non venne irreversibilmente obliterata. Al termine di una parabola di progressiva sottomissione ad Asti, qualche anno più tardi, i Gorzano abbandonarono ogno loro diritto su Cisterna, cedendolo ai signori de Mercato, dai quali, il feudo passò nel 1349 a Fazone Rabbia de’ Borgognini e ai suoi fratelli, che ricevettero l’investitura vescovile. Nel 1389 i Borgognini fecero aderenza a Valentina Visconti, erede della contea di Asti, ma l’anno successivo Gandolfo Borgognini alienò la sua quota a Bartolomeo Garetti, la cui famiglia già ne possedeva una parte. Una volta padroni del castello, i Garetti impedirono ad Aimonetto Roero di Pralormo di prendere possesso del terzo di giurisdizione concessogli dal vescovo Morozzo della Rocca. Questa sfida all’autorità del vescovo, aggravata dal rifiuto di riconoscerne la supremazia sul feudo diede origine nel 1411 a un procedimento legale, conclusosi con una sentenza arbitrale che ribadì la natura di feudo ecclesiastico del castello di Cisterna. Poiché i Garretti non si piegarono, il feudo venne loro confiscato e concesso nel 1412 dal vescovo Alberto Guttuari ai propri fratelli, senza peraltro che cessasse la resistenza degli spodestati. Due anni dopo, si addivenne perciò a un compromesso, in forza del quale i Garretti ottennero l’investitura vescovile per metà del castello. Il confronto tra i Garretti e la Chiesa di Asti proseguì tuttavia ancora a lungo, coinvolgendo la curia romana, dalla quale il vescovo ottenne nel 1422 un breve pontificio per reinfeudare Cisterna, e provocando più tardi l’intervento del duca di Milano Filippo Maria Visconti, allora signore di Asti, che reclamò la devoluzione del feudo alla sua camera. Nel 1446 - tramontato ormai, dopo la morte di Alberto Guttuari, il predominio della sua famiglia - Cisterna tornò nelle mani dei Garretti, per investitura congiunta di Tissetto Garretti da parte del vescovo di Asti e del duca di Milano. Nel 1470, il castello di Belriguardo, “membro” del feudo di Cisterna, venne ceduto in pagamento di un debito da Antonio Garretti a Martino Pelletta, un esponente della potente famiglia di banchieri astigiani, che già deteneva, tra gli altri, i feudi ecclesiastici di Cortanze e Cortazzone. Quando, tuttavia, nel 1472, Martino e altri Pelletta furono colpiti dall’accusa di avere ordito l’omicidio di un loro parente e la causa fu avocata alla curia romana da papa Sisto IV, i loro feudi dipendenti dalla Chiesa furono dapprima sequestrati e provvisoriamente affidati ad Antonio Pelletta, non coinvolto nell’accusa, quindi devoluti alla Camera apostolica. In un primo tempo, Antonio Pelletta aveva potuto prendere possesso di Belriguardo e di Cisterna cedutigli dai Garretti, vedendo successivamente tale acquisizione confermata da una bolla papale del 1474. Due anni dopo, però, lo stesso Sisto IV procedette senz’altro a investire della metà di entrambi i feudi il nipote Antonio Della Rovere. Infine, con la successiva transazione (1477) che pose termine alla causa intentata contro di loro, i Pelletta, in cambio della loro piena reintegrazione nel possesso di Cortanze e Cortazzone, rinunciarono ai loro diritti su Cisterna e Belriguardo. Le investiture a membri della famiglia Della Rovere vennero così rinnovate nel 1480 dallo stesso Sisto IV e in seguito da papa Alessandro VI nel 1500, da Giulio II nel 1509 e infine da Leone X nel 1520. Nel 1559 i Della Rovere alienarono i loro diritti a un uomo d’arme al servizio della Francia, il capitano Torquato Torto, di Castelnuovo Scrivia La signoria del Torto fu aspramente contestata dagli abitanti di Cisterna, che gli si ribellarono una prima volta nello stesso anno del suo insediamento e nuovamente nel 1562. L’agitazione interna attirò sul luogo i contrastanti tentativi di affermazione di sovranità da parte del vescovo di Asti, del papa e del duca di Savoia. In un primo tempo essa riaccese anzitutto gli attriti tra la sede vescovile e la sede romana (dalla quale il Torto aveva direttamente ottenuto l’investitura, senza prestare omaggio al vescovo di Asti), per la supremazia sul feudo, presto sopiti tuttavia di fronte all’incalzare dell’ingerenza sabauda, che aveva trovato una sponda nel sostegno alla traballante posizione del principale feudatario, il cui genero Andrea Roero, ad esempio, nel 1562, riceveva dal duca di Savoia l’investitura per una quota di giurisdizione. Morto Torquato Torto, la figlia Isabella, andata in sposa al marchese Borso Acerbi di Milano, ricevette nel 1567 l’investitura da Pio V. Dopo un tentativo, da parte del marchese Acerbi, di resistere con la forza a ogni ingerenza esterna, il castello di Cisterna venne occupato dal commissario apostolico Filippo Bucci, con l’appoggio, questa volta, delle truppe del governatore sabaudo di Asti. Solo nel 1591, a conclusione di un lungo contenzioso giudiziario, Gregorio XIV reintegrò Isabella Torto Acerbi nei suoi diritti. Qualche tempo dopo, nel 1599, il breve Coelestis potentiae, emanato da Clemente VIII, innalzò il feudo di Cisterna, al quale venne in quell’occasione definitivamente aggregato Belriguardo, alla dignità marchionale. Nel 1650, infine, al marchese Giovanni Acerbi, figlio di Borso e di Isabella Torto, subentrò per acquisto il marchese di Voghera Francesco dal Pozzo. Una transazione del 1661 riconfermò che l’investito dovesse prestare giuramento di vassallaggio alla Camera apostolica, condizione che il dal Pozzo adempì nel 1666. A coronamento di questa serie di eventi, che dalla seconda metà del secolo XVI veniva imponendo al feudo una sempre più marcata connotazione “pontificia”, a scapito di un’effettiva giurisdizione vescovile, un breve di Clemente X del 1670 elevò Cisterna al principato, dignità alla quale, nel 1673, venne aggiunto il privilegio eminente della zecca [Bordone 1971-1972; Bordone 1976, pp. 127-129; Claretta 1899, pp. 168-173, 180-184, 195, 199, 214-215; Guasco 1911, pp. 594-595; A.S.T., Notta, et Protocollus]. |
Mutamenti di distrettuazione | Nel 1531, la contea di Asti venne infeudata da Carlo V alla cognata Beatrice di Portogallo, sposa del duca di Savoia Carlo III, entrando in tal modo a far parte del patrimonio sabaudo. Nello stesso anno, con un diploma imperiale riconfermato nel 1562 dall’imperatore Ferdinando I, i duchi di Savoia ottennero il vicariato imperiale sul contado della città, con pieno esercizio di tutti i diritti regali, esteso nel 1555 alle diocesi dei loro stati. Nel 1560, Asti venne eretta a sede di una provincia ambiguamente sovrapposta alla eterogenea formazione territoriale ereditata dal dominio visconteo e orleanese sulla contea (ma risalente, nel suo assetto di fondo, alla tarda età comunale), comprendente, accanto alle aree sulle quali la città esercitava, attraverso due modalità ben distinte, un più immediato dominio territoriale (i luoghi, rispettivamente, del “distretto” e del “capitanato”), località infeudate a vario titolo a membri della nobiltà cittadina, tra le quali, le “terre della chiesa”. Su queste ultime, in quanto comprese nel “corpo del contado” di Asti, il duca di Savoia pretendeva ora di esercitare prerogative di giurisdizione e di “quasi possesso” [Bordone 1989, loc. cit.; Bordone 1998, loc. cit.; Bordone, La Provincia, p. 7; Claretta 1899, pp. 187-188; A.S.T., 30 8bre 1533. Informations; A.S.T., Compartimenti; A.S.T., Rimostranza; A.S.T., Tre pareri].
Da allora la strategia perseguita dal governo sabaudo comportò anzitutto la trascrizione di concreti “atti possessori” sui luoghi contestati, quali l’imposizione della propria fiscalità ordinaria e straordinaria, i giuramenti di fedeltà estorti ai rappresentanti delle comunità, l’ “offerta” di legittimazione di interessi locali attraverso l’attività giudiziaria o arbitrale dei giusdicenti e delle magistrature ducali - in primo luogo, le “appellazioni al senato”, invocate come probanti da un parere espresso dal presidente di quest’organo intorno al 1660 [A.S.T., Parere del Presidente Pallavicino]. Inizialmente, sull’onda della conclusione della guerra franco-ispana, nel 1559, i Savoia esercitarono per breve tempo un diretto controllo militare sul castello di Cisterna, consegnato loro dal comandante francese Brissac. In quello stesso anno, tuttavia, la comunità si ribellò al suo feudatario, appellandosi all’autorità del vescovo di Asti, che fece allora innastare i pennoni con le sue armi gentilizie sulla porta del luogo, della chiesa e del castello in signum vere exequcionis. Nei due anni seguenti Emanuele Filiberto tentò senza successo dapprima di inserirsi nella controversia insorta tra il vescovo stesso e il papa a proposito della supremazia sul feudo (appoggiando i diritti del primo) e quindi, ricompostosi il fronte ecclesiastico, di acquistare il controllo del luogo sostenendo il feudatario minacciato dall’aperta ostilità della popolazione, che però finì con il travolgere anche il tentativo di ingerenza sabauda [Bordone 1976, pp. 127-28; Claretta 1899, pp. 184-90]. Nel 1560 papa Pio IV aveva concesso a Emanuele Filiberto il vicariato pontificio su Cisterna e su altre terre ecclesiastiche astigiane con la clausola ad Sedis apostolicae beneplacitum, ma il duca, preoccupato di non dare il suo assenso a una supremazia papale sui feudi contestati, non perfezionò mai l’accordo [Claretta 1899, pp. 187-88; A.S.T., Bolla di Pio IV]. Il luogo, con gli altri feudi ecclesiastici del contado di Asti, fu anzi compreso nella ripartizione generale del tasso imposto alle comunità piemontesi e sottoposto alle gabelle sabaude, suscitando reiterate condanne da parte di Pio V e dei suoi successori [Claretta 1899, pp. 199-210; A.S.T., Lettera del Duca; A.S.T., Stato dell’imposizione; A.S.T., Copia di Breve (1568); A.S.T., Copia di Breve (1569); A.S.T., Istruzione; A.S.T., Allegazioni; A.S.T., Rellazione della publicazione; A.S.T., Scomunica]. L’intransigente “conservazione del diretto dominio” sulle “terre di Chiesa” - ispirata alla salvagurdia e al divieto di alienazione di giurisdizioni e beni ecclesiastici, sanciti nella Bolla In Coena Domini emanata da Pio V nel 1567 - continuò in effetti a guidare nei secoli XVII e XVIII gli atti dei pontefici, in particolare il non riconoscimento dell’accordo, basato sulla permuta della sovranità sui feudi della Chiesa di Asti con la concessione in feudo di Montechiaro, negoziato tra il duca Carlo Emanuele I e il vescovo Aiazza nel 1611 [cfr. ad es. A.S.T, Urbani... Papae VIII Confirmatio; A.S:T., Copia di lettera; A.S.T., Copia di scrittura; Bosio 1894, pp. 172-74; Claretta 1899, pp. 210-16]. La tensione raggiunse probabilmente il suo punto culminante durante i primi decenni del Settecento, sotto l’impulso della politica giurisdizionalistica di Vittorio Amedeo II, in risposta alla quale la curia romana si pronunciò a più riprese - ad esempio, nel 1702, con monitorio di Clemente XI - per ammonire comunità e vassalli dei feudi ecclesiastici a non riconoscere in alcun modo la superiorità sabauda, per condannare atti di giurisdizione abusivamente compiuti o l’acquiescenza dei feudatari agli stessi, come accadde ancora nel 1731, quando il principe della Cisterna incorse nella solenne riprovazione papale per avere prestato giuramento di fedeltà al re [A.S.T., Copia di Monitorio; A.S.T., Monitorio; A.S.T., Cedulone; A.S.T., Lettera della Marchesa di Voghera]. Fu infatti soltanto nel 1784 che il vescovo di Asti, allora Paolo Maurizio Caissotti, con il consenso dell’arcivescovo di Torino in qualità di delegato apostolico, cedette infine il “diretto dominio” sui feudi della sua Chiesa a Vittorio Amedeo III [Bosio 1894, pp. 175-76; Claretta 1899, pp. 216-17; Romanello 1987]. Da questo momento, fino alla caduta dell’antico regime in Piemonte (1798), la collocazione della comunità di Cisterna nella provincia di Asti, già inscritta negli ordinamenti sabaudi per le intendenze e le prefetture del 1723, 1724, 1729 e 1749, si mantenne fino alla caduta dell’antico regime in Piemonte (1798) [Duboin 1818-1869, III, pp. 58, 72, 79, 133]. Nel quadro della Perequazione generale del Piemonte conclusasi ufficialmente nel 1731, Cisterna aveva inoltre sperimentato fin dal 1709 la “misura generale” del suo territorio, ma, al pari di altri feudi ecclesiastici, era stata lasciata “tacitamente immune” dal “tasso” (l’imposta prediale ordinaria sabauda), sia pure non interamente, ma ottenendo comunque l’attribuzione di un carico inferiore a quello teoricamente determinabile in base al “Conto di Perequazione”. Contemporaneamente, secondo le fonti sabaude, nel luogo si sarebbero stabiliti gli organi periferici della fiscalità indiretta statale: i “postieri per spedire le bolle di dogana, tratta ed altre inclusivamente a quelle consegne bestiami” [A.S.T, Nota Alfabetica, c. 1r; A.S.T., Stato delle Terre del Vicariato Pontificio, c. 21r; A.S.T., Stato delle Terre... lasciate tacitamente immuni, c. 23v; A.S.T., Stato d’altre Terre]. All’interno della maglia amministrativa francese, Cisterna seguì le sorti dell’intero territorio della vecchia provincia di appartenenza, aggregato, senza sostanziali alterazioni, a una circoscrizione di livello dipartimentale o circondariale, avente per capoluogo Asti. Si trattò inizialmente del dipartimento del Tanaro, creato durante il primo effimero periodo di occupazione (1799), e, con il ritorno dei Francesi e in seguito alla riorganizzazione amministrativa del 1805, del dipartimento di Marengo (capoluogo: Alessandria), circondario (arrondissement) di Asti. Vedi mappa 1. Vedi mappa 2. Al termine della parentesi napoleonica, Cisterna tornò, nel 1814, a far parte della ricostituita provincia di Asti che, dopo alcune instabili riorganizzazioni mandamentali nel 1818, fu ridotta a circondario della divisione amministrativa, poi provincia di Alessandria nel 1859 [Cassetti 1996; Sturani 1995; Sturani 2001]. Lo stesso circondario di Asti venne soppresso e aggregato a quello di Alessandria nel 1927 [Istituto Centrale 1927, p. 1], quindi staccato dalla provincia di Alessandria e aggregato alla nuova provincia di Asti formata nel 1935 [Istituto Centrale 1937, p. 8; Gamba 2002]. |
Mutamenti Territoriali | Non attestati.
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Comunanze | Alla metà del secolo XVIII, oltre il 56 per cento del territorio comunale di Cisterna era occupato da boschi e incolti (“gerbidi”). I boschi, cedui, erano utilizzati per ricavare legna da ardere e sostegni per le viti, che in parte venivano venduti nei luoghi prossimi ad Asti. Gli incolti erano adibiti a “pascolo comune” per il bestiame degli abitanti [B.R.T., Relazione generale, cc. 92r-v (p. 72), (p. 219)]. Il patrimonio boschivo risultava ancora notevole nella prima metà dell’Ottocento [A.C.C., Stato generale dei boschi; Bordone 1977, p. 122].
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Liti Territoriali | Verso il 1656 si accese un’ampia controversia giudiziaria tra la comunità di Cisterna e quella di San Damiano, che accusava la prima di avere “impinguato” il proprio “registro” dei terreni, incorporando una parte del territorio del comune confinante durante le Guerre del Monferrato (fino al 1630). La fascia territoriale più contesa consisteva in un tratto di linea di confine, privo di contrassegni, o ”terminazioni”, che separava entrambe le comunità da quella di Canale. La superficie contestata era assai ragguardevole: “giornate quattromila di terreni, e più”, ubicate in venti regioni catastali, che furono oggetto di due sopralluoghi da parte dei funzionari di due giurisdizioni statali: delegati sabaudi per San Damiano e deputati della nunziatura torinese per Cisterna, con intervento di agrimensori, collazione di atti notarili e stesura di mappe. Dal Sommario della causa steso da parte sabauda appare che molti appezzamenti controversi risultavano accorpati in “cascine”, in diversi casi appartenenti a proprietari nobili. Così per i possedimenti della cascina Boarina, nella regione di Valscagliana presso Canale, dove il marchese Acerbi di Cisterna era accusato dalla comunità di San Damiano di avere deviato il corso della strada della Serra, alterando in tal modo i punti di riferimento grazie ai quali, nel 1550, era stata stabilita la linea di confine per mezzo di una “transazione” concordata tra le comunità; era ancora San Damiano ad accusare il marchese della Cisterna di collusione con la sua comunità nel dichiarare “feudali” i beni fondiari di un’ampia area, che pure sarebbe “tutta allodiale”, ai fini di “occultare” il “Castello, o sia Regione” di Belriguardo. In altrettanti casi, proprietari non nobili vennero accusati di avere usurpato al “registro”, o catasto, di San Damiano il frutto di accorpamenti cumulati alle proprie cascine: così nel caso della famiglia Traffano nella regione Vallescura con due acquisti di terre nel 1622 e uno nel 1626. Inoltre, in questi casi come in quelli di molti piccoli proprietari, le usurpazioni venivano imputate alla prospettiva di non versare le taglie arretrate (i “reliquati”) imposte dalla comunità di San Damiano sulla scorta di una catastazione che si presenta dai criteri arcaici, perché ripartita in quattro “registri separati”, che erano in parte andati dispersi durante i recenti fatti bellici.
L’insieme della controversia sembra chiamare in causa per più versi gli accordi e gli assetti che, risalenti alla fine del secolo XVI, erano stati garantiti dalla giurisdizione del Senato di Casale, da cui San Damiano dipendeva prima dell’incorporazione nel Ducato sabaudo: così, per esempio, nel caso dello statuto allodiale di Belriguardo (e della sua appartenenza stessa a San Damiano), che veniva ricondotta alla documentazione sui confini del Dominio di Monferrato degli anni 1566 e 1597 conservata dal Senato casalese; così per la Cappella di Santa Maria, nei pressi della Valzeglio, dalla cui demolizione i Cisternesi avevano dovuto desistere nel 1583 di fronte a una proibizione del giudice di San Damiano, che, all’epoca, era stato fermamente appoggiato da “li Ministri del Serenissimi di Mantova”. L’immagine d’insieme della requisitoria di parte sabauda è, plausibilmente, che i funzionari casalesi “hebbero sempre in pensiero di difender detto territorio, & dominio indubitabile del Monferrato”: localmente, dunque, l’assertivo intervento sabaudo di metà Seicento sembra teso a consolidare un confine comunale e al tempo stesso statale, reso poroso dalla guerra di conquista del Monferrato, ma di cui ora si accentuano e, in parte, si riplasmano le basi tipicamente sabaude di fiscalità terriera [A.S.T., Sommario della Causa; A.S.T., Vol.e di Documenti; A.S.C.S.D, Cat. 7°, Mazzo 132, n. 1, Inibizioni contra particolari della Cisterna che hanno demolito la chiesa di Valzeglio (1583); vd. anche schede Canale e San Damiano d'Asti]. |
A.C.C. (Archivio Storico del Comune di Cisterna d’Asti). Vedi inventario.
A.C.C., Boschi, agricoltura, bestiame, Fald. 100, Fasc. 3, Stato generale dei boschi esistenti nel Comune, 1825; Catasto, Fald. 56, 1729-1854; Catasto: carte diverse, Fasc. 6, Stato dei cambiamenti e mutazioni di proprietà, 1804, 1810; Fasc. 11, Stato generale delle mutazioni di proprietà; Ivi, Fald. 57, Catasto, 1751; Fald. 58, Catasto, secoli XVI-XVII; Fald. 59, Catasto, sec. XVII; Ivi, Fald. 60, Catasto, sec. XVII; Fald. 61, Catasto, sec. XVII; Fald. 62, Catasto, 1820-1880; Fald. 65, Catasto, sec. XVIII; Fald. 66, Catasto, secc. XVIII-XIX; Faldd. 67-69, Libro dei trasporti, 1884-1904; Ordinati, Fald. 1, Libri degli Ordinati Comunali, 1561-1568, 1572-1577, 1584-1601, 1603-1607; Fald. 2, 1614-1628; Fald.3, 1630-1640; Fald. 14, 1799-1801; Fald. 15, 1799-1813, Registre des délibérations du Conseil Municipale; Fald. 16, 1797-1798, 1814-1816, Registri degli Atti Consolari; Fald. 18, Registri degli Ordinati e delle Deliberazioni originali e copie, 1819-1822-Fald. 20, 1836-1847; Deliberazioni Giunta Comunale, Consiglio Comunale, Fald. 22, Verbali del Consiglio Comunale, 1858-1863 – Fald. 27, Deliberazioni del Consiglio Comunale, 1892-1899; Fald. 29, Deliberazioni della Giunta Municipale, 1864-1879; Fald. 31, Deliberazioni della Giunta Municipale, 1880-1911, 1921-1922, 2 voll.; Fald. 32, Registro delle deliberazioni della Giunta Municipale, 1886-1894. A.S.A. (Archivio di Stato di Asti). Vedi inventario.
A.S.A., Catasti dei terreni e dei fabbricati (1874-1960). A.S.T. (Archivio di Stato di Torino). Vedi inventario.
A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e per B, Asti e Alba, mazzo 1, "Figura dimostrativa delle Strade che da Torino tendono alle Città d'Asti, et Alba, coll'apposizioni de' Luoghi / Intermedi, e Latterali alle medesime Strade" Figura dimostrativa delle Strade che da Torino tendono alle Città d'Asti e Alba coll'apposizioni dei Luoghi intermedi e laterali alle medesime Strade; signata Bojne ai 29 aprile 1784, 29 aprile 1784 [Autore disegno originale: Bojne]. Vedi mappa. A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Dipartimenti, Mazzo 1, "DÉPARTEMENT / DE / MARENGO / Divise en 3 Arrondisemens / et en 31 Cantons." Carte dei dipartimenti della Dora (n.1), di Marengo (n. 2, 2 bis), del Po (n. 3), della Sesia (n. 4), delle Alpi Marittime (n. 5, 5 bis). Note : In alto: "N.° 101.", "ATLAS NATIONAL DE FRANCE", s.d., [Autore incisioni: P.A.F. Tardieu; autore edizione: P.G. Chanlaire]. Vedi mappa. A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e per B, Diparimenti, Mazzo 1, "CARTE DU DEPARTEMENT DE MARENGO", s.d. Vedi mappa. A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e per B, Po, Mazzo 1,"LE / COURS / DU PO / DEDIÉ AU ROY / Par son tres humble, tres obeissant / et tres fidele Serviteur et Sujet, le / P. PLACIDE Augustin Dechaussé, et / Geographe Ordinaire de sa Majesté". Carta Corografica in stampa del Corso del Fiume Po delineata e dedicata a S.M- Cristianissima dal P. Placido Agostiniano scalzo nel 1734. Sulla Scala di 1/253.600 (Note: La carta è formata da 5 fogli giustapposti. Il 1° reca l'indicazione "A PARIS 1704"; il 3° e il 4° sono datati 1703; sul 1° e sul 5° foglio è riportata la data di concessione del privilegio reale, rinnovato per 15 anni nel 1734. Cfr. anche Carte Topografiche Segrete, PO 29 E IV ROSSO, 1703-1734 (ma vd. Note) [Autore disegno originale: P. Placide; Autore incisioni: Berey; Autore edizione: "A PARIS / Chez les Augustins pres la Place des Victoires"]. Vedi mappa. A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche serie V, Cisterna d'Asti, Mazzo 1, Castello di Cisterna d'Asti , s.d. Vedi mappa. A.S.T., Corte, Materie economiche per categorie, Gabelle, Sale Piemonte e Nizza, Mazzo 4, n. 5, Rappresentazione degli Abusi contro la Gabella del Sale e delle corrispondenze de’ sfrosatori co’ Stati confinanti (24 dicembre 1687); Mazzo 4, n. 6, Memoria data dal Gabelliere Gen.le de’ Sali Geobert, in cui rappresenta la quantità de’ sfrosi, e la necessità delle provvidenze per contenerli (14 gennaio 1688); Paesi, Monferrato, Confini per A e B, S, n. 3, Vol.e di Documenti riferibili alle controversie territoriali tra S. Damiano da una parte, e S. Martino, Celle, e Ferrere dall’altra, e qualche poco anche la Cisterna (1480-1616): Atti ad istanza della Com.tà di S. Dam.o contro alcuni della Cisterna, che, non ostante il divieto, rovinorono la Chiesa di Valtigliera, finaggio di S. Damiano (10 maggio 1583), cc. 136r-152v; Lettere concern.ti il sud.o fatto degl’Uomini della Cisterna, dalle quali risulta essersi mossa quistion di terr.io pel sito, ov’era l’anzid.a Chiesa rovinata dai sud.i della Cisterna, con intenzione di fabbricarne una nuova (maggio-giugno 1583), cc. 153r-166v; Informaz.i comprovanti, che fosse situato sul terr.io di S. Damiano un Castello denom.to di Belriguardo, rovinato poscia in tempo delle Guerre (23 giugno 1597 ), cc. 187r-197r; Memoria, con cui si dimostra al Duca di Mantova quanto importi al suo interesse di Stato l’opporsi all’idea del Duca di Savoja d’impadronirsi delle Terre della Chiesa, e spezialm.e di Govone (agosto 1608), cc. 250r-255v; Paesi, Provincia di Asti, Mazzo 22, San Damiano, Atti della Communità di S. Damiano contro la Communità della Cisterna per causa de confini tra esse controversi (1656-1657); Mazzo 22, San Damiano, Sommario Della Causa, & Ragioni della Communità di S. Damiano Dominio della felice Corona di S.A.R. di Savoia, contro La Communità della Cisterna Dominio di S. Santità, In materia de’ confini tra l’una, e l’altra Communità a stampa; s.l., s.d., ca. 1657); Mazzo 24, Transonto autentico de’ seguenti titoli: Aderenza fatta dal Vescovo d'Asti al Duca Carlo d'Orleans Conte d’Asti per li Castelli, e Luoghi di Monteu, e S. Stefano Roero, Montalto, La Vezza, Monticello, Castagneto Piea, S.ta Vittoria, Pocapaglia, La Cisterna, Cellarengo, Magliano Castellinaldo, Baudissero, Cossambrato, Cortanze, e Piobes sotto l'osservanza de' patti, e Condizioni ivi espresse (9 maggio 1417); Paesi, Provincia di Asti, Feudi della Chiesa d’Asti, Mazzo 25, n.1, Compartimenti fatti sopra le terre del Contado della Chiesa d’Asti incorporate in esso Contado del 1520 et altri anni (s.d., ma ca. 1560); 25, n. 5, Informations prises sur le logement des gens de guerre dans les Terres de l’Eglise d’Ast (30 ottobre 1533), in particolare, c. 6v: Tenor Listae exhibitae, et presentatae... 1529 die 15 martij. Terrae Ecclesiae Ast; Mazzo 26, n. 3, Lettera del Duca Emanuel Filiberto al Vescovo d’Asti sovra il modo col quale li feudatarij delle Terre dipendenti dalla sua Chiesa devono pagare la loro parte del Tasso imposto nelle Terre del Contado d’Asti per la commutazione del Sale (3 aprile 1562); Mazzo 26, Stato dell'Imposizione generale del Tasso, in cui sono compresi i dieci sette Castelli della Chiesa d'Asti et Cortanzone, Cisterna, Montafia, e Tigliole (1565); Mazzo 26, n. 13, Copia di Breve di S. Pio V al Duca Emanuel Filiberto, in cui gli ingiunge d’astenersi dall’esazione del donativo, e dalla levata di Truppe nel Luogo della Vezza, ed altri soggetti al Vescovado d’Asti (8 maggio 1568); Mazzo 26, n. 16, Istruzione del Duca Emanuel Filiberto al Conte di Masino Governatore del Contado d’Asti per la continuazione del pagamento del Tasso dalle Terre del detto Contado, e Chiesa d’Asti per la commutazione dell’aumento del prezzo del sale; Mazzo 26, n. 17, Copia di breve di S. Pio V al Duca Emanuel Filiberto, in cui lo esorta d’astenersi dall’esazione delle Gabelle, et altri pesi contro i feudatarij, e sudditi della Chiesa d’Asti (29 aprile 1569); Mazzo 27, n. 3, Allegazioni, colle quali si prova in ragione spettare al Duca di Savoia la superiorità sulli Feudi della Chiesa d’Asti, epperò il gius d’imporre ed esiggere dalli medemi li carichi che l’utile del pubblico esigge (s.d., ma ca. 1610); Mazzo 27, n. 4, Tre pareri anonimi sovra la sovranità spettante alla Real Casa di Savoja in virtù del Vicariato Imperiale e come Conti d’Asti nelle Terre della Chiesa d’Asti (s.d., ca. 1610); Mazzo 27, n. 6, Rimostranza sopra le ragioni, per quali la Corona di Savoja è fondata nell’esercizio di Sovranità ne’ Luoghi di Tigliole, La Cisterna, Montafia, Cortanze, e Cortanzone situati nel Contado d’Asti pretendenti dipendere dalla Chiesa (s.d., sec. XVII, ca. 1663); Mazzo 27, n.18, Rellazione della publicazione dell’ordine della Tratta nelle Terre della Chiesa d’Asti (7 gennaio 1613); Mazzo 27, n. 20, Scomunica fulminata da Monsig. Costa Noncio appostolico appresso il Duca Carlo Emanuel I contro il Presidente Galleani Delegato da SAR nelle Terre della Chiesa d’Asti per l’esazione delle somme per esso dovute per l’alloggio de soldati, e riparazioni delle fortificazioni in concorso delle altre terre del Contado d’Asti (4 febbraio 1613); Mazzo 28, n. 8, S.mi D.N. D.Urbani Divina Providentia Papae VIII Confirmatio, extensio, & declaratio Constitutionum Apostolicarum, prohibentium Civitates, Castra, & alia tam Iuridictionalia, quam non Iuridictionalia, stabila tamen, in Statu Ecclesiastico consistentia alienari in Forenses ex quacumque causa (a stampa; Roma 1637); Mazzo 28, n. 10, Copia di lettera del Cardinale Barberini al vescovo d’Asti, con cui le ingionge, per conservazione del diretto Dominio competentegli ne’ 17 Castelli spettanti alla sua Chiesa, di dover continuare l’esercizio della Giurisdizione ne’ medemi, e a concedere a feudatarij la rinnovazione delle Investiture, e fare tutti quegl’altri atti possessorij, che erano soliti fare li di lui antecessori, senz’aver riguardo alla Permuta de’ medemi per essere stata dichiarata nulla dal Papa Paolo V (20 aprile 1641); Mazzo 28, n. 11, Copia di scrittura del Nunzio inviata a Roma, e stata intercetta, tendente a risolvere S. S.tà a mantenere le ragioni del Vescovo d’Asti con rimetterlo in pristino de 17 Castelli stati permutati dal Vescovo Aijazza, suggerendoli di farli immediatamente sotto di sé, come sono La Cisterna e Tigliole (s.d., dopo 1642); Mazzo 29, n. 11, Parere del Presidente Pallavicino circa l’osservanza dell’Esercizio de Regali spettante alla R.le Casa di Savoja come Conti et in virtù del Vicariato Imperiale ne’ Luoghi di Cortanze, e Cortazone (s.d., sec. XVII, ca. 1663); Mazzo 30, Copia di monitorio del Card.le Spinola per cui ordina alla Dama Enrietta della Troussa Principessa della Cisterna à Carlo di Simiana Pr.n.pe di Montafia, et al Marchese di Cortanze Ercole Tomaso Rovero feudatarj della S.ta Sede di non riconoscere il Duca di Sav.a per Sovrano di d.i Luoghi, nè di pagare li Carichi che potessero per parte sua venir imposti (8 agosto 1702); Mazzo 30, Monitorio del Cardinale Spinola, Cameriere Apostolico, per cui intima agli Uomini della Cisterna, e Montafia, di non dovere in alcun modo riconoscere il Duca di Savoja, di non pagarli il pretteso Dacito, o far Convenzione sovra quel pagam.to, colla minaccia della Censura Eccle.ca, tanto riguardo agl’Agenti, che Pazienti in caso di Contravenzione (23.maggio 1716); Mazzo 31, Cedulone di S. S.tà Clem.e XII. con cui si dichiara nulli, irriti, invalidi, ingiusti, dannati, e riprovati li procedim.ti fatti dal Senato di Piem.e et Intend.e d'Asti contro le Comm.tà et Vomini di Cortanze, Cortanzone, Montafia, Cisterna, et altri (23 dicembre 1730); Mazzo 37, Bolla di Pio IV di Concessione del Vicariato perpetuo ne’ Luoghi della Cisterna, Montafia, Roato, Mareto, e Tigliole à favore del Duca Em.l Filiberto Conte d'Asti (8 settembre 1560); Mazzo 39, Lettera della M.sa di Voghera con cui accompagna un Breve del Papa Clemente XII. stato a suo marito Prencipe della Cisterna diretto, da cui si legge li rissentimenti che fà il sud.o Pontefice a d.o Pr.n.pe per il giuramento di fedeltà dal med.o prestato à S.M. per il feudo della Cisterna. Con una Lettera del Card.l Banchieri per l'istesso fatto (13 luglio 1731). A.S.T., Sezioni Riunite, Camera dei Conti, Articolo 746, paragrafo 3, n. 81, Notta, et Protocollus sive Volumen Instrumentor. et Investiturar. bonor. rusticalium feudalium sequtar. sub Ill.mo et R.mo D. D. Octavio Brolia Ep. co Asten. et Comite et receptar. per D. Jacobus Fran.cus Vignolas Notarium Collegiat. et Secretarium Ep.alem eiusd. Civitatis ab anno 1625 usque ad annum 1645; Camera dei Conti, articolo 794, Relazione, e descrizione di beni feudali in diversi Territorij delle provincie d’Alba, Asti, Mondovì, e Torino, fasc. 2, Relazione, e descrizione de’ beni feudali esistenti nel Territorio della Cisterna. Del reddito, e dritti appartenenti a questo feudo semovente dalla Mensa Vescovile d’Asti, e posseduto dall’infras.to Vassallo cc. 12r-19v (Intendente Di Bonvicino, Asti 19 giugno 1784); II Archiviazione, Capo 21, n. 1, Nota Alfabetica de’ territorii stati misurati coll’indicazione dell’annata nella quale seguì la misura (s.d., ma ca. 1731), c. 4v; Stato delle Terre del Vicariato Pontificio, e de’ Feudi Imperiali dipendenti dalle infraespresse Provincie, stati lasciati immuni come lo erano per il passato, e così non compresi nel Conto di Perequazione, cc. 21r, 22r (s.d., ma ca. 1731); Stato d’altre Terre, in quali non s’eserciscono le Gabelle di Carne, Corame, e Foglietta, ma solam.e le altre (s.d., ma ca. 1731); Stato delle Terre che dall’Editto di Perequazione 5 Maggio 1731 sono state lasciate tacitamente immuni da’ Tributi, con la clausula donde ciò proceda, e la notizia se in esse si esercitino le Gabelle in tutto, parte, o niente (s.d.), c. 23v; n. 161, Registro delle notizie prese da Commissarj deputati per la verificaz.ne de Contratti a Corpo de beni dal 1680 al 1711 inclusive circa la qualità delle Misure e Registro de beni di caduna Comunità del Piemonte, e denominaz.ne de Cantoni Membri, e Cassinali (s.d.), c. 56r. B.R.T. (Biblioteca Reale di Torino). Vedi catalogo.
B.R.T., Relazione generale dell’Intendente d’Asti sullo stato della Provincia, 1753, cc. 92r-93v (pp. 72-73), (pp. 219, 240). | |
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Descrizione Comune | Cisterna d'Asti
La formazione del territorio di Cisterna ebbe inizio con lo smembramento della vasta signoria territoriale costituita dai Gorzano fra il Borbore e l’ “Astisio” nei secoli XII e XIII. Seguite alla sconfitta per mano di Asti (1274), la distruzione del castello di Gorzano e la fondazione nel suo territorio della villanova di San Damiano lasciarono agli antichi signori, come principale presidio militare e centro di irradiazione di poteri giurisdizionali, il castello costruito intorno alla metà del secolo sul colle di Cisterna, luogo recentemente acquisito al loro dominio. Un secondo importante sviluppo si verificò, probabilmente nel corso dei secoli XIV o XV, quando i feudatari di Cisterna vennero in possesso del castello fondato nel 1242 dai signori di Loreto (presso Canale) a Belvedere o Belriguardo, ridotto, almeno dalla seconda metà del secolo XV, a semplice “membro” del feudo principale.
Inscritto in questa primitiva evoluzione è un dato permanente di tensione territoriale con la comunità di San Damiano, che dalla fine del secolo XV a quella del secolo XVIII s’intrecciò con la questione della sovranità sul feudo di Cisterna. A differenza della parte della signoria dei Gorzano divenuta territorio di San Damiano e quindi integrata in un ambito più diretto di esercizio del dominio astigiano, per Cisterna non venne infatti mai obliterata l’originaria qualità di feudo vescovile. Anzi, verso la fine del secolo XV, in occasione del processo intentato dalla sede romana ai feudatari Pelletta, fece la sua comparsa la tesi dell’immediata dipendenza dalla Camera apostolica, anche a scapito delle prerogative vescovili. L’esito più immediato dell’iniziativa papale fu comunque il distacco di Cisterna e Belriguardo dalla più vasta rete di domini signorili costruita dagli astigiani Pelletta. In tal modo, il luogo fu allontanato ulteriormente dalla sia pure indiretta appartenenza al “Contado” di Asti, che gli attribuivano gli statuti tardotrecenteschi della città e pattuizioni successive. Quando, dalla seconda metà del secolo XVI, i duchi di Savoia si richiamavano al loro titolo di conti di Asti, oltre che all’esercizio del vicariato imperiale, per legittimare le pretese di sovranità avanzate sui feudi della chiesa astigiana, ciò avveniva ovviamente nel quadro di logiche di integrazione politica del territorio ben diverse da quelle che avevano animato la formazione dello stato cittadino. Durante la prima età moderna, Cisterna non fu soltanto una munita fortezza, di rilevante valore strategico per le potenze (Francia, Impero, Spagna) che si disputarono con le armi o la diplomazia il controllo del teatro piemontese. Grazie alla sua “immunità”, in quanto “terra di Chiesa”, dalle giurisdizioni statali circostanti, quali il Ducato di Savoia e il Monferrato gonzaghesco, che stavano rafforzando i loro strumenti amministrativi e fiscali, la sua collocazione appare infatti strategica anche da un altro punto di vista. Fino al 1631, insieme con altri feudi ecclesiastici (in particolare, Govone), rappresentava un corridoio di comunicazione di vitale importanza, commerciale ancora prima che militare, tra i luoghi appartenenti al Ducato di Monferrato nell’Albese e il territorio di San Damiano, anch’esso importante presidio monferrino, situato in posizione isolata, ai confini con il Contado astigiano. Come si esprimeva un anonimo parere rivolto al duca di Mantova e Monferrato alla fine del Cinquecento o all’inizio del secolo successivo: Santo Damiano non può andare in Alba né alla Riviera senza passare a Govone o Magliano né può estrahere vetovaglie che non passi sopra le terre della Chiesa, essendo da quelle circondato da tre parti, cioè da Govone, Cisterna et Tigliole, da due parti dal Signor Duca di Savoia
e proseguiva, sottolineando la proficua interdipendenza economica generata da questo articolato assetto politico del territorio in un’area di transiti verso la costa ligure:
Quanto di comercio et mercato si facia in Alba et Santo Damiano quasi tutto procede dalle terre di Chiesa quali essendo libere dalla tratta di Savoia vi conducono le lor vetovaglie et per uso et per condurle alla Riviera. Tutto il sale quale smaltiscono queste terre della Chiesa tutto passa sopra il statto di V.A. [scil.: il duca di Mantova e di Monferrato] pagando il dritto della tratta et passaggio. Se quelle terre restassero del Signor Duca di Savoia, Santo Damiano restarebbe prigione et Alba del tutto soffocata” [AS.T., Vol.e di Documenti riferibili alle controversie territoriali, cc. 250r-252r].
Non a caso, i feudi della Chiesa venivano additati, da parte sabauda - anche dopo l’annessione, nel 1631, di San Damiano e dell’Albese – come ricettacoli del contrabbando e del banditismo. Verso la fine del secolo XVII, ad esempio, agli ufficiali del duca di Savoia appariva particolarmente insidioso il contrabbando del sale su larga scala, che impegnava soprattutto sudditi sabaudi provenienti dalla zona di Alba, in associazione con uomini di Cisterna:
Altro sfroso de sali vien causato da sfrosatori della Montà, S. Stefano, Monteu e Canale suditi di S.A.R. in compagnia d’altri della Cisterna, Ziolla et altri luoghi circonvicini, li quali ben sovente in numero grandissimo di persone armate portano sale di sfroso nelle Provincie di Chieri, Carmagnola, Torino e valle di Susa e molte volte seco vi sono Alessandrini e Monferrini [A.S.T., Rappresentazione degli Abusi].
Più in generale, nelle “terre di Chiesa”, contrabbandieri di varia provenienza (dagli stati sabaudi, dall’Alessandrino, allora parte dello Stato di Milano, dai feudi imperiali) concentravano allora le loro partite di sale e, partendo di qui, riuscivano a smerciarle agevolmente in Piemonte: “[Da] quelli sforsatori Allessandrini e del Francore et anche de suditi di Sua A.R. vengano introdotti gran quantità di sale di sfroso nelli luoghi della Cisterna, Camerana e Montafia dove puoi con ogni facilità s’introduce nelli stati di S.A.R.” [A.S.T., Memoria data dal Gabelliere].
Intanto, il confine tra le comunità di Cisterna e San Damiano restava poroso, ma, a quanto sembra, a tutto vantaggio della prima, probabilmente favorita dalla opportunità che il suo statuto territoriale forniva, in questo caso al possesso fondiario, di sottrarsi alla più onerosa fiscalità monferrina o sabauda. Erano infatti numerosi i proprietari di Cisterna che pagavano tributi presso la loro comunità di residenza per terre rivendicate da San Damiano come appartenenti al proprio “registro”. In particolare, tra i secoli XVI e XVII, i confini fra le due comunità appaiono plasmati, soprattutto in corrispondenza delle località di Valzeglio e Valmellana, da una persistente opera di erosione compiuta ai danni del territorio di San Damiano dai proprietari, perlopiù nobili, delle “cassine” sorte nel corso della prima età moderna. Si susseguirono così, dalla seconda metà del Cinquecento, le liti, le intimazioni del podestà di San Damiano a quei proprietari, in quanto morosi delle taglie, mentre gli uomini di Cisterna inscenavano atti di possesso sulle comunaglie esistenti presso le aree disputate. Nel 1584, per esempio, una squadra armata proveniente da Cisterna, agli ordini del governatore pontificio del luogo, si recò a tagliare legna nella contrada Toirana o Serra di Monteu, confinante con terreni appartenenti alla chiesa di San Gervasio e al castello di Cisterna, ma, secondo la comunità di San Damiano, ricadente nella propria giurisdizione [A.S.T., Vol.e di Documenti riferibili alle controversie territoriali, cc. 99-122]. A San Damiano si denunciava inoltre l’abusiva incorporazione del castello di Belriguardo, ormai ridotto a un rudere e, come in altri casi, trasformatosi da presidio difensivo a complesso fondiario dallo statuto giuridico (allodiale o feudale) controverso. Per i rappresentanti di San Damiano, Belriguardo costituiva a tutti gli effetti una “dipendenza” della comunità. Iscritto con il suo “finaggio” nel catasto della comunità, era anzitutto un possesso legittimato dalla memoria di un antico atto di conquista ascrivibile agli uomini di San Damiano: antiquamente preso et rovinato da essi uomini di San Damiano come anche puoi apresso furono rovinati altri cioè il castello di Gorzano, Castelnovo, Marulengo […] tutti posti sopra dette fini” [A.S.T., Vol.e di Documenti riferibili alle controversie territoriali, cc. 188v-89v].
Nel rievocare l’antica lotta al fianco di Asti contro i signori della zona, gli abitanti di San Damiano ancoravano il moderno contenzioso a una sorta di mito di fondazione e alla genesi stessa delle due comunità in conflitto [Vd. anche schede Canale e San Damiano d'Asti].
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