Crevacuore

AutoriCerino Badone, Giovanni
Anno Compilazione2014
Provincia
Biella
Area storica
Marchesato di Crevacuore, Biellese
Abitanti
1.576 [Istat 2013].
Estensione
ha 836 [Istat].
Confini
Ailoche, Caprile, Curino, Guardabosone (VC), Pray, Scopello (VC), Serravalle Sesia (VC), Sostegno, Trivero.
Frazioni
Azoglio, Pianezza, San Rocco, Alpe Nasercio (isola amministrativa).
Toponimo storico
La prima attestazione riferita a Crevacorum risalente all’anno 999 [MGH DD II/2, n. 323, p. 750; BSSS 145, p. 118]. Nel secolo successivo “Crevacuore con le case e diritti di pesca e ogni altra regalia” compare per la prima volta nei documenti nel 1141 e nel 1152, quando l’imperatore Federico II annullò tutte le donazioni e le vendite compiute da vescovi illegittimi, compresa la cessione dei diritti giurisdizionali, spettanti alla chiesa vercellese [Panero 1985, pp. 16, 24].
Diocesi
Crevacuore fa parte dell’Arcidiocesi di Vercelli, probabilmente già dal IV secolo d.C. L’attestazione antica più certa è tuttavia del X secolo [MGH DD II/2, n. 323, p. 750; BSSS 145, p. 118; Ughelli 1719, Vol. IV, p. 1101].
Pieve
La parrocchia di Crevacuore, dedicata alla Vergine Assunta, dipendeva in origine dalla pieve di Naula [Milano 1981, p. 34]. In epoca imprecisata si staccò da questa ed ebbe sede presso l’oratorio della Madonna della Serra, per poi trasferirsi all’interno del borgo di Crevacuore divenendo a sua volta matrice di altre parrocchie della zona. È probabile che Crevacuore comprendesse in un primo tempo sotto di sé anche Trivero, Coggiola, Postua e Flecchia, che si separarono già in tempi remoti. Flecchia era già parrocchia a sé stante nel 1227, e nel 1243 aveva un parroco residente. Coggiola divenne parrocchia nel XIII secolo e in seguito anche Postua, che si rese autonoma prima del XIV secolo [Barale 1987, pp. 48-57]. Nel 1626 si separarono dalla parrocchia di Crevacuore Ailoche e Caprile, seguite tre anni più tardi da Guardabosone e Pianceri [Barale 1987, p. 429]. Si tratta qui di seguito: a. Organizzazione; b. Distretto pievano; c. Edificio storico e rapporto con la comunità; d. Rendite; e. Rapporti con le altre presenze religiose.
 
a. Organizzazione. La prima visita pastorale nota relativa a Crevacuore risale al 1573 [ACVV, Visita Pastorale 1573, Crevacuore] ci informa che esisteva un solo prete, don Giovanni Barbotino di Sostegno, il quale doveva occuparsi della cura spirituale dei centri di Guardabosone, Ailoche, Caprile e Pianceri. Negli anni successivi è attestata la presenza, accanto al rettore, di un altro sacerdote con la funzione di vicecurato di Crevacuore, don Francesco Bellino, addetto ad amministrare il battesimo ai bambini [AP Crevacuore, Libro dei Battesimi, 1574-1584]. Nel XVII secolo la popolazione religiosa divenne più numerosa; nel 1665 i preti presenti erano cinque, tra cui il rettore della chiesa prepositurale, don Giovanni Battista Barello, affiancato da due sacerdoti, cappellani rispettivamente delle confraternite della Santissima Trinità e dei Santi Bernardino e Mastra. Due di questi religiosi, compreso il rettore, non godevano della rendita né di alcun beneficio in quanto erano stati ordinati sulla base economica del patrimonio familiare, e celebravano ad libitum, senza essere tenuti ad alcun obbligo preciso e si mantenevano con i propri redditi. Nel 1681 i preti erano quattro (il rettore, i cappellani della Santissima Trinità, della Confraternita dei Santi Bernardino e Marta, e un terzo cappellano del cantone di Giunchio) affiancati da dieci chierici che si stavano preparando al sacerdozio [ACVV, Visita Pastorale 1681, Crevacuore]. Nel 1693 i preti erano dieci; il preposto e vicario foraneo, il cappellano della Santissima Trinità, della confraternita dei Santi Bernardino e Marta, il cappellano titolare del beneficio della Cintura presso l’altare della Madonna della Neve nella parrocchiale. C’era un quinto cappellano che svolgeva le sue funzioni a Giunchio, un cappellano all’oratorio dell’Annunciazione; tre altri preti non ricoprivano alcun incarico specifico nella parrocchia, tanto che non furono rintracciati dal visitatore, ai quali si aggiungevano due chierici [ACVV, Visita Pastorale 1693, Crevacuore]. Nel 1747 i preti sono ben 12; oltre al rettore esercitavano cinque cappellani, tutti ordinati sulla base del patrimonio familiare, e tutti e cinque dediti agli studi di teologia [ACVV, Visita Pastorale 1747, Crevacuore]. Nel 1770 i preti residenti erano scesi a otto [ACVV, Visita Pastorale 1770, Crevacuore]. Nella prima metà del XIX secolo il clero di Crevacuore contava sei parroci [ACVV, Visita Pastorale 1836, Crevacuore]. Oltre al personale religioso, la chiesa parrocchiale aveva due sacrestani che lavoravano stabilmente, pagati dalla comunità, i quali provvedevano al decoro dell’edificio, al suono delle campane e all’allestimento degli addobbi per le feste, compito che svolgevano, dietro opportuna retribuzione, anche in occasione delle solennità al santuario della Madonna della Fontana [Bruno 2001, p. 115].
 
b. Distretto pievano. Nel XVIII secolo il territorio di Crevacuore contava oltre alla chiesa parrocchiale della Vergine Assunta altre 2 chiese inserite nel tessuto urbano, cinque chiese campestri. Le chiese erano le seguenti: parrocchiale della Vergine Assunta, oratorio dei Santi Bernardino e Marta, chiesa della Santissima Trinità o dei Santi Fabiano e Sebastiano. Le chiese campestri erano invece le seguenti: lungo la strada per Postua la chiesa della Madonna della Serra, lungo la strada per Coggiola la chiesa dell’Annunziata, lungo la strada per Ailoche l’oratorio di San Rocco, alla frazione Azoglio la chiesa di San Defendente, sul versante meridionale del Monte Tre Croci il santuario della Madonna della Fontana.
 
c. Edificio storico e rapporto con la comunità. L’atto di nomina del parroco di Postua, rogato nel 1387 sotto il portico della chiesa parrocchiale, ci consente di apprezzare che l’edificio era già collocato nella sua attuale posizione [Orsenigo 1909, pp. 243-245]. Nei secoli successivi la parrocchiale subì numerosi interventi architettonici, come l’abbattimento del portico. L’edificio, orientato e quindi di antica fondazione, nelle sue attuali linee risale al XVII secolo, mentre il coro e il presbiterio furono demoliti e ricostruiti ex novo nella seconda metà del XVIII secolo. Fin dal XVI secolo dinnanzi alla chiesa, costruita all’estremità orientale del borgo, tra il rio Bodro e la strada comunale per Postua era collocato il cimitero, poco utilizzato per le sepolture in quanto la maggior parte delle inumazioni avveniva nelle tombe comuni collocate sotto il pavimento della parrocchiale. In prossimità del camposanto si apriva la piazza principale del borgo, sede delle principali attività politiche e mercantili, quali la fiera del bestiame. Queste pratiche indispettirono non poco i visitatori pastorali colpiti da «l’indecenza che con proprij occhi abbiamo sperimentato in veder far il mercato pubblico avanti questa chiesa, etiamdio di bestiami immundi» Il rettore fu invitato a far pagare una lira d’argento di multa a chi avesse impiegato come area di mercato il sagrato e i terreni prossimi alla chiesa [ACVV, Visita Pastorale 1665, Crevacuore]. La più antica descrizione della chiesa è del 1573 [ACVV, Visita Pastorale 1573, Crevacuore]; l’aspetto esterno della parrocchiale non sembra essere cambiato di molto, mentre interiormente si trovava una serie di altari oggi non più esistenti, come quello dei Santi Orso e Brigida, San Nicolao, San Bernardino e San Sebastiano. L’altare dedicato a Santa Brigida di Svezia e al vescovo di Aosta Orso, giudicati omnibus destitutum, fu demolito entro il XVII secolo e sostituito da quello della Vergine dei Sette Dolori [ACVV, Visita Pastorale 1693, Crevacuore]. L’altare di San Bernardino da Siena, collocato in fondo alla chiesa, vicino alla porta laterale destra, nel 1606 fu giudicato nudum e se ne consigliò l’adeguamento o la demolizione. Si scelse la soluzione più drastica, anche se per tutto il XVIII secolo continuò ad essere impiegato il sepolcro [ACVV, Visita Pastorale 1606, 1661, Crevacuore]. L’altare di Sant’Antonio Abate conservò nel tempo la propria titolazione e presenza, mentre quello della Madonna della Neve alla fine del XVI secolo fu ricostruito a spese di Antonio de Marco, il quale lasciò in eredità tutti i propri beni. Nel 1681 era annesso all’altare il beneficium sub titulo B.V. de Cintura, mentre nel 1747 è attestata l’omonima confraternita [ACVV, Visita Pastorale 1573, 1606, 1681, 1747, Crevacuore]. L’altare di San Nicolao fu invece attribuito nel 1681 a Caterina da Alessandria. All’esterno del presbiterio, a sinistra dell’altare maggiore, esisteva la cappella di San Giovanni Battista, dove già nel 1573 era collocato un quadro raffigurante la Vergine Maria con ai suoi piedi inginocchiati le effigi del conte Pietro Luca Fieschi e della moglie Bettina Imperiali, signori di Crevacuore. Il conte Pietro Luca nel 1558 dotò questa cappella di beni mobili e immobili [ACVV, Visita Pastorale 1573, Crevacuore]. Altro altare scomparso era quello dei Santi Fabiano e Sebastiano, che nel 1573 era mantenuto dall’omonima confraternita, la quale provvedeva alla sua manutenzione e al pagamento dei sacerdoti che, due volte al mese, vi celebrano la messa. Era questa la primitiva sede della confraternita, poi spostatasi alla chiesa di San Sebastiano. L’altare era ancora esistente nel 1693, quando fu in seguito dedicato alla Concezione. Rimase la tomba della confraternita, i cui membri defunti continuarono a farsi seppellire. Nel XVIII secolo all’interno della chiesa parrocchiale si contavano non meno di nove aree sepolcrali: «una caduna per le confraternite della Santissima Trinità e del Gonfalone e delle Compagnie del Rosario e Cintura, questa serve per li fanciulli, altra per li Signori Sacerdoti, quella di casa Campo, altra di casa Bedoglio, altra di casa Barello, ed altra de fanciulli vicino alla porta maggiore e quella detta del commune nel mezzo della chiesa» [ACVV, Relazione dello stato della parrocchia della SS.ma V. Maria Assonta in cielo nel borgo di Crevacore, retta dalli 3 aprile 1758]. Ancora nel 1823, nonostante la presenza da oltre un secolo di un cimitero distante dal centro abitato e le varie leggi emanate a proposito, «le sepolture sono in chiesa con molto pregiudicio del pavimento della medesima, e della salute, per cui necessiterebbe il loro allontanamento» [AP Crevacuore, Inventario de mobili, arredi e sacri utensili della Chiesa Parrocchiale sotto il titolo della B.ma Vergine Assonta in cielo di Crevacuone].
 
d. Rendite. Nel 1573 gli abitanti del cantone di Giunchio (ora frazione di Guardabosone), lungo la strada per Postua ed abitato da 20 famiglie, erano tenuti al versamento della decima delle biade. Tale onore non era tuttavia adempiuto come in passato perché la parte spettante alla chiesa non era calcolata con precisione, ma si preferiva lasciare una parte del raccolto nei campi. Gli atti della visita pastorale precisano che la decima sul vino non era pagata, mentre si versava quella sulle marasche (ciliege amarene) nella misura di una scodella a focolare [ACVV, Visita Pastorale 1573, Crevacuore].
 
e. Rapporti con le altre presenze religiose. Nel 1747 il vescovo di Vercelli intervenne per comporre una lite tra l’amministrazione del santuario della Madonna della Fontana e i priori della chiesa parrocchiale. Questi ultimi pretendevano di riscuotere alcuni antichi capitali spettanti al santuario come forma di risarcimento per la mancata assistenza prestata dai due eremiti là collocati al sacrestano parrocchiale incaricato di addobbare la chiesa. L’antico obbligo era infatti disatteso ma, trattandosi di un inalienabile diritto della parrocchiale, il vescovo stabilì che il santuario versasse alla chiesa, in sostituzione dell’opera degli eremiti, la somma di trenta lire di Piemonte, da impiegarsi nel mantenimento di un secondo sacrestano e vietò nel contempo ai priori ogni ingerenza nell’amministrazione del santuario [ACVV, Visita Pastorale 1747, Crevacuore].
Altre Presenze Ecclesiastiche
Nel XVIII secolo il territorio di Crevacuore contava oltre alla chiesa parrocchiale della Vergine Assunta altre due chiese inserite nel tessuto urbano e cinque chiese campestri. Le chiese erano le seguenti: parrocchiale della Vergine Assunta, oratorio dei Santi Bernardino e Marta, chiesa della Santissima Trinità o dei Santi Fabiano e Sebastiano. Le chiese campestri erano invece le seguenti: lungo la strada per Postua la chiesa della Madonna della Serra, lungo la strada per Coggiola la chiesa dell’Annunziata, lungo la strada per Ailoche l’oratorio di San Rocco, alla frazione Azoglio la chiesa di San Defendente, sul versante meridionale del Monte Tre Croci il santuario della Madonna della Fontana. Di seguito si dà l'elenco dei principali enti ecclesiastici del territorio comunale articolato nelle seguenti categorie:
 
1. Chiese. Le chiese sono state suddivise in: 1.a chiese cittadine (ossia interne al tessuto urbano di Crevacuore), 1.b chiese campestri, 1.c santuari.
 
2. Confraternite (in ordine alfabetico).
 
1.a Chiese cittadine di Crevacuore.
 
Oratorio dei Santi Bernardino e Marta (ante 1573, costruzione attuale del XVII secolo). Le origini di questo oratorio possono essere ricondotte alla predicazione itinerante dei frati minori dell’osservanza francescana, detti “zoccolanti”, i quali erano soliti fondare delle “casette” sul territorio di cui resta una probabile traccia nella presenza di una piccola camera sopra il primitivo oratorio dei Santi Bernardino e Marta e destinata «precario nomine tantum» all’uso dei confratelli di San Bernardino [Bruno 2001, p. 145]. La confraternita doveva anticamente essere intitolata a Santa Marta cui in seguito fu aggiunto con probabile funzione antieretica la figura del francescano Bernardino da Siena, beatificato nel 1450, già predicatore in Vercelli. Dopo aver avuto una primitiva sede all’interno della chiesa parrocchiale, e presso l’altare di San Bernardino, la confraternita acquisì l’oratorio dei Santi Bernardino e Marta; edificio del quale non conosciamo le reali dimensioni ma che si suppone essere discrete in quanto l’aula doveva ospitare i sessanta iscritti alla confraternita, divisi internamente da un muro per separare l’oratorio dei confratelli da quello delle consorelle. Alla metà del XVII secolo, utilizzando come materiale da costruzione parte delle mura cittadine, l’oratorio antico venne alienato (1647) e, nelle sue immediate vicinanze fu costruito un nuovo edificio che venne rapidamente portato a termine. Nel 1723 iniziò la costruzione del campanile e della cappella dedicata a Santa Lucia. Negli anni Quaranta del Settecento fu avviata la costruzione della cappella della Madonna degli Angeli che si concluse dieci anni più tardi [Bruno 2001, p. 145].
 
Chiesa della Santissima Trinità, o dei Santi Fabiano e Sebastiano (ante 1573, forme attuali del XVII secolo). Questo edificio, situato all’estremità settentrionale dell’abitato, sull’asse viario della parrocchiale, si trovava in una zona periferica di Crevacuore che, dall’intitolazione della chiesa, assunse la denominazione di «contrada di San Sebastiano». Nei pressi dell’oratorio si apriva uno degli accessi al borgo, in corrispondenza della strada proveniente da Masserano attraverso il ponte di Azoglio. I vescovi di Vercelli e i signori di Masserano utilizzavano questo itinerario per fare il loro ingresso a Crevacuore. Lungo la strada si trovava già nel 1573 un piccolo oratorio campestre, quasi totalmente ricostruito nel corso del XVII secolo. La documentazione per ricostruire la storia di questo edificio religioso è, al momento, quasi del tutto perduta [Bruno 2001, pp. 150-151].
 
1.b Chiese campestri
 
Oratorio della Madonna della Serra (strutture del XIII secolo). Si tratta di una chiesa molto antica, primitiva sede della parrocchia di Crevacuore. La prima descrizione dell’oratorio risale al 1573; era stato da poco dotato di un campanile, oggi non più esistente [ACVV, Visita Pastorale 1573, Crevacuore]. L’oratorio della Madonna della Serra, situato lungo la strada verso Postua, nei pressi di un sentiero che porta al castello, riveste una particolare importanza per l’inestimabile valore artistico dei suoi affreschi, oltre che per l’indubbia rilevanza storica, perché rappresenta non solo la chiesa matrice della parrocchia di Crevacuore e delle rettorie vicine, ma di tutta la Valsessera e probabilmente della stessa Valsesia, tra cui Agnona [Orsenigo 1909, pp. 243-244]. Anticamente l’oratorio dipendeva, a propria volta, dalla pieve di Santa Maria di Naula, legame che risulta evidente nella intitolazione alla Vergine. Alla fine del XIII secolo la Madonna della Serra era tenuta al pagamento di una cospicua somma come decima papale, pari a sessanta lire. In un momento imprecisato la parrocchia di Crevacuore ottenne l’autonomia da Naula, ma non si sa se la separazione avvenne in concomitanza con la costruzione della nuova chiesa edificata nel borgo e già attestata nel 1348 [Barale 1987, pp. 48-57]. Da allora la chiesa della Madonna della Serra rimase un semplice oratorio campestre. Nel 1573 risultava genericamente indicato come «Capella Beatae Virginis extra locum Crepacorij» mentre nel 1606 per la prima volta è definito «oratorium Sanctae Mariae de Serra» [ACVV, Visita Pastorale 1573, 1606, Crevacuore]. Il termine “Serra” dipende dalla collocazione su un piccolo poggio che, nonostante le ridotte dimensioni consente al piccolo edificio di controllare la zona circostante grazie alla posizione dominante a fianco del valico che immette nella Valle Strona.
 
Chiesa dell’Annunziata (ante 1573). Le fonti inerenti questo edificio sono lacunose e frammentarie. La visita pastorale del 1573 si limitava a registrare la presenza dell’edificio dedicato alla Madonna dell’Annunziata. Il 25 marzo, in occasione della festa dell’Annunciazione, si celebrava la messa accompagnata dal canto. Il 7 ottobre, nel giorno del Santissimo Rosario, si svolgeva una processione, sempre dedicata all’Annunciata, durante il quale si recitava all’andata il Rosario e al ritorno le litanie della Madonna [ACVV, Relazione dello stato della parrocchia della SS.ma V. Maria Assonta in cielo nel borgo di Crevacore, retta dalli 3 aprile 1758].
 
Oratorio di San Rocco (XV secolo). L’oratorio di San Rocco, che dà il nome ad un cantone di Crevacuore, è situato sulla strada per Ailoche ed è di origine piuttosto antica, come testimoniano gli affreschi quattrocenteschi qui presenti. Le relazioni pastorali non forniscono indicazioni cronologiche precise, ma indicano chiaramente che l’edificio fu costruito dopo una pestilenza. Nonostante il proliferare degli edifici di culto dedicati al santo di Montpellier dopo le pesti del 1584 e del 1628, il San Rocco di Crevacuore sembra essere ben più antico e probabilmente legato a qualche epidemia del XIV secolo. Nel 1606 infatti era descritto come in completo abbandono, «per omnia fere destitum», che difficilmente ci permette di collocarlo come una costruzione recente: il visitatore trovò il tetto sconnesso che lasciava entrare acqua all’interno, le pareti erano fessurate e gli animali selvatici liberi di penetrare all’interno. L’oratorio era privo di ancona, pavimento, le porte erano senza battenti e solo il coro era voltato [ACVV, Visita Pastorale, 1606, Crevacuore]. Dopo la visita del 1606 l’edificio venne restaurato e i lavori di manutenzione effettuati a spese della comunità.
 
Chiesa di San Defendente (attestazioni dal XV secolo). La chiesa, costruita alla frazione Azoglio e oggi conosciuta come «di San Michele», in realtà presentava in passato una diversa titolazione ancora attestata nel XIX secolo che era quella di San Defendente. La visita pastorale del 1606 ricorda l’esistenza di un oratorio dedicato alla Santa Croce [ACVV, Visita Pastorale1606, Crevacuore]. Nel 1661 la costruzione era già stata modificata e ricostruita nelle due forme attuali [ACVV, Visita Pastorale 1661, Crevacuore] e dedicata ai santi Defendente e Rocco. La successiva visita pastorale del 1665 riconoscerà come unico santo titolare San Defendente [Bruno 2001, p. 154].
 
1.c Santuari
 
Santuario della Madonna della Fontana (XV secolo). Secondo la tradizione le origini del santuario sono antiche. Le relazioni settecentesche parlano di un’apparizione della Madonna l'8 settembre del 1334, festa della Natività della Vergine, alla pastorella muta Maria Raviciotti di Azoglio che riacquistò la parola per raccontare l'avvenimento; la Vergine espresse il desiderio che sul luogo dell'apparizione fosse edificato un santuario e consacrato il ruscello esistente [ACVV, Relazione dello stato della parrocchia della SS.ma V. Maria Assonta in cielo nel borgo di Crevacore, retta dalli 3 aprile 1758]. Venne eretta intorno una primitiva edicola, innalzata a ricordo dell’evento, intorno alla quale sorse una cappella come riportato nella visita del 1573 [ACVV, Visita Pastorale1573, Crevacuore]. Dal sec. XVII è testimoniata l'usanza di bagnarsi con l'acqua sgorgante al di sotto della cappella, raccolta in una vasca interna. Dal 1836 l'acqua per le abluzioni fu definitivamente canalizzata verso una fontana esterna, collocata sul piazzale del santuario. Nel 1606 viene segnalato l’inizio del cantiere per ingrandire la chiesa che assunse dopo un secolo la struttura attuale: pianta a tre navate con tre porte d'accesso ornate di stucchi; cupola centrale; portico in facciata con alloggio sovrastante [ACVV, Visita Pastorale1606, Crevacuore]. Lungo il percorso che conduce al santuario furono costruite delle cappelle con affreschi di soggetto mariano. Dal XVII secolo il santuario era un luogo di eremitaggio ed erano ospitati uno o, in alcuni periodi, due religiosi. L’eremita che vestiva l’abito dei Terziari francescani e la cui presenza era annualmente certificata e concessa dal vescovo di Vercelli, era una figura pienamente inserita nell’organizzazione diocesana, ed era obbligato a risiedere nel santuario, espletando le funzioni di sua pertinenza; era tenuto a coadiuvare il prevosto di Crevacuore nello svolgimento della sua missione. L’acquisizione dello status di eremita, che implicava un impegno a vita, non era semplice: essere accolto presso il santuario con l’incarico di “romita custode” non era semplice, e i priori dovevano spesso scegliere tra una rosa di candidati, spesso dietro forti pressioni di raccomandazioni e offerte in denaro. Gli obblighi dell’eremita non si limitavano alla custodia - anche armata - e alla cura dell’edificio, ma comportavano la sua partecipazione attiva al mantenimento economico del santuario attraverso la raccolta di elemosine e soprattutto delle collette, le cosiddette “cerche” [Bruno 2001, pp. 184-189].
 
2. Confraternite
 
Nel borgo di Crevacuore erano presenti le seguenti confraternite:
 
Compagnia dei Santi Bernardino e Marta. Aveva originariamente sede nella chiesa parrocchiale; nel XVII costruì come propria sede la chiesa dei Santi Bernardino e Marta. Aveva come prerogativa il conforto spirituale dei condannati a morte. Tale compagnia era aggregata alla Confraternita del Gonfalone, detta anche del Riscatto o della Misericordia.
 
Confraternita del Rosario.Di antica fondazione e già esistente nel 1573, aveva sede nella chiesa parrocchiale con il nome di «Societas Sanctae Mariae».
 
Confraternita del Santissimo Sacramento. Già esistente nel 1573 con la denominazione di «Societas Corporis Christi», aveva sede nella chiesa parrocchiale.
 
Confraternita della Santissima Trinità. Insieme alla Compagnia dei Santi Bernardino e Marta era la confraternita più potente di Crevacuore. Era aggregata all’Arciconfraternita della Città Eterna. In epoca medievale gestiva un ospedale, quello di San Sebastiano, già in disuso nel 1573.
 
Altre compagnie minori erano la Società della Madonna del Cordone di San Francesco, che aveva sede presso l’altare della madonna degli Angeli nell’Oratorio dei Santi Bernardino e Marta, e la Confraternita di Sant’Antonio da Padova, retta nel 1665 presso l’omonimo altare nella chiesa della Trinità.
Assetto Insediativo
La maglia del centro di Crevacuore appare disposta lungo un crocevia di strade; l’asse stradale verso Postua e Guardabosone, il cammino verso la Val Sesia e le strette di Guardella, la strada verso l’Alta Valsessera. Il centro abitato, probabilmente durante l’alto medioevo sparso in vari cantoni tra la collina del Castello, il Monte Orfano e la piana di San Defendente, ha trovato nella piana a nord del Monte Orfano un luogo particolarmente adatto dove svilupparsi, al riparo da rovinose piene del Sessera – ma sufficientemente vicino al guado e al ponte di Azoglio - e con una campagna che si estendeva verso ovest in grado di garantire sufficienti spazi agricoli. Nel corso del XIX e XX secolo questo spazio è diventato area privilegiata per una contenuta espansione urbana.
 
1. X-XII secolo
Le prime comunità di Crevacuore erano organizzate come un insediamento sparso. La collocazione della prima chiesa parrocchiale, l’oratorio della Madonna della Serra, si trova sulla strada per Postua e sembra essere posta sul territorio in maniera ottimale per servire da punto di cerniera e di incontro per le popolazioni di Crevacuore, Azoglio, Postua, Guardabosone, Caprile, Giunchio, Ailoche e Caprile. Non è da escludere che l’edificio sia stato collocato sulle rovine di una struttura di epoca romana; la zona era già nota in epoca classica per le attività minerarie. L’antica parrocchiale era al centro di questo paese “cantonale”, ma la sua presenza da sola non è riuscita a catalizzare l’interesse delle comunità locali e a funzionare da elemento di aggregazione edilizia. Al contrario la zona pianeggiante protetta dal Sessera dai colli del castello, Damonte e Monte Orfano diventava l’area privilegiata per accogliere la sede di una nuova parrocchia, una maggiore densità edilizia e, da ultimo, funzionare da centro di rappresentanza e potere. Il primo nucleo di Crevacuore, di forma radiocentrica, risultava composto dalla collina del castello stesso, la piazza intorno la chiesa destinata a diventare la nuova parrocchiale, ancora oggi orientata.
 
2. XIII - XV secolo
Non solo l’aspetto morfologico del territorio, ma anche quello economico, rafforza la posizione del centro di Crevacuore. Il borgo diventa centro di raccolta delle attività estrattive della zona, principalmente miniere di ferro e argento. Il 17 aprile 1349 il vescovo Giovanni Fieschi investiva i signori di Crevacuore del contado ma, soprattutto, «ferrariis et argenteriis». Lo stesso avveniva per le attività estrattive di Postua [Pipino 2010, p. 17]. Si spiega così anche la presenza di un borgo murato – al cui interno era installata anche una zecca per la lavorazione e monetazione dell’argento - e di un castello; struttura di valore bellico tutto sommato scarso ma sicura cassaforte in pietra per i metalli estratti. Il borgo risulta espandersi lungo le principale vie di transito, ad ovest lungo la strada per la Valsessera, dove vengono aperte nuove piazze, e a nord verso i cantoni e centri minerari di Guardabosone e Postua.
 
3. Epoca moderna
Lo sviluppo di Crevacuore quale centro di raccolta per i metalli estratti in zona e controllo delle miniere presenti dal bacino del Sessera. Il 14 agosto 1543 Luca Fieschi ed alcuni imprenditori lombardi costituiscono varie società destinate a sfruttare le miniere di Crevacuore e Postua [Pipino 2010, p. 31]. L’idea che il borgo debba essere qualcosa di simile ad un centro a tutti gli effetti del “distretto minerario” del basso corso del Sessera viene messo in atto anche dal duca di Savoia Emanuele Filiberto il quale, ricevuto il feudo di Crevacuore, l’11 febbraio 1561 emanava, in quanto feudatario di Crevacuore, un bando pubblico per l’affitto delle ferriere e delle miniere di ferro presenti sul territorio della comunità; le grida furono reiterate il 12 maggio dello stesso anno. Besso Ferrero Fieschi, rientrato in possesso di Crevacuore, denunciava nel settembre del 1576 il fatto che queste miniere fossero un bene feudale separato e quindi dovessero essere restituite. I Savoia continuarono a mantenere il possesso delle miniere che continuarono a sfruttare: nel 1578 il papa Sisto V ratificava la natura feudale delle miniere di Postua e Crevacuore. Il 15 novembre 1579 il duca di Savoia, preso atto della bolla del pontefice, accettava il fatto che le miniere fossero feudali; ma gli edifici e le infrastrutture per il loro sfruttamento erano allodiali e spettavano al marchese d’Este. Potevano ad ogni modo essere riscattati al prezzo di 1.800 scudi d’oro [Pipino 2010, pp. 40, 120, 163]. Le miniere erano un bene strategico che andava sfruttato e difeso; nel 1635 a Crevacuore le miniere di ferro erano in piena attività estrattiva e vi si producevano quasi tutte le palle d’artiglieria necessarie all’esercito del duca di Savoia [Pipino 2010, p. 52]. Nel 1650 era estratto non solo il ferro per i campi di battaglia, ma erano in attività miniere d’oro, d’argento e di piombo [Pipino 2010, p. 54]. Di qui la permanenza, caso pressoché unico in tutta la zona del biellese ad esclusione di Biella stessa, di una guarnigione di un fortilizio presidiato e la creazione di un unico grande centro di aggregazione. Persino il campanile stesso della parrocchia venne realizzato se non come un vero e proprio fortilizio almeno come elemento aggiunto alla difesa, non a caso collegato nel punto di cerniera tra il borgo e la collina del castello e nei pressi del ponte sul torrente Bodro. La presenza di queste difese nella prima metà del XVII divenne un problema, non tanto per il contenimento dello sviluppo edilizio del borgo – i nuovi quartieri di San Sebastiano e San Rocco furono comunque costruiti appena fuori le mura – quanto per la capacità di attirare nella zona armate francesi, sabaude e spagnole desiderose di controllare manu militari la strategica zona mineraria di Crevacuore-Postua. Fu questa una delle ragioni per le quali il centro fu smilitarizzato con demolizioni mirate al castello prima di tutto e poi alle mura. A beneficiarne fu il sistema viario: nel 1670 veniva completato il ponte sul Sessera ad Azoglio in luogo del guado e del traballante ponte in legno, assicurando il collegamento stradale con Masserano e l’area meridionale del feudo [Bruno 2001, pp. 64-71].
Luoghi Scomparsi
Non si segnalano a livello documentario luoghi abbandonati o scomparsi. La collocazione della prima chiesa parrocchiale, l’oratorio della Madonna della Serra, si trova sulla strada per Postua e sembra essere collocata sul territorio in maniera ottimale per servire da punto di cerniera e di incontro per le popolazioni di Crevacuore, Azoglio, Postua, Guardabosone, Caprile, Giunchio, Ailoche e Caprile. Non è da escludere che l’edificio sia stato collocato sulle rovine di una struttura di epoca romana. La zona era già nota in epoca classica per le attività minerarie e collocata al centro di un insediamento oggi scomparso. Anche la collina del castello di Crevacuore probabilmente è stata sede di un insediamento preromano e poi altomedievale sino a quando le strutture fortificate hanno completamente inglobato l’insediamento che si è invece insediato e sviluppato nel piano sottostante.
Comunità, origine, funzionamento
Nelle fonti documentarie la comunità di Crevacuore compare per la prima volta nel 1223, quando fu stipulata una convenzione tra il prevosto di Santhià, rappresentante del vescovo di Vercelli, e i signori di Crevacuore, per stabilire con precisione le rispettive competenze territoriali: la zona situata a valle, dove si trovavano prati, pascoli e castagneti, fu considerata di proprietà comune in base ad antiche consuetudini. In alta valle i signori vantavano pieni diritti, compreso quello di caccia [Barale 1987, p. 52]. La comunità ritorna ad essere menzionata ed interpellata nel 1243, con il passaggio del potere comitale dal vescovo al comune di Vercelli, quando due rappresentanti del governo cittadino presero possesso del borgo alla presenza di Ghisulfo de Petra e Ubertino de Guardabosono, consoli del paese [Barale 1987, p. 31].
I paragrafi che seguono trattano: a. Le origini del comune; b. Le magistrature sotto la signoria monferrina; c. Le magistrature in epoca sabauda.
 
a. Le origini del comune di Crevacuore. Per quel che riguarda le epoche più antiche risulta problematico ricostruire il funzionamento della comunità e le competenze dei singoli organi amministrativi. Sappiamo che una “comunità di valle” esisteva come struttura organizzata ben prima dell’installazione di un feudo legato ai Fieschi. Nel 1238 il vescovo di Vercelli Uberto investiva i sindaci delle comunità valligiane, primo nucleo costitutivo della Universitas; l’autonomia e il potere decisionale dei rappresentanti locali risultavano già molto ampi nel 1377, quando i Valsesiani e la comunità della valle di Crevacuore stipularono il cosiddetto “trattato di Montrigone”, stabilendo una tregua triennale e alcuni patti di buona vicinanza [Bruno 2001, p. 23].
 
b. Le magistrature sotto la signoria dei Fieschi. Nel XVI-XVII secolo il marchesato di Crevacuore risultava composto da undici parrocchie (Crevacuore, Pianceri, Ailoche, Flecchia, Guardabosone, Caprile, Postua, Santa Maria, San Bononio, San Nicolao, San Martino) e da sei consolati (Crevacuore, Postua, Curino, Guardabosone, Ailoche, Flecchia). Nel XVI secolo esistevano a Crevacuore diverse figure amministrative e di potere, talvolta in contrasto tra di loro: il podestà, il governatore o castellano, il console, il sindaco e i consiglieri. Il podestà, sempre un non residente a Crevacuore, era il rappresentante dei Fieschi non solo nel borgo, ma in tutto il territorio circostante comprendente Postua, Guardabosone, Ailoche, Caprile e Pianceri, privi di autonomia nell’amministrazione degli affari interni. Egli si occupava dell’amministrazione degli affari interni, della gestione amministrativa e, in nome dei signori feudali, era responsabile della raccolta delle imposte ed esercitava le funzioni di giudice nelle cause discusse “nel tribunale”. Il podestà rimaneva in carica per circa un anno. In virtù dei privilegi concessi da Besso Ferrero Fieschi nel 1577, al momento dell’assunzione dell’incarico il podestà era tenuto a prestare giuramento nelle mani dei consoli, promettendo di osservare i privilegi e gli statuti, di risiedere stabilmente nel borgo ed amministrare la giustizia. Si impegnava a rendere conto prima dello scadere del mandato del proprio operato, soprattutto per quel che riguardava l’amministrazione finanziaria. Le limitazioni cui era sottoposta l’autorità podestarile provocarono una decadenza del prestigio e dell’effettivo potere decisionale connesso alla carica. I podestà che giuravano davanti ai consoli fedeltà ai privilegi della comunità, tendevano a sottrarsi il più possibile a questo adempimento, reputato troppo vincolante. Le costituzioni di papa Alessandro VII del 1660 eliminarono definitivamente la figura depotenziata del podestà assegnando un ruolo maggiore ai consoli. Al contrario il governatore, o castellano, era il responsabile delle difese del borgo, di fatto il detentore del potere militare sino al XVII secolo. Dopo la demolizione della strutture fortificate nel 1657 la carica venne a mancare [Bruno 2001, p. 22]. Mentre il podestà e il governatore erano espressioni del potere feudale, e non a caso scelti direttamente dai Fieschi, la carica di console, affidata a un abitante di Crevacuore e già attestata nel XIII secolo, era invece l’espressione della volontà e degli interessi della popolazione locale, talvolta opposti alle direttive signorili. I consigli della comunità di Crevacuore erano presieduti non dai consoli ma da un sindaco, al quale spettava decretare la riunione dell’assemblea cittadina, o Consiglio del Particolare, e rappresentare la comunità del borgo di Crevacuore (e così esisteva un sindaco a Postua, Guardabosone, Caprile e Ailoche), con materie di competenza riguardo la riscossione delle tasse, la determinazione delle norme per il commercio e la designazione dei campari. Al console e allo stesso sindaco spettava il potere esecutivo e l’attuazione delle delibere. Il Consiglio del Generale era invece un’assemblea che aveva competenze anche sul territorio di Postua, Guardabosone, Caprile e Ailoche, che esprimevano i propri consoli in seno al consiglio stesso. Ben più ampie le competenze del consiglio della Valle di Crevacuore o Generalissimo, che aveva competenze in materia di viabilità, opere pubbliche, tasse, gestione dei pascoli e delle mandrie. Al Generalissimo partecipavano non solo le comunità legate a Crevacuore, ma esso estendeva la propria giurisdizione anche su Curino, Flecchia e Pianceri. Il consiglio valligiano, presieduto dal sindaco valligiano, era costituito da tre consiglieri di Crevacuore e da un consigliere per ognuno degli altri consolati e delle undici parrocchie. Al Generalissimo spettava l’elezione di un proprio segretario, detto anche agente in Roma, che fungeva da rappresentante degli interessi della comunità presso il papa e nominava mastri di strada, campari, esattori e tesorieri alle dipendenze della comunità. Dal 1660 era in vigore il sistema di designazione del sindaco e dei consoli “a ruota”, ossia a turno tra i membri del Generalissimo [Capuano 2008; De Rosa 2000].
 
c. Le magistrature in epoca sabauda. Nel 1738 il principe Vittorio Amedeo Ferrero Fieschi decretò l’autonomia comunale a Postua, Guardabosone, Ailoche e Caprile, i quali non inviarono più i loro rappresentanti al Consiglio del Generale.
Statuti
Il primo statuto del quale abbiamo notizia certa sono i Capitula, ordines, et statuta Burgi, et Vallis Crepacorij Vercellen. Diocesis moderatore, et auspice Ill. D. Petro Luca Flisco, studioque, et opera spectabilis Dni Jieronimi de Bertolio edita anno domini MDXXVII. Nel 1660 gli statuti del feudo furono completamente rivisti, operazione necessaria specie dopo i torbidi del 1657. Il risultato di questa operazione fu la Riforma del Consiglio di Crevacuore ordinata dal Nunzio in Torino, ed eseguita dall’Abbate Giacomo Villani Governator Appostolico del Principato, e Marchesato, 1660 [Fontana 1907, p. 497]. L’attuale statuto è del 28 novembre 2002.
Catasti
La situazione degli archivi catastali di Crevacuore risente dell’incursione effettuata nel 1733 dagli abitanti di Postua per la consegna dei registri catastali di loro pertinenza. Molte carte furono in quell’occasione disperse o distrutte [vedi Liti territoriali]. La situazione attuale è la seguente:
- Registri Catastali dei Comuni delle Comunità del Marchesato di Crevacuore dall’anno 1649 al 1710 (Crevacuore, Ailoche, Caprile, Guardabosone, Pianceri, Postua), Vol. VI ASC Crevacuore;
- Catasto delle Valli di Crevacuore, 1710 (Crevacuore, Ailoche, Caprile, Guardabosone, Pianceri, Postua) [Nota. Recuperato nello scantinato del palazzo comunale durante la ricognizione nell’archivio comunale del 2 maggio 2014];
- Libro Ripertorio Nuovo del Comune di Crevacuore, 1803 (aggiornato al 1890) [Nota. Segnalato come Vol. II del Catasto];
- Catasto, 1902 (aggiornato al 1952) [Nota. Segnalato come Vol. III del Catasto];
- Catasto, 2 voll., 1953 [Nota. Segnalato come Voll. III e IV del Catasto];
- Matricola possessori di terreni, 1952.
 
Il volume segnalato come Vol. I del Catasto, aggiornato agli anni 1740-1852, è in realtà il Catasto del comune di Ailoche.
Ordinati
Gli Ordinati conservati presso l’archivio del comune di Crevacuore hanno inizio nel 1607 con alcune lacune (1607-1656, 1689-1769, 1773-1801). Dal 1814 gli Ordinati sono completi per ogni annata [A.S.C. Crevacuore].
Dipendenze nel Medioevo
Crevacuore venne rivendicato nel corso dell’XI secolo da parte dei vescovi di Vercelli, in particolare dal vescovo Leone che si adoperò attivamente per ottenere la conferma imperiale della signoria territoriale sulla regione, pressoché compatta, compresa tra i fiumi Dora Baltea, Po e Sesia [Manaresi 1944, pp. 285-313; Panero 1979, pp. 25-27]. L’imperatore Corrado II ne diede una prima conferma alle rivendicazioni di Leone, seguito da Federico I nell’ottobre 1152 che garantì al vescovo Uguccione il possesso di «Crevacorium, Quirinum, Messaranum, cum omnibus regalibus» [MGH, Diplomata, X, parte I, p. 53, D. 31]. Le derive prese da alcune comunità, che preferivano non legarsi ai domini vescovili di Vercelli, costrinsero il vescovo Uguccione a procurarsi falsi diplomi per rafforzare la sue rivendicazioni in grado di garantirgli una base giuridica sulla quale fondare le sue rivendicazioni [Panero 1979, pp. 28-29]. E’ il caso del diploma di Ottone III dove è menzionato il castrum di Crevacuore dato in concessione al vescovo per la sua parte attiva nella lotta contro Arduino da Ivrea [Manaresi 1944, pp. 301-304]. Falsificazione che funzionò a dovere, e il vescovo poté acquisire reali diritti sulle terre in questione. Con gli statuti promulgati a Vercelli nel 1234 si cercò di spogliare il vescovo del suo potere comitale. Nel 1243, vacante la sede vescovile, il legato apostolico di Lombardia vendette al comune la giurisdizione civile della chiesa vercellese. Il comune si affrettò a prendere formalmente possesso degli aviti beni vescovili; il 3 maggio 1243 veniva redatto a Masserano l’atto notarile di consegna, seguito il giorno dopo dalle comunità di Crevacuore [Biscioni, I, p. 140]. L’anno seguente il nuovo vescovo Martino Avogadro non ratificò l’atto, recuperando le terre di pertinenza della chiesa e nel 1246 investì come signori di Crevacuore, Camusa e Nicolao, con la clausola di tenere il castello in ordine e ben munito, concedendo nel contempo numerose proprietà alle comunità locali perché ne facessero uso comune [Barale 1987, p. 60]. Nel corso del XIV secolo i vescovi continuarono la prassi consolidata di rinnovare periodicamente le investiture ai signori locali e ai sindaci per assicurarsene la fedeltà. Nel 1312 tra i beni concessi dal vescovo Uberto Avogadro ai signori di Crevacuore figuravano, accanto a beni fondiari, anche i diritti sulle miniere d’argento e di ferro. Nel 1377 il vescovo Giovanni Fieschi cedette al fratello Nicolò i diritti della chiesa vercellese sulle terre di proprietà vescovile.
Feudo
Solo nel 1394 il vescovo di Vercelli, Lodovico Fieschi, dell'omonima famiglia genovese, ottenne che Masserano, assieme a Crevacuore, venisse infeudata a suo fratello Antonio da papa Bonifacio IX. Dopo un primo tentativo di occupare il feudo manu militari nel 1383, Lodovico riuscì ad ottenere, grazie all’alleanza con i conti di Savoia, il possesso perpetuam adherentiam per i luoghi di Masserano Crevacuore, Brusnengo, Curino, Flecchia e Rivò [AST, Corte, Provincia di Vercelli, Mazzo 23]. Il feudo, ora comune di Masserano e Crevacuore, fu elevato al rango di contea con la bolla di Giulio II del 27 novembre 1506 [AST, Corte, Provincia di Vercelli, Mazzo 23]. La mancanza di eredi maschi provocò una crisi interna alla contea di Masserano. Il feudo pontificio sarebbe dovuto passare ai discendenti di Pietro Luca Fieschi di Crevacuore. L’ultimo detentore del titolo comitale, Ludovico Fieschi, prete, adottò Filiberto Ferrero, come figlio ed erede tramite un contratto di adozione siglato il 7 aprile 1517 e approvato da Leone X il 9 novembre 1517. I Fieschi di Crevacuore contestarono queste decisioni innescando una serie di tensioni e liti di confine tra le varie comunità confinanti. Con un accordo siglato il 5 marzo 1528 il feudo venne infine diviso; Masserano rimase al Ferrero, mentre Crevacuore e Curino rientravano nei domini dei Pietro Luca Fieschi [AST, Corte, Paesi, Masserano, Mazzo 2]. Il feudo rimase diviso sino al 1577, nonostante i tentativi dei Ferrero Fieschi di riprendere l’intero feudo. Ottennero per il momento il titolo marchionale (bolla di Paolo III del 5 agosto 1547). Il marchese Filiberto Ferrero Fieschi accusò il rivale Pietro Luca II di aver mancato l’annuale tributo alla Santa Sede, di aver coniato moneta falsa, ecc. Tanto che alla fine il tribunale della Santa Sede decise per il decadimento di Pietro Luca. La condanna fu ratificata il 27 gennaio 1548. Avviato il ricorso, Pietro Luca Fieschi scelse la politica del “tanto peggio tanto meglio”; vendette il feudo di Crevacuore a Emanuele Filiberto di Savoia al prezzo di 18.000 scudi d’oro [Barale 2003, p. 41]. Alla morte del Fieschi, avvenuta nel 1561, il feudo passò così nelle mani del duca di Savoia. Il feudo fu ceduto il 20 gennaio 1570 a Filippo d’Este. In realtà la situazione giuridica era più complessa: il feudo rimaneva sempre della Santa Sede. Il duca d’Este era solo il rappresentante del duca di Savoia e come tale prestò il giuramento di fedeltà e sudditanza alla Santa Sede e ricevette, come procuratore del duca, il giuramento di fedeltà da parte dei sudditi del feudo. Il marchese Besso Ferrero Fieschi nel 1575 fece riesaminare gli atti e le conclusioni dei processi intentati contro Pietro Luca Fieschi dai tribunali ecclesiastici di Roma e alla fine riuscì a dimostrare, anche al duca di Savoia stesso, l’invalidità della vendita del feudo in quanto il Fieschi aveva ceduto un bene che non gli apparteneva più in quanto sottrattogli dalla sentenza del tribunale apostolico. Il duca di Savoia, interessato a portare avanti una politica di riconciliazione con la Santa Sede – in vista di una eventuale azione contro gli “eretici” calvinisti di Ginevra – preferì scendere a patti con Besso Ferrero Fieschi: cedette al marchese il feudo il quale a sua volta avrebbe lasciato ad Emanuele Filiberto i diritti di giuspatronato sull’abbazia di Fruttuaria, in patronato laicale ai Ferrero Fieschi dal 1477. Il marchese d’Este ebbe al posto di Crevacuore il marchesato di Lanzo. Ottenuta licenza della Santa Sede per questo cambio, Emanuele Filiberto nominò il 2 settembre 1576 suoi procuratori speciali il conte d’Ozasco e il conte di Leinì i quali, il 18 settembre 1576, consegnarono ufficialmente Crevacuore e il suo feudo a Besso Ferrero Fieschi. Il papa Gregorio XIII, con breve del 20 ottobre 1576, ringraziò Emanuele Filiberto del suo operato [AST, Corte, Paesi, Masserano, Mazzo 5]. Il feudo pontificio fu riunito, anche se Masserano era rimasto marchesato e Crevacuore contea. Il figlio di Besso, Francesco Filiberto, divenne con bolla del 13 agosto 1598 principe di Masserano e marchese di Crevacuore. Le guerre del XVII secolo e le politiche locali dei Ferrero Fieschi portarono ad una crescente disaffezione nei confronti dei signori di Masserano e Crevacuore, i quali cercarono in varie occasioni (1665) di cedere il feudo ai Savoia. Liti e contestazioni sempre più violente e manifeste nei confronti dei Ferrero Fieschi aumentarono al punto che la Santa Sede, con bolla del 3 gennaio 1741, affidò a Carlo Emanuele III, re di Sardegna, l’amministrazione del feudo. In quel momento al re era affidata di fatto solo l’amministrazione, anche se il 13 febbraio 1742 i rappresentati delle varie comunità e il sindaco generale della valle di Crevacuore, «col capo scoperto hanno giurato a Dio Onnipotente, toccati li Santi Evangeli [...] di voler essere veri, boni, ligi e fedeli sudditi della S.M. e de’ suoi Reali Successori» [AC Masserano, Mazzo 30]. Lo stesso giorno il re stabiliva che il Senato e la Camera dei Conti del Piemonte esercitassero sulle terre di Curino la piena giurisdizione. Ma solo il 13 luglio 1753 il papa Benedetto XIV ufficialmente passò a Carlo Emanuele III il diretto dominio del feudo. Il principe Vittorio Filippo Ferrero Fieschi, vedendosi estromesso dal feudo, tentò di riacquistare le antiche prerogative ma senza successo e a sua volta vendette i suoi diritti al re di Sardegna per la somma di 400.000 lire, somma incassata nel 1767.
Mutamenti di distrettuazione
Il territorio di Crevacuore, parte del feudo di Masserano, dal 1554 al 1576 fece parte del ducato di Savoia (contea di Crevacuore). In quell’anno ritornò ad essere feudo pontificio retto dai Ferrero Fieschi (contea e poi dal 1598 marchesato di Crevacuore). Nel 1742 divenne de facto parte integrante del regno di Sardegna, unione completata in due passaggi nel 1753 e nel 1767. Decaduta la monarchia sabauda nel dicembre del 1798 e proclamata la Repubblica Piemontese, il territorio fu riorganizzato il 2 aprile 1799 dal commissario Joseph M. Musset con la formazione di 4 dipartimenti denominati Eridano, Dora, Tanaro e Sesia; in quest’ultimo era collocato il territorio di Crevacuore. Il 2 aprile 1801 la Repubblica Subalpina fu divisa in 6 dipartimenti: Po, Marengo, Tanaro, Sesia, Stura, Dora, a loro volta suddivisi in circondari. Crevacuore venne a trovarsi parte del dipartimento della Sesia: tale maglia amministrativa preannunciava l’annessione alla Francia, ufficializzata l’11 settembre 1802. Anche in seguito alla riorganizzazione del territorio piemontese fu riorganizzato con il decreto imperiale del 17 prativo anno XIII (6 giugno 1805), il territorio di Crevacuore, rimase nel dipartimento della Sesia, arrondissement di Vercelli, cantone di Crevacuore (comuni di Crevacuore, Postua, Guardabosone, Curino, Coggiola, Flecchia e Serravalle Sesia) [Annuaire administratif du département de la Sésia 1811, pp. 64-66]. La provvisoria sistemazione territoriale del Regno di Sardegna del 1814 fu realizzata con l'editto di Vittorio Emanuele I del 7 ottobre 1814, poi rivisto con l'editto del 27 ottobre 1815 susseguente all'incorporazione della Liguria, mentre la riorganizzazione amministrativa definitiva fu sancita il 10 novembre 1818, quando venne stabilmente adottato un modello di compartimentazione basato su quello dell'impero napoleonico e organizzato, sempre, su quattro livelli amministrativi: la Divisione corrispondente al dipartimento francese e amministrata da un governatore, la Provincia corrispondente all'Arrondissement, il Mandamento corrispondente al cantone, ed il Comune. Crevacuore divenne così parte della divisione di Novara, provincia di Vercelli, mandamento di Crevacuore con i comuni di Crevacuore, Ajloche, Bornate, Caprile, Flecchia, Guardabosone, Pianceri, Piane, Postua, Serravalle Sesia, Sostegno e Vintebbio [Circoscrizione Degli Stati di S. M. in Terraferma Colla designazione Delle Rispettive Autorità Ecclesiastiche, Giuridiche, Civili, Economiche, ed Amministrative. Col confronto della Attuale Popolazione Con Quella Del 1700, 1723, e 1750 ed Elenco alfabetico relativo delle Comuni, Torino 1820, p. 107]. A seguito del decreto Rattazzi del 13 ottobre 1859 il comune di Crevacuore venne a far parte del Circondario di Vercelli, nella Provincia di Novara. Nel 1927 il comune divenne parte della nuova provincia di Vercelli [R.D.L. 2 gennaio 1927, n. 1 “Riordinamento delle circoscrizioni provinciali” G.U. 11 gennaio 1927, n. 7]. Dal 1992 il comune è parte della provincia di Biella [D.LGS. N. 248 del 06/03/1992 pubblicato sulla G.U. n. 77 del 01/04/1992].
Mutamenti Territoriali
A partire dal 1738 il principe Vittorio Amedeo Ferrero Fieschi decretò l’estensione dell’autonomia comunale a Postua, Guardabosone, Ailoche e Caprile, che istituirono consigli autonomi dotati di potere decisionale sulle materie di competenza locale. In seguito alla riorganizzazione territoriale della Repubblica Subalpina del 2 aprile 1801, Ailoche, Caprile e Pianceri furono riuniti a Crevacuore. Dopo il 1814 i comuni coinvolti furono nuovamente scorporati e ripristinati.
Comunanze
Con l’atto del 1 maggio 1318 il vescovo di Vercelli dichiarava di investire gli uomini e i particolari di Crevacuore e sua valle dei beni fra di loro assortati, i quali si trovassero nei limiti del medesimo atto designati facendo loro facoltà di disporne anche per via di successione, e dichiarava inoltre di investire i sindaci di Crevacuore dei cantoni della valle (Crevacuore, Guardabosone, Ailoche, Pianceri, Postua e Caprile) a nome delle loro comunità e uomini ed abitanti «de omnibus Communitatibus et cantonibus, pascuis, zerbis et nemoribus, et alpibus non assortatis et non divisis eos, et coherentiatis in locis supradictis, ita ut terras et Communitates, communia, alpes, nemora et pascua indivisa, et non assortata, tam in plano, quam in montibus, locis superius cohaerentiatis communiter ad communem usum, et utilitatem habeant, teneant, et possideant, utantur, fruantur, pascantur cum eorum bestiis et de ipsis faciant quid facere voluerint in his quae pertinent ad communem usum et utilitatem communis et hominum praedictorum locorum». In epoca moderna la gestione dei beni ad communem usum doveva essere regolata da un “Consorzio del Marchesato di Crevacuore”, poi “Consorzio dell’ex Marchesato di Crevacuore”, che nel corso del XVIII secolo venne a sostituire per molte mansioni il Generalissimo della valle [ASC Crevacuore, Vol. I, Comparsa Conclusionale nella causa del Consorzio dell’ex-marchesato di Crevacuore, 1868]. I beni comuni vennero così suddivisi tra le varie comunità. Il Catasto del 1803, aggiornato all’agosto 1884, segnala la presenza di terreni di proprietà della “comunità di Crevacuore”, per un totale di 15 are di terreno [ASC Crevacuore, Libro Ripertorio Nuovo del Comune di Crevacuore, 1803].
Liti Territoriali
La gestione dei beni ad communem usum che doveva essere regolata da un “Consorzio del Marchesato di Crevacuore”, provocò liti documentate dal XVI al XVIII secolo, quando i beni comuni furono spartiti dalle comunità. Nel contempo le comunità del vicino ducato di Savoia, sopratutto Pray e altri centri dell’alta Valsessera, approfittavano impunemente dei beni delle comunità del marchesato di Crevacuore, e viceversa. Nel 1564 gli abitanti di Crevacuore avevano effettuato un sequestro “di ritorsione” nei confronti di bovini e greggi nel territorio di Flecchia, i cui abitanti erano colpevoli, stando alla versione presentata dai sudditi del marchesato, di aver fatto pascolare le bestie, tagliato fieno ed alberi, nel territorio marchionale. Nel febbraio 1637 fu aperta una lite tra Crevacuore e Flecchia per la gestione dei pascoli e del “boscheggiamento”. Nel luglio del 1646 il confine con Flecchia provocava un altro conflitto tra le due comunità per la gestione dei pascoli montani. Problemi e contrasti che si ripresentarono ancora nel 1718 in forme più o meno analoghe [ASC Crevacuore, Vol. XVIII, Verbali di Controversie Territoriali tra Crevacuore et le Communità Confinanti dal 9-8-1562 al 28.5.1710]. Nel 1681, su mandato di Marco Antonio Castello, «Pretore e Giudice de’ Malefici della Valsesia», fu compiuta una ricognizione dei confini tra la Valsesia e il marchesato di Crevacuore. La ricognizione fece emergere una serie di numerosi e gravi abusi: i cippi di confine piantati in occasione della delimitazione confinaria del 1641 erano stati spostati, sostituiti, oppure scomparsi. Le comunità della valle di Crevacuore avevano persino ostruito e deviato i canali di irrigazione per i pascoli valsesiani, il fieno veniva sistematicamente falciato ed asportato, alcuni boschi abbattuti per realizzare carbone vegetale [AS Varallo, Borgosesia, Mazzo 83]. La controversia più acuta e violenta si ebbe però tra comunità dello stesso marchesato. Nel 1736 il tribunale della valle di Crevacuore condannò gli abitanti di Postua per aver tagliato alcuni boschi comunitari, benché le piante fossero state tagliate per fornire legna alle fornaci incaricate di produrre i mattoni necessari al cantiere della nuova parrocchia [Bruno 2001, pp. 77-78]. La multa era però solo un pretesto: la comunità di Postua, come quelle di Guardabosone, Caprile ed Ailoche, aspirava ad una maggiore autonomia amministrativa nella gestione degli affari interni. La popolazione postuese “invase” il centro abitato di Crevacuore e pretese la consegna dei catasti e di parte dell’archivio della Comunità. I documenti furono trafugati e solo poco dopo riconsegnati, mutili e in parte scomparsi [Rosso 1968, p. 32].
Fonti
ACVV, Archivio della Curia Vescovile di Vercelli
ASC Crevacuore, Archivio Storico del comune di Crevacuore
AP Crevacuore, Archivio parrocchiale di Crevacuore
AST, Archivio di Stato, Torino
AS Varallo, Archivio di Stato di Varallo
 
Nota. L’Archivio Storico del comune di Crevacuore, conservato in un armadio nella sala consigliare del municipio, altro non è che una raccolta dei documenti più antichi parzialmente inventariata. Si tratta ad ogni modo di una frazione del complesso archivistico dei fondi comunali. La ricognizione effettuata nel maggio del 2014 ha permesso di rintracciare l’archivio nella sua globalità che risulta così distribuito:
Sala consigliare: documenti della comunità di Crevacuore, liti di confine, liti con i feudatari, catasti e raccolta di grida e leggi.
Sotterranei del Municipio: registri dei catasti (da inventariare) della seconda metà del XIX secolo, documenti amministrativi da inventariare (secoli XVIII-XX).
Sotterranei Scuola Materna: qui è conservata la sezione principale dell’archivio, tra cui gli Ordinati, le delibere del comune e degli organi statutari dal XVI al XX secolo.
Bibliografia
Documenti a stampa:
Acta Reginae Montis Oropae, 2 voll., Biella 1945-1948.
Annuaire administratif du département de la Sésia. Avec une notice statistique sur le Villes de Verceli, Bielle et Santhia, suivie d’une Mémorie sur la Constitution Atmosphérique du méme Département pendant l’année 1810, et sur divers objects d’Économie rurale, pour l’An 1811,  Vercelli 1811.
Biscioni, I: Biscioni (I), a cura di G.C. Faccio, M. Ranno, Torino 1934, 1939, [BSSS 145, 146].
Circoscrizione Degli Stati di S. M. in Terraferma Colla designazione Delle Rispettive Autorità Ecclesiastiche, Giuridiche, Civili, Economiche, ed Amministrative. Col confronto della Attuale Popolazione Con Quella Del 1700, 1723, e 1750 ed Elenco alfabetico relativo delle Comuni, Torino 1820.
MGH: Monumenta Germaniae Historica, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, tomus I; tomus X, pars parte I.
 
Studi:
Barale 2003: Vittorino Barale, Curino. Pagine di storia e di vita di un piccolo paese tra le Rive Rosse, Curino 2003.
Barale 1987: Vittorino Barale, Il principato di Masserano e il marchesato di Crevacuore, Biella 1987.
Bruno 2001: Sara Bruno, Crevacuore. Antico marchesato e borgo di confine, Biella 2001.
Capuano 2008: Laura Capuano, Per il re o per il duca. Masserano e Crevacuore tra Cinque e Seicento, Biella 2008.
De Rosa 2000: Riccardo De Rosa, Gli statuti dei feudi di Masserano e Crevacuore all'epoca dei Ferrero Fieschi: sec. (16.-17.), in «Archivi e storia: rivista semestrale dell'Archivio di Stato di Vercelli e delle sezioni di Biella e Varallo», nn. 15-16 (2000), pp. 73-102.
Fontana 1907: Leone Fontana, Bibliografia degli Statuti dei Comuni dell’Italia Superiore, 3 voll., Torino 1907.
Manaresi 1944: Cesare Manaresi, Alle origini del potere dei vescovi sul territorio esterno delle città, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», n. 58, 1944.
Orsenigo 1909: Riccardo Orsenigo Vercelli Sacra, Como 1909.
Panero 1979: Francesco Panero, Due borghi franchi padani. Popolamento ed assetto urbanistico e territoriale di Trino e Tricerro nel secolo XIII, Vercelli 1979.
Pipino 2010: Giuseppe Pipino, Documenti minerari degli Stati sabaudi, Ovada 2010.
Rosso 1968: Sandro Maria Rosso, Postua. Storia e anima di un paese, Biella 1968.
Descrizione Comune
CREVACUORE
Le prime comunità di Crevacuore erano organizzate come un insediamento sparso. Per quel che riguarda le epoche più antiche risulta problematico ricostruire il funzionamento della comunità e le competenze dei singoli organi amministrativi. Sappiamo di una “comunità di valle” esistente ed organizzata ben prima dell’installazione di un feudo legato ai Fieschi. Nel 1238 il vescovo di Vercelli Uberto investiva i sindaci delle comunità valligiane, primo nucleo costitutivo della universitas; l’autonomia e il potere decisionale dei rappresentanti locali risultavano già molto ampi nel 1377, quando i Valsesiani e la comunità della valle di Crevacuore stipularono il cosiddetto “Trattato di Montrigone”, stabilendo una tregua triennale e alcuni patti di buona vicinanza. La collocazione della prima chiesa parrocchiale, l’oratorio della Madonna della Serra che si trova sulla strada per Postua, sembra essere collocata sul territorio in maniera ottimale per servire da punto di cerniera e di incontro per le popolazioni di Crevacuore, Azoglio, Postua, Guardabosone, Caprile, Giunchio, Ailoche e Caprile. Non è da escludere che l’edificio sia stato collocato sulle rovine di una struttura di epoca romana; la zona era già nota in epoca classica per le attività minerarie. L’antica parrocchiale era al centro di questo paese “cantonale”, ma la sua presenza da sola non è riuscita a catalizzare l’interesse delle comunità locali e a funzionare da elemento di aggregazione edilizia. Al contrario la zona pianeggiante protetta dal Sessera dai colli del castello, Damonte e Monte Orfano diventava l’area privilegiata per accogliere la sede di una nuova parrocchia, di una maggiore densità edilizia e, da ultimo, per funzionare da centro di rappresentanza e potere. Il primo nucleo di Crevacuore, di forma radiocentrica, risultava composto dalla collina del castello stesso, la piazza intorno la chiesa destinata a diventare la nuova parrocchiale, ancora oggi orientata.
Non solo l’aspetto morfologico del territorio, ma anche quello economico ha rafforzato la posizione del borgo Crevacuore. Il borgo diventa centro di raccolta delle attività estrattive della zona, principalmente miniere di ferro e argento. Il 17 aprile 1349 il vescovo Giovanni Fiesco investiva i signori di Crevacuore del contado ma, soprattutto, ferrariis et argenteriis. Lo stesso avveniva per le attività estrattive di Postua. Si spiega così anche la presenza di un borgo murato – al cui interno era installata anche una zecca per la lavorazione e monetazione dell’argento - e di un castello; struttura di valore bellico tutto sommato scarso, ma sicura cassaforte in pietra per i metalli estratti. Il borgo risulta espandersi lungo le principali vie di transito, ad ovest lungo la strada per la Valsessera, dove vengono aperte nuove piazze, e a nord verso i cantoni e centri minerari di Guardabosone e Postua. Lo sviluppo di Crevacuore è dunque strettamente legato allo sfruttamento delle miniere aperte nei monti vicini, e diventa un luogo di raccolta dei metalli estratti. Il 14 agosto 1543 Luca Fieschi ed alcuni imprenditori lombardi costituiscono varie società destinate a sfruttare le miniere di Crevacuore e Postua. L’idea che il borgo debba essere qualcosa di simile ad un centro a tutti gli effetti del “distretto minerario” del basso corso del Sessera viene messa in atto anche dal duca di Savoia Emanuele Filiberto il quale, ricevuto il feudo di Crevacuore, l’11 febbraio 1561 emanava, in quanto feudatario di Crevacuore, un bando pubblico per l’affitto delle ferriere e delle miniere di ferro presenti sul territorio della comunità; le grida furono reiterate il 12 maggio dello stesso anno. Besso Ferrero Fieschi, rientrato in possesso di Crevacuore, denunciava nel settembre del 1576 il fatto che queste miniere fossero un bene feudale separato e quindi dovessero essere restituite. I Savoia continuarono a mantenere il possesso delle miniere che continuarono a sfruttare: nel 1578 il papa Sisto V ratificava la natura feudale delle miniere di Postua e Crevacuore. Il 15 novembre 1579 il duca di Savoia, preso atto della bolla del pontefice, accettava il fatto che le miniere fossero feudali; ma gli edifici e le infrastrutture per il loro sfruttamento erano allodiali e spettavano al marchese d’Este. Potevano ad ogni modo essere riscattati al prezzo di 1.800 scudi d’oro. Le miniere erano un bene strategico che andava sfruttato e difeso; nel 1635 a Crevacuore le miniere di ferro erano in piena attività estrattiva e si producevano quasi tutte le palle d’artiglieria necessarie all’esercito del duca di Savoia. Nel 1650 era estratto non solo il ferro per i campi di battaglia, ma erano in attività miniere d’oro, d’argento e di piombo. Di qui la permanenza, caso pressoché unico in tutta la zona del biellese ad esclusione di Biella stessa, di una guarnigione di un fortilizio presidiato e la creazione di un unico grande centro di aggregazione. Persino il campanile stesso della parrocchia venne realizzato se non come un vero e proprio fortilizio almeno come elemento aggiunto alla difesa, non a caso collegato nel punto di cerniera tra il borgo e la collina del castello e nei pressi del ponte sul torrente Bodro. La presenza di queste difese nella prima metà del XVII divenne un problema, non tanto per il contenimento dello sviluppo edilizio del borgo – i nuovi quartieri di San Sebastiano e San Rocco furono comunque costruiti appena fuori le mura – quanto per la capacità di attirare nella zona armate francesi, sabaude e spagnole desiderose di controllare manu militari la strategica zona minerarie di Crevacuore-Postua. Fu questa una delle ragioni per il centro fu smilitarizzato con demolizioni mirate al castello prima di tutto e poi alle mura. A beneficiarne fu il sistema viario: nel 1670 veniva completato il ponte sul Sessera ad Azoglio in luogo del guado e del traballante ponte in legno, assicurando il collegamento stradale con Masserano e l’area meridionale del feudo. Il ponte, più del castello, era il vero simbolo dell’importanza di Crevacuore come centro della contea stessa. Qui aveva sede il Consiglio del Generale, un’assemblea che aveva competenze anche sul territorio di Postua, Guardabosone, Caprile e Ailoche, che esprimevano i propri consoli in seno al consiglio stesso. Ben più ampie le competenze del Consiglio della Valle di Crevacuore o Generalissimo, che aveva competenze in materia di viabilità, opere pubbliche, tasse, gestione dei pascoli e delle mandrie. Al Generalissimo partecipavano non solo le comunità legate a Crevacuore ma esso estendeva la propria giurisdizione anche su Curino, Flecchia e Pianceri. Il consiglio valligiano, presieduto dal sindaco valligiano, era costituito da tre consiglieri di Crevacuore e da un consigliere per ognuno degli altri consolati e delle undici parrocchie. Al Generalissimo spettava l’elezione di un proprio segretario, detto anche agente in Roma, che fungeva da rappresentante degli interessi della comunità presso il papa e nominava mastri di strada, campari, esattori e tesorieri alle dipendenze della comunità. Dal 1660 era in vigore il sistema di designazione del sindaco e dei consoli “a ruota”, ossia a turno tra i membri del Generalissimo. Venuto a scemare il potere del feudatario, complice anche la fine di Crevacuore come feudo di confine e il suo divenire di “isola” amministrativa entro i territori del regno di Sardegna, anche l’organizzazione della comunità così come era stata impostata nel XVI viene a frantumarsi: la calata degli abitanti di Postua in armi nel 1736 che estraggono dall’archivio di Crevacuore gli atti catastali sancisce l’inizio della fine di questa architettura amministrativa.