Autori | Tron, Daniele |
Anno Compilazione | 1996 |
Provincia | Torino.
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Area storica | Pinerolese.
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Abitanti | 350 (ISTAT 1991).
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Estensione | 7.252 ha (ISTAT 1991); 7.147 ha (SITA 1991).
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Confini | A nord Salza di Pinerolo, a est Perrero, a sud-est Villar Pellice, a sud Bobbio Pellice e Abriès (F), a ovest Sauze di Cesana e Pragelato.
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Frazioni | Tre centri: Ghigo (sede del municipio), Rodoretto (ex comune), Villa, e 6 nuclei. Vedi mappa.
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Toponimo storico | 1252 «Wuilelmus galvagnus de pralis» (Patrucco 1899, doc. I, p. 246); 1367: «villa Prealium»; 1462: «ecclesia parrochiali S.ti Joannis de Pralibus» (e non «Pratilia» come vuole Casalis); 1476: villa «Pralium», «Pral»; «Praly» fino al 1937. Per l’ex comune di Rodoretto, 1476: «in presentia nobilis Obetti Condomini villagii Rodereti dicte vallis» (Patrucco 1899, p. 242).
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Diocesi | Pinerolo (prima del 1748, anno di creazione della nuova diocesi pinerolese: Torino). Va però sottolineato che, per un lungo periodo, l’effettiva influenza della diocesi di Torino fu marginale, in quanto alla fine del sec. XI, l’intera valle della Germanasca era stata sottomessa alla giurisdizione dell’abbazia di S. Maria del Verano, presso Pinerolo (Carutti 1893, p. 67).
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Pieve | Prima del 1688, sull’intera val Germanasca – o meglio, val S. Martino, come anticamente e, in parte, tuttora viene denominata – si estendeva un’unica parrocchia cattolica, con sede a Perrero. In quell’anno, su istanza dei Savoia, essa veniva smembrata, e ne nascevano altre sei, che si sarebbero poi mantenute fino ai nostri giorni: Prali (con vicaria a Ghigo), Rodoretto, Chiabrano-Maniglia, Massello (con la vicaria di Salza), S. Martino (con Bovile e Traverse), Trossieri (ossia Faetto, con vicaria a Riclaretto), oltre naturalmente alla parrocchia di S. Maria di Perrero, al cui prevosto veniva ancora riconosciuta una certa preminenza sull’intera valle, e al quale si dovevano continuare a pagare le decime (Caffaro 1903, pp. 33-42). A Prali la parrocchiale era situata nella borgata di Villa, sotto il titolo di S. Giacomo; la vicaria a Ghigo, intitolata a S. Giovanni Battista, entrambe di nomina regia, ma a entrambe facevano riferimento pochissime persone: nel 1759 i Cattolici erano solo 22 (mentre i Protestanti circa 650), i primi erano scesi a 14 nel 1853 (i Valdesi erano invece saliti a 887). A Rodoretto, invece, la consistenza demografica era maggiore: nel 1777 i Cattolici erano 80 (179 i Valdesi); nel 1853 risultano 96 Cattolici e 299 Valdesi (Caffaro 1893, pp. 649 e 661). Attualmente due parrocchie sono comprese nei confini del comune di Prali: quella di Prali con chiesa parrocchiale a Ghigo, sotto il titolo di S. Giovanni Battista, e quella di Rodoretto con chiesa sotto il titolo di S. Lorenzo.
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Altre Presenze Ecclesiastiche | In val Germanasca, sul medesimo territorio che – a partire dagli ultimi anni del sec. XVII – abbiamo visto comprendere 7 parrocchie cattoliche, erano distribuiti nello stesso periodo anche 5 templi valdesi (sorti dagli anni Sessanta del Cinquecento). A essi faceva riferimento la maggioranza della popolazione della valle. Ma solo tre organizzazioni ecclesiastico-comunitarie (la definizione di “parrocchie” sarebbe impropria, in quanto estranea alla terminologia protestante, che parla sempre di «églises»), con un ministro di culto o pastore a capo di ciascuna, si suddividevano la cura delle anime valdesi, e utilizzavano questi 5 edifici: la Chiesa di Villasecca (la principale della valle, comprendente i territori delle comunità di Faetto, Riclaretto, S. Martino, Bovile e Traverse), quella di Maniglia e Massello (con un tempio in ciascuna di queste due comunità, cui facevano anche riferimento rispettivamente Chiabrano e Salza), e la chiesa di Prali (con tempio anche a Rodoretto) (Jalla 1931, pp. 44-64). A Rodoretto la visita pastorale del 1835 segnala la presenza della compagnia del Sacramento (Caffaro 1903, p. 48).
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Assetto Insediativo | Trinceramenti. Vedi mappa.
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Luoghi Scomparsi | Non esiste attestazione di luoghi scomparsi.
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Comunità, origine, funzionamento | L’origine di tutte le comunità della valle di S. Martino deve essere cercata nel secolo XIV (se non prima ancora), ma non è noto con precisione quali privilegi e franchigie i principi di Acaja abbiano concesso. Quantunque effettivamente le borgate della valle fossero già molte nel 1300, è assai probabile che le comunità non fossero che undici, a ciascuna delle quali corrispondeva una delle dodici parti del castello di Perrero (che non poteva rappresentare una comunità), mentre, quelle crescendo e facendo vita a sé, non mancavano mai di prestare omaggio ai principi d’Acaja, come ad esempio l’omaggio del 9 ottobre 1363 (Patrucco 1899, p. 232), o quello attestato dal documento pergamenaceo conservato nell’Archivio di Stato di Torino, datato 11 marzo 1408 (AST, Corte, Provincia di Pinerolo, m. 13, f. 1, n. 3: Procura della comunità di S. Martino per prestare il giuramento di fedeltà a Ludovico di Savoia principe d’Achaia, e domandargli la confermazione dei suoi privilegi e franchigie). Probabilmente le comunità erano già allora federate in un unico organismo di valle (come lo saranno nei secoli XVII- XVIII). Lo starebbero a indicare sia il fatto che nei documenti si parla sempre, per la val S. Martino, di «comunità» al singolare, sia le modalità adottate per la scelta dei rappresentanti agli Stati generali di Rivoli nel 1476, ai quali partecipano, per la valle, due delegati, nominati da 14 consiglieri e credendari di valle (Patrucco 1899, p. 242). Ma si deve giungere agli affrancamenti del sec. XVI per vedere le comunità della zona liberarsi, almeno parzialmente, dal peso dei numerosi diritti signorili: con questi «affranchimenti» le «communitates hominum» – in genere al termine di lunghe o lunghissime trattative –, convocatesi in presenza di un notaio, sancivano con i loro signori la liberazione da determinate servitù, pedaggi, gravami, diritti, ecc. mediante un compenso in denaro: esso veniva liquidato generalmente con una somma una tantum, e con l’erogazione annuale perpetua di un censo in denaro, e talvolta in natura (ad esempio grano, quando si trattasse di mulini). Gli affrancamenti non erano generali, non riguardavano, cioè, tutte le servitù e gli obblighi, ma solamente quelli in oggetto della specifica transazione: e poiché spesso i diritti signorili da cui ci si voleva emancipare interessavano più signori o più soggetti, ognuno con una propria quota percentuale, era necessario iterare più volte l’atto con i relativi pagamenti. Le comunità della nostra valle riuscirono ad affrancarsi dai gravami verso l’abbazia di S. Maria di Pinerolo solo all’inizio del secolo XVII: risale al 20 giugno 1605, infatti, la transazione fra la valle nel suo complesso e l’abbazia (Caffaro 1893, p. 258).
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Statuti | Il documento pergamenaceo conservato in Archivio di Stato di Torino, datato 11 marzo 1408, ci informa che, a quell’epoca, dovevano già esistere (AST, Corte, Provincia di Pinerolo, m. 13, f. 1, n. 3: Procura della comunità di S. Martino per prestare il giuramento di fedeltà a Ludovico di Savoia principe d’Achaia, e domandargli la confermazione dei suoi privilegi e franchigie). Altra traccia che attesta la presenza di statuti ci è data dal fatto che i comuni e gli uomini della Valle di S. Martino nel 1611 chiedevano – e il 3 gennaio 1612 ottenevano dal duca Carlo Emanuele I di Savoia – la conferma «di tutti loro privilegi, franchiste, libertà, immunità, consuetudini, usanze, capitoli, conversioni e statuti». Questa conferma, stampata nel 1679 in Torino «per Giò Sinibaido Stampatore di S.A.R. e dell’Illustrissima et Eccellentissima Camera» venne ristampata nel 1711, sempre in Torino, «per Giò Battista Valetta, Stampatore di S.A.R.».
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Catasti | Esiste un Libro consignamento beni attribuibile al 1634 (AC Prali, mazzo non numerato); invece è datata al 1701 la Misura generalle di tutto il territorio e finaggio del luogo di Pralli (AC Prali). Altra copia in Archivio di Stati di Torino (AST, Sez. Riun., Finanze, Catasto antico, Libri delle misure e degli estimi delle Provincie del Piemonte eseguite fra il 1702 [ma per le Valli 1701] e 1730, Comunità della valle di S. Martino, Allegato I, m. 7: Circondario di Pinerolo, Mandamento di Perrero). Nell’archivio comunale esiste infine un Cattastro del 1791, con relativo libro di mappa, la cui copia è conservata anche nell’Archivio di Stato di Torino (AST, Camera dei Conti, Finanze, Catasti, Catasto Antico [1792], Allegato D, v. 115; Alleg. C, rotolo 196). Inoltre esiste quivi la documentazione completa del catasto Rabbini, risalente al 1863-64.
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Ordinati | La serie documentaria è attualmente presente nell’archivio comunale di Prali a partire dal 1778 per Prali, e dal 1816 per Rodoretto.
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Dipendenze nel Medioevo | Comitato di Torino fino al sec. XI, abbazia benedettina di Santa Maria di Pinerolo (dal 1064), conti di Savoia (dal 1275), Principato di Acaia (1295-1418) e poi Ducato di Savoia (Patrucco 1899, pp. 212-245).
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Feudo | Abbazia benedettina di Santa Maria di Pinerolo a partire dal 1064, anno in cui fu fondata e dotata di tutta la val San Martino (Il gruppo dei diplomi Adelaidini, pp. 323-332). Durante i secoli XII-XIV, i signori di San Martino, i quali fino al 1275 tennero sempre la valle in feudo ereditario «cum mero et mixto imperio» dall’abbazia stessa (Patrucco 1899, p. 219). Dal 1299 i signori di S. Martino furono però costretti ad accettare la presenza di castellani nominati dai Principi d’Acaja (Patrucco 1899, p. 229). Nel 1317 Guglielmo dei signori di S. Martino vende buona parte della valle a Filippo d’Acaja. In questo modo i signori di S. Martino diventavano consignori dei principi d’Acaja. Le regioni acquistate erano: Perrero (una parte), Prali, Salza, Balsiglia, Massello, Maniglia, Prato Rando (= Chiabrano), Traverse, Rivoira, Fontane e Villasecca, a solatìo, Arborea, Comba Garino, Rivo Clareto, Reinaldi e Faetto, all’inverso. Rimanevano ai S. Martino solo una parte del castello di Perrero, S. Martino e Bovile. Troveremo buona parte di queste regioni costituite più tardi in comunità. I principi d’Acaja cominciarono ben presto a concedere l’investitura di feudi ad altre famiglie: troviamo degli Artaudo, dei Cazarati, dei Grandi, dei Lazaro, dei Refforno e dei Piovana (che erano stati in precedenza dei facoltosi castellani per conto degli Acaja), ma anche dei S. Martino che si ricomprarono una parte dei feudi ceduti in precedenza, come ad esempio Prali nel 1367 (Patrucco 1899, p. 232). Ma proprio all’inizio del secolo XV incomincia nella valle di S. Martino una nuova signoria importante, quella dei Truchietti. A un Michele Truchietto era ricorso il principe d’Acaja per un forte prestito, per estinguere il quale vennero venduti, il 5 ottobre 1400, ai figli Antonio e Aimone Truchietti, eredi del primo, parecchi feudi della valle, ancora accresciuti nel 1402 dall’acquisto, fatto dai medesimi fratelli, di altri diritti in possesso dei Buschetti di Chieri. A quella data i Truchietti sono detentori dei feudi di: Albarea, Comba Garino, Rivo Clareto, Reinaldi, Faetto (con castello diroccato), Perrero (con altro castello diroccato), Maniglia, Salza, Balsiglia, Massello, Fontane, Traverse e Villasecca (Patrucco 1899, pp. 234-35). Con la «costituzione di Castellano della Valle di S. Martino fatta dalla principessa Bona vedova di Ludovico di Savoia a favore di Antonio Trucchetti di Pinerolo, consignore di detta Valle» del 18 maggio 1419 (AST, Corte, Provincia di Pinerolo, m. 13, f. 1, n. 5), la famiglia aumenta ancora il suo potere, non scalzato dal contrasto che l’opponeva all’ultima principessa di Acaja: in data 22 aprile 1428 troviamo infatti una «sentenza del conte Amedeo di Savoia nella causa tra Bona di Savoia e i fratelli Truchetti, per la quale questi ultimi vennero reintegrati nel castello della Valle di S. Martino, parte del Perrero ed altre borgate della Valle» (AST, Corte, Provincia di Pinerolo, m. 13, f. 1, n. 6, pergamena quasi illeggibile). Sempre nell’Archivio di Stato di Torino (AST, Corte, Provincia di Pinerolo, m. 13, f. 1, n. 10) troviamo una ricognizione del 19 febbraio 1484 fatta dagli altri consignori della valle, i San Martino, in cui riconoscono di tenere in feudo la loro parte del castello della valle, villaggi e borgate di «Combaprali, Lausabruna, Gardiola, Crosetto, Bezetto, Audrito, Maniglia, S. Mattino, Bovile e Comba Crosa». Alla fine del secolo XV la valle era divisa dunque tra le signorie dei Truchietti, dei S. Marttino e degli Artaudi (Patrucco 1899, p. 245). Da allora la caratteristica della valle di essere assegnata in feudo ad un consortile di signori sarà una costante, pur mutando le famiglie titolari: per il Cinquecento, lo conferma un documento del 1517: «Atti del Procuratore fiscale contro Tomaso Truchetto e suoi consorti per la riunione della porzione di giurisdizione e beni feudali da essi posseduti in detta Valle S. Martino a causa della lesione seguita nell’alienazione fattagliene dal Regio Patrimonio» (AST, Corte, Provincia di Pinerolo, m. 13, f. 1, n. 13). Per il secolo XVII, sappiamo che Prali, dal 1660 – insieme a Massello, Salza Maniglia e Traverse –, era infeudato alla famiglia Vibò, residente a Torino (Manno 1895, p. 258), come anche nel secolo successivo (AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, capo 79, m. 12, Statistica Generale [1753], fasc. 12: prov. di Pinerolo) e fino almeno all’ultima investitura attestata, quella del conte Gaspare Vibò «di Prali», del 7 dicembre 1776 (Manno 1895, p. 258). Per Rodoretto, invece, la situazione era più complessa: «la metà di questo feudo spetta a Sua Maestà, e per l’altra metà alle Signore Contesse Margarita di S.ta Vittoria Ressan, Teresa di Casalgrasso Ressan, e Gerolama Margarita Santus-Ressan, residenti in Torino, in egual porzione tra esse» (AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, capo 79, m. 12, Statistica Generale [1753], fasc. 12: prov. di Pinerolo). I Ressan risultavano cosignori di Rodoretto dal 29 ottobre 1639 (investitura del conte Giambattista Ressano); essi avevano acquistato il feudo dai De’ Chiaberti (signori dal 1615); il 31 agosto 1768, infine, la metà di Rodoretto veniva infeudata a Gaspare Angelo Paoletti (Manno 1895, p. 285).
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Mutamenti di distrettuazione | Il comune, passato ai Savoia dopo la dominazione francese del 1536-1559, venne assegnato, insieme a tutta la val San Martino, all’antica provincia di Pinerolo e vi rimase fino alla fine del secolo XVIII, tranne che per il breve periodo 1704-1708, durante il quale, sotto il regime d’occupazione delle truppe francesi di La Feuillade, venne istituita la «Serenissima Repubblica di Val San Martino, Pomaretto, Inverso Pinasca, e Chianavere», con capitale a Perrero, nota anche derisoriamente come “Repubblica del sale”, perché la prerogativa principale di essa era quella di concedere il sale – monopolio di stato – a due soldi la libbra, un prezzo assai conveniente (Armand Hugon 1945, pp. 10-24). Durante l’amministrazione francese del periodo napoleonico, il comune e tutta la valle vennero aggregati al cantone di val Balsiglia e, con la Restaurazione, fecero parte del mandamento di Perrero (compreso nel circondario di Pinerolo), rimanendovi fino al 1923, anno di abolizione di questa circoscrizione amministrativa.
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Mutamenti Territoriali | Il riordino sabaudo del secolo XVI non causò per Prali alcun mutamento territoriale, in quanto il trattato di Cavour tra i Savoia ed i Valdesi del 1561 prese implicitamente atto dei confini originali. L’ex comune di Rodoretto venne annesso a Prali nel 1870.
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Comunanze | Usi civici: tot 253.5455 ha; categ. «A»: 253.5455 ha; categ. «B»: 0 ha (CLUC, provincia di Torino, cartella 201: Prali).
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Liti Territoriali | Va segnalato un compromesso del 24 agosto 1462 circa il contrasto che opponeva alcuni abitanti della val S. Martino, che tenevano in affitto dall’abbazia di Casanova due alpeggi siti nelle montagne di Prali. La questione verteva fra 13 affittuari di una parte di Muandette, da un lato, e 12 affittuari di parte di Bo dâ Col, dall’altro, e veniva terminata stabilendo che quelli che tenevano parte dell’alpe Muandette la conservassero, pagando all’abate il fitto di 27 fiorini di piccolo peso, e quelli che tenevano il resto dell’alpe tenessero anche Bò dâ Col, con il pagamento di 18 fiorini all’abbazia (Patrucco 1899, pp. 262-66). Bisogna sottolineare, però, che questa lite non interessava la comunità di Prali nel suo complesso, ma solo alcuni suoi «particolari». Nel 1777 troviamo una linea divisionale del confine tra Prali e Bobbio, che rinvia a un possibile conflitto fra le due comunità, peraltro non documentato (AC Prali, mazzo non numerato). Per l’ex comune di Rodoretto, nell’archivio comunale di Perrero sono conservati atti consiliari del 1787 delle comunità di Rodoretto e Chiabrano contro Salza per la misura di linea territoriale riguardante l’alpe del Grasso (AC Perrero, atti in corso di inventariazione).
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A.C.P. (Archivio Sorico del Comune di Prali).
A.S.. (Archivio di Stato di Torino).
A.S.T., Camera dei Conti, II Archiviazione, capo 79, m. 12, Statistica Generale [1753], fasc. 12: prov. di Pinerolo. A.S.T., Camera dei Conti, Finanze, Catasti, Catasto Antico [1792], Allegato D, v. 115. A.S.T., Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, Borgonio B 1 Nero, Mazzo 1, "CARTA COROGRAFICA / DEGLI / Stati di S.M. il Re di SARDEGNA / data in luce / dall'Ingegnere / BORGONIO / nel 1683 / corretta ed accresciuta / nell'anno 1772". Borgonio (Ingegnere) [Stagnon 1772] Carta corografica degli Stati di terraferma di S.M. il Re di Sardegna. Copie 2 una in fol. 17, compresa la tabella di riunione; colla divisione per governi e la seconda composta di fol. 16 colla divisione della Provincia ed un'altra copia in 4 fol. (Manca la copia composta di fogli 16). (Note: Sul verso: "Carta III. / continente il Marchesato di Susa, il Contado di / Nizza, e le Provincie di Pinerolo, e Cuneo, con la maggior / parte di quella di Torino, piccola parte delle rispettive / Provincie di Moriena, Ivrea, Alba, Mondovì, e / Principato d'Oneglia, con le Frontiere di Francia / e parte della Provenza, il Principato di Monaco, e / piccola parte del Genovesato". L'originale seicentesco dal titolo "Carta generale de' Stati di Sua Altezza Reale" fu disegnato da Tommaso Borgonio ed inciso da Giovanni Maria Belgrano. Per l'edizione settecentesca qui conservata vennero aggiunti alcuni fogli raffiguranti i paesi di nuovo acquisto incisi da Stagnone su disegni di Castellino, Galletti e Boasso e vennero anche apportate alcune modifiche ai fogli disegnati dal Borgonio. Cfr. anche Carte Topografiche per A e B, PIEMONTE, n. 23 e Carte Topografiche Segrete, BORGONIO B 5 nero), Foglio 3, 1772, . Vedi mappa. A.S.T., Alleg. C, rotolo 196; Catasto Antico [1793], Allegato D, v. 116; Alleg. A pf. n. 53. A.S.T., Corte, Provincia di Pinerolo, m. 13, f. 1, nn. 3, 5, 6, 10, 13. A.S.T., Sez. Riun., Finanze, Catasto antico, Libri delle misure e degli estimi delle Provincie del Piemonte eseguite fra il 1702 [ma per le Valli 1701] e 1730, Comunità della valle di S. Martino, Allegato I, m. 7: Circondario di Pinerolo, Mandamento di Perrero. B.N.F. (Bibliothèque nationale de France).
B.N.F., GED-4658, Plan des Retranchements du Camp de Praly au bout de la vallée de St Martin (1704) [Roussel (16..-1733 ; ingénieur). Cartographe]. Vedi mappa. C.U.C. (Commissariato per la Liquidazione degli Usi Civici, Torino).
C.U.C., provincia di Torino, cartella 201: Prali. | |
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Descrizione Comune | Prali Nel caso di Prali siamo di fronte a una evoluzione degli insediamenti del territorio comunale in cui non emerge con chiarezza un centro principale, e diversi nuclei tendono a restare in sostanziale equilibrio tra loro. L’importanza politico-amministrativa delle diverse località che costituivano i vari territori comunali può essere variata nel tempo – per esempio, vistoso è il declino subito da Villa (un tempo, come indica il toponimo stesso, sede originaria del comune), a favore di Ghigo – senza, però, che ciò abbia comportato forti egemonie, se non quella dell’ultimo periodo, legato al recente sviluppo di un turismo invernale ed estivo di Ghigo. La dispersione di buona parte della popolazione fra diversi centri e vari nuclei sta, in genere, a indicare un processo storico di segmentazione politica, amministrativa e religiosa tra diverse istituzioni non disposte gerarchicamente, e che non insistono sul territorio di un unico comune. E così in effetti è stato per il nostro territorio e per tutta la val Germanasca, che, dopo il declino dei signori di San Martino, a partire dal secolo XIV, si è trovata infeudata a una serie di consortili aristocratici, che esercitavano una molteplicità di prerogative feudali frammentate. A partire dalla seconda metà del secolo XVI, un fattore strutturale più profondo si sarebbe aggiunto: l’avvento della Riforma protestante, in un territorio già fortemente pervaso, nei due secoli precedenti, da fermenti eterodossi ed ereticali, quali il movimento valdese (Merlo 1977). Questo fenomeno si manifesta in contemporanea alla crisi di rappresentanza dell’abbazia di Santa Maria di Pinerolo, che continuava a esercitare prerogative giurisdizionali e signorili sulla valle. Per compensare la diminuzione delle rendite dovuta alla svalutazione monetaria, l’abbazia ricorreva al cumulo degli incarichi: a un unico titolare venivano assegnati più benefici ecclesiastici. Il titolare, che non risiedeva sul posto e si limitava a riscuotere ed amministrare la rendita delle decime, nei casi migliori si faceva sostituire da vicari, in genere salariati con prebende miserevoli, e aventi una formazione e preparazione culturale piuttosto rudimentale. Essi venivano a costituire una sorta di “proletariato ecclesiastico”, incapace di far fronte ai nuovi ministri di culto calvinisti preparati e motivati. Fu questa non l’ultima delle cause che favorirono l’impetuoso affermarsi della Riforma verso la metà del Cinquecento, unitamente alla prospettiva per gli abitanti di liberarsi dalle decime e dagli altri balzelli ecclesiastici. Non c’è bisogno di sottolineare la portata delle conseguenze che questo fatto ha comportato sul piano della competizione e del conflitto tra istituzioni differenti (tra le due diverse strutture ecclesiastiche, tra queste e quelle civili a carattere locale e sovralocale, con forze esterne che potevano inserirsi negli equilibri interni, ecc.), a cui ha corrisposto una frammentazione territoriale: basterà qui solo accennare al fatto che l’avvento della Riforma non solo segna una frattura tra Valli valdesi e pianura cattolica, ma interviene anche nei processi di definizione dei singoli territori comunali. Punto di partenza è senza dubbio l’accordo di Cavour del 1561, concluso con i Savoia dopo un fallito tentativo di repressione militare: esso, oltre a porre fine alla prima guerra di religione sancendo una tolleranza di diritto e non solo di fatto per i Valdesi, definì anche i limiti territoriali nei quali era consentito ai sudditi «religionari» possedere beni ed esercitare il loro culto. Il trattato mirava a confinare la popolazione valdese nelle parti alte delle valli Pellice, Chisone e Germanasca, a volte incapsulando l’intero territorio comunale (come nel caso di Prali e Rodoretto), oppure tracciando limiti e confini all’interno di una stessa comunità (Balmas 1972, pp. 124-143). Questo sembra essere uno dei primi interventi esterni che si occupa della suddivisione degli spazi all’interno delle comunità. Va infatti rilevato come, per la val Germanasa, le più antiche definizioni di confini a noi note siano tutte iniziative signorili, come la «consegna di Giacomo d’Artaudo dei feudi di val San Martino a Giacomo d’Acaja» del 1356 (Patrucco 1899, doc. IV, pp. 252-255), o la «ricognizione» fatta dagli altri consignori della valle, i San Martino, il 19 febbraio 1484 (cfr. il lemma ‘Feudo’); esse nascono, da un lato, dalla necessità per i vassalli di rivendicare, tutelare e garantire i loro possedimenti dall’azione accentratrice dei principi d’Acaja, dall’altro dall’esigenza da parte degli Acaja di controllo e riaffermazione della propria autorità nei confronti dei vassalli. La definizione dei confini comunali appare, al contrario, soggetta per un lungo periodo a una certa indeterminatezza, fino almeno alla seconda metà del secolo XVIII, essendo le comunità di valle costituite da più borgate, talora disposte a notevole distanza tra loro, accorpate a fini amministrativi e specialmente fiscali, ma che potevano contemporaneamente far riferimento a diverse circoscrizioni territoriali, quali le parrocchie cattoliche o i concistori protestanti (cfr. i lemmi ‘Pieve’ e ‘Altre presenze ecclesiastiche’), come nel caso del villaggio di Crosetto, il quale nel XIX secolo era unito ecclesiasticamente alla chiesa valdese di Villasecca e civilmente alla comunità di Prali (Jalla 1931, p. 56). Non c’è quindi da meravigliarsi se, nel corso del tempo, si assiste a una certa instabilità territoriale, derivante sia da interventi riorganizzativi dei poteri sovralocali, sia da istanze che possono nascere dal basso. A questa certa indeterminatezza e mobilità dei confini comunali si oppone invece un’assoluta e intransigente definizione e difesa dei confini delle proprietà private spettanti alle varie famiglie: non è infrequente, nei procedimenti giudiziari del sec. XVIII, riscontrare casi di risse e scontri fisici nati da comportamenti giudicati lesivi delle proprietà familiari, quali lo sconfinamento nella raccolta del fieno, o nel pascolo del bestiame (Tron 1987). E non è un caso che sia l’organizzazione dello sfruttamento dei pascoli in quota, degli alpeggi, a sollecitare il processo di definizione dei territori comunali in termini spaziali di tracciamento dei confini, praticamente gli unici casi di liti territoriali che abbiano riscontro negli archivi. Nel 1777 la popolazione dei due comuni assommava a 823 anime (di cui 46 cattoliche e 518 protestanti per Prali; 80 cattoliche e 179 valdesi per Rodoretto) (Caffaro 1893, p. 661). Nel 1853 siamo a 1296 unità (14 cattoliche e 887 valdesi per Prali, e 96 cattoliche e 299 valdesi per Rodoretto; con il 1881, dopo l’unificazione dei due comuni, la popolazione complessiva ammonterà a 1371 unità (Caffaro 1893, p. 661).
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