Caresana

AutoriRao, Riccardo
Anno Compilazione2007
Provincia
Vercelli
Area storica
Districtus e contado del comune di Vercelli.
Abitanti
1068 (ISTAT 2001).
Estensione
2373 ha (ISTAT).
Confini
A nord Pezzana, a est Langosco e Rosasco, a sud-est Motta dei Conti, a sud-ovest Villanova Monferrato, a ovest Stroppiana.
Frazioni
Il comune di Caresana non ha frazioni. Vedi mappa.
Toponimo storico
«Carexana», «Carixiana», «Carisiana». Sono attestate anche le forme «Carezana», «Carezzana», «Carrezana», che durante il basso medioevo erano utilizzate di preferenza per indicare Caresanablot.
Occorre osservare che tale omonimia ha favorito numerosi equivoci non solo nella bibliografia, ma anche nella conservazione archivistica, che ha talora confuso le due località.
Diocesi
Vercelli
Pieve
Nel basso medioevo le chiese di Caresana non erano incluse in alcuna pieve e dipendevano direttamente dalla chiesa vercellese, in particolare dal capitolo di Sant'Eusebio (San Matteo, Santa Maria del Castello e San Giorgio) e dal Tesoro della cattedrale (San Cataldo): è possibile desumere tali informazioni dagli elenchi dei carichi ecclesiastici della diocesi redatti nel 1298-1299 e nel 1348 (ARMO, I, 36, 75).
Altre Presenze Ecclesiastiche
La prima occorrenza di una chiesa nell'abitato riguarda la «cappella dei Santi Simone e Giuda», una fondazione sita appena al di fuori del castrum ricordata nell'investitura della curtis di Caresana a favore del capitolo di Sant'Eusebio di Vercelli del 987: essa negli anni successivi, prima del 999, venne intitolata a San Matteo (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, pp. 21, 25, 28; potrebbe essere rintracciata una sopravvivenza del culto dei due santi in una disposizione del 1233, che prevedeva un versamento di rape ai canonici «in octavis Santorum Simonis et Iude»: Biscioni, 1/III, doc. 135. Sulla continuità di tale culto nel Novecento: Groneuer 1970, p. 4) e si affermò in seguito come parrocchiale del villaggio. Fra le presenze ecclesiastiche più antiche si segnala, dal 1024, la chiesa di Santa Maria del Castello (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, p. 50). Si tratta forse del medesimo edificio ricordato in un successivo atto stipulato «in porticu ecclesie de castello» (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, p. 175). Essa compare ancora nelle visite pastorali Cinque e Seicentesche come Santa Maria del Molino (Bussi 1975, p. 185). Nel 1345 - anno in cui la chiesa e i suoi beni furono annessi, assieme a quella di San Matteo e di San Giorgio, alla luminaria del capitolo cattedrale - l'edificio era descritto come una chiesa campestre in cattivo stato di conservazione (ABC Vercelli, ^P, cart. 39 [22 novembre 1345]: «ecclesia seu rectoria in loco campestri posita et diructa Sancta Marie castri veteris de Carixana»). È risalente anche l'edificazione, poco fuori dalle mura dell'abitato, della chiesa di San Giorgio, ricordata in una scrittura del 1095 e divenuta, almeno dal Settecento, proprietà comunale (Bussi 1937, p. 48). Di fondazione medievale era pure la chiesa campestre di San Cataldo, ubicata ai confini con il territorio di Motta dei Conti e di Villanova e attestata per la prima volta nel 1195 (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli II, p. 342): essa dipendeva dal Tesoro della chiesa cattedrale di Vercelli (ARMO, I, 26). Faceva parte del territorio di Caresana anche una cappella menzionata nel 996 e dedicata a San Colombano, sita nei pressi dell'attuale cascina San Pietro di Palestro (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, p. 28; Groneuer 1970, pp. 3-4).
Le visite pastorali, conservatesi dal 1597, documentano ulteriori presenze ecclesiastiche di epoca per lo più moderna. Presso la chiesa di San Matteo era situato l'oratorio del Santo Rosario, sede dell'omonima confraternita dei Disciplinati, inizialmente dedicata a San Pietro Martire, di cui nel 1597 portava l'intitolazione (Bussi 1975, p. 170). L'altra confraternita del paese prendeva il nome dalla chiesa di Santa Caterina, anch'essa segnalata fin dalla visita del 1597 (Bussi 1975, p. 177; Cerruti 2007, p. 52): tale chiesa fu per breve tempo parrocchiale quando, nel 1744, crollò l'edificio di San Matteo, ricostruito nel 1755 (AST, Corte, Benefizi di qua da' Monti, Benefizi di qua da' Monti, m. 8). La visita del 1597 ricorda anche San Bernardino, demolita poco dopo il 1794 (Bussi 1975, p. 181). Dalla metà del XVI secolo è documentata la chiesa di San Rocco, passata in seguito al comune: sotto tale proprietario essa è ricordata nel catasto napoleonico e in un elenco di beni comunali del 1910 (ASVc, CC, m. 105). Negli anni 1713-1717 venne costruita presso la cascina Castelletto, a metà strada tra Caresana e Pezzana, una cappella dedicata all'Annunziata, destinata ad accogliere la Vergine del Lago, un dipinto della fine del XVI secolo recuperato da un rustico nei pressi della Sesia, ai confini con i territori di Motta dei Conti e di Langosco (Bussi 1967; Bussi 1975, p. 214).
Assetto Insediativo
Nel X secolo Caresana era sede di una «cortem unam domui cultilem [...] cum castro inibi abente cum capella foris» (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, p. 25), da cui dipendevano un porto sulla Sesia e un ampio territorio in gran parte incolto, che si estendeva fino al Po. L'espressione, piuttosto ambigua, sembra intendere l'esistenza di un centro domocoltile incastellato: un diploma rilasciato dal marchese Ugo alla Chiesa vercellese chiarisce che la misura della curtis con il castrum, palizzata e fossato ammontava a tre iugeri, circa 4000 metri quadri (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, p. 25: «prefactam cortem domui coltilem pro mensura iusta de area in qua ipsum castrum est ad cum tonimen et fossatum circundatum iugeas tres»). Attorno al centro domocoltile si estendevano per mille iugeri, i sedimi, le vigne e i prati delle abitazioni contadine, per tremila iugeri i campi arati e per quattromila iugeri gli incolti, gerbidi, boschi e paludi (Groneuer 1970, pp. 2­3; Settia 1984, p. 447). Caresana era forse caratterizzata da un abitato a maglie larghe, attorniato da vaste superfici incolte. Nei primi decenni del XII secolo sono documentati sedimi nella località in Caselle, «sita in villa Carixiane»: in un caso con una casa circondata da campi nei pressi della Marcova e del Lamporo (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, pp. 86, 92, 99, 130). Alcuni decenni dopo, nel 1166, la località «in Caselle» non era più ricordata all'interno dell'abitato, ma «extra villam Carixiane» (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, p. 238). Dove non si tratti di un'indicazione legata a una diversa percezione del territorio, si potrebbe ritenere che la localizzazione di Caresana fosse stata modificata dai precedenti interventi insediativi. Gli assetti del villaggio furono, infatti, probabilmente modificati dal 1136, quando l'abitato subì un primo intervento di riordino, con la creazione di una villanova o burgum novum che si affiancò al centro preesistente (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, pp. 131-132; Panero 1988, p. 28). Nel XII secolo è inoltre documentata l'esistenza di un castello deposito, all'interno del quale trovavano spazio numerose abitazioni e caneve degli abitanti del luogo (Settia 2001, pp. 24, 27). Il castello fu almeno in parte distrutto nei primi decenni del Duecento («castrum Carexiane fuit destructum»), quando i domini di Caresana costruirono una torre, forse in pietra («de lapidibus»: ABC Vercelli, Motta dei Conti, Atti di lite diversi dal 1226 al 1566, fascicolo senza data relativo agli anni Trenta del Duecento). Nel 1340 esso fu ricordato come «castellacium», nel 1345 come «castrum vetus» (ABC Vercelli, AP, cart. 37, 1340, dicembre 11; cart. 39 [22 novembre 1345]).
Le trasformazioni più cospicue avvennero però fra il 1228 e il 1255: nel 1228 i canonici di Sant'Eusebio stabilirono una divisione territoriale con la comunità e fondarono il villaggio di Gazzo, completato due anni dopo (ABC Vercelli, Statuti e patti, cart. 90 [22 aprile 1228]).
È probabile che il borgo nuovo dei canonici avesse contribuito a un parziale spopolamento di Caresana (Panero 1988, p. 36). Nel 1255, al fine di ridiscutere le precedenti convenzioni con i canonici, il comune di Caresana si accordò con quello di Vercelli, ricevendo franchigie da quest'ultimo: i patti si accompagnarono a un consistente intervento edilizio, con l'abbandono dell'antico abitato e l'erezione di un borgo nuovo, al quale si può con tutta probabilità ricondurre l'assetto ortogonale dell'attuale pianta di Caresana (Panero 1988, pp. 56-59). La costruzione del nuovo abitato nel 1255 implicò verosimilmente la ridefinizione delle strutture del castello, inglobato nel borgo e trasformato, probabilmente in epoca successiva, in ricetto (Marzi 2001, pp. 39-41). L'erezione del ricetto è documentata con sicurezza nel 1417: la comunità e il capitolo si accordarono per impiegare numerosi sedimi dei canonici nell'edificazione di un fortalicium dove gli uomini di Caresana potessero «se et eorum bona reducere pro tuicione». I patti prevedevano che i religiosi potessero fruire del ricetto, partecipando però alle spese: essi dovevano aiutare il comune a innalzare il torionum, i fossati, la porta del ponte e i bastimenta (ABC Vercelli, AP, cart. 60 [14 aprile 1417]). La struttura fortificata fu divisa, forse in seguito, in due parti, così come appare in una carta seicentesca, una sezione, la rocca, di spettanza dei signori locali, e l'altra della comunità (Settia 2001, pp. 26-27. Per la mappa Bussi 1985, p. 77).
L'odierno assetto insediativo è inoltre caratterizzato da una pletora di cascine che costella le campagne dell'abitato. L'insediamento disperso a Caresana risponde alla necessità di una migliore valorizzazione agricola dei fondi, le cui prime tracce possono essere fatte risalire almeno dalla seconda metà del XII secolo. Già da tale periodo sono documentate cassine, poderia e airali al di fuori dell'abitato, probabilmente edifici rustici dei maggiori proprietari - sono menzionate cassine, airali e caxinarii dei canonici, dei conti di Langosco, degli aristocratici locali e dei cives vercellesi - finalizzati soprattutto a sfruttare le vaste superfici incolte dell'area (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, p. 214 [1162]; «airale seniorum prefate ecclesie»; doc. 224 [1164]: «a Carezana usque in rugia de Panialia et sicut vadunt rugie usque ad caxinas heredum Rolandi de Bonfilio»; ABC Vercelli, AP, cart. 13 [1207]: «extra villam milites [...] habebant poderia»; Gullino 1980, pp. 61-65). Tali costruzioni appaiono legate, in particolare, all'utilizzo delle risorse boschive e all'allevamento, ovino, suino e bovino. Nei pressi della cassina di un cittadino vercellese, Loarengo Alciati, nel 1208 alloggiavano le pecore transumanti di un pastore di Andorno, nel Biellese (ABC Vercelli, AP, cart. 13 [5 novembre 1208]). Gli accordi del 1261 menzionano inoltre un airale dei canonici sito al di fuori del borgo di Caresana («extra burgum»), dove potevano risiedere un vacharius, un porcharius e un pastor (Groneuer 1970, p. 202). Nelle succitate convenzioni, ma anche nella vertenza del 1230 fra il capitolo e i conti di Langosco, è ricordata la presenza di «bubulci et caxinarii» (Groneuer 1970, p. 203; ABC Vercelli, Rotoli pergamenacei sciolti, rotolo iniziante per «testes comitum»), apparentemente nell'accezione di contadini, forse braccianti, dei grandi proprietari.
A dispetto di tali precoci menzioni, nel territorio di Caresana la diffusione di dimore rurali dotate di massari residenti pare legata soprattutto all'età moderna. A differenza di altre località della Bassa Vercellese, la documentazione consultata consente di confermare solo parzialmente la presenza di tali strutture nel secolo XV e nella prima metà del XVI. Nei catasti del 1551-1553 non sono menzionate cascine isolate nei campi. Le capsine, intese come edifici rustici annessi alle abitazioni contadine, sono invece ben documentate all'interno dell'abitato. È possibile che tale assenza nei catasti cinquecenteschi possa essere in parte imputata alle modalità di redazione, che non prevedevano la registrazione dei maggiori proprietari. La proliferazione di tali strutture sembra però essersi verificata soprattutto dalla seconda metà del Cinquecento. Nel 1566 è documentata la cascina «de Vallialto» (AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114F, Caresana [28 novembre 1566]). Sul finire del XVII secolo è già possibile rintracciare un embrionale reticolo delle cascine attualmente esistenti: nei catasti del 1697-98 sono documentate le cascine del Lago, del Castelletto, del Dosso, della Costa, Travagliosa, della Pizzeia, del Vallare (AC Vercelli, Armadio 71, Brogliazzo della misura dei beni di Caresana [1697-98]). Dalle descrizioni offerte dal catasto, tali strutture erano di dimensioni piuttosto modeste: talora provviste di colombaie, esse erano dotate di pozzo, stalla, porcilaia, una o due case per i massari, fra le due e le sei stanze (cfr. per esempio AC Vercelli, Armadio 71, Brogliazzo della misura dei beni di Caresana, ff. 2r, 8r, 13r, 24v). Nel corso della prima metà del XIX secolo furono edificate ulteriori cascine, di maggiori dimensioni, destinate con tutta probabilità a ospitare i salariati della risicoltura, in quel periodo in forte accelerazione (cfr. il lemma 'Mutamenti territoriali'): nel 1837 le cascine Bellincontro o Nuova e Isoletta, che non compaiono tra le cascine censite nel 1818, erano le più popolose, ospitando rispettivamente 64 e 26 abitanti (Bussi 1975, pp. 44-45).
Luoghi Scomparsi
Per il borgo di Gazzo, fondato dai canonici di Vercelli nel 1228 e abbandonato nel 1330 (ABC Vercelli, AP, cart. 33 [28 maggio 1330], copia in Archivio di Stato di Torino [AST, Corte, Materie ecclesiastiche, Arcivescovadi e vescovadi, Vercelli, f. 204]), incluso nel territorio di Motta dei Conti, si rimanda alla scheda su quest'ultimo comune.
Comunità, origine, funzionamento
La comunità di Caresana è documentata per la prima volta nel 1113, in occasione di un primo accordo con il vescovo di Vercelli sullo sfruttamento del bosco di Gazzo, ottenuto in investitura (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, pp. 82-83; Panero 1990, pp. 178-179). Fin da tale data la capacità di agire collettivamente della popolazione locale, già ripartita in maiores et minores, è strettamente legata alla rivendicazione dei beni incolti, in particolare della vasta area forestale di Gazzo. Quest'ultima fu sottoposta a un'intensa opera di dissodamento, stabilita attraverso ulteriori mediazioni con il capitolo cattedrale nel corso dei decenni seguenti. In particolare, nel 1187 la comunità, che almeno dal 1160 era rappresentata da propri consoli, addivenne a una complessa pattuizione, che prevedeva non solo la regolamentazione dello sfruttamento della foresta, ma anche la spartizione di alcuni diritti pubblici legati alla iurisdictio, come la titolarità delle vie, di tutti i comunia e dello ius piscandi (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli II, pp. 197-199). La configurazione in comune degli homines fu probabilmente un passaggio decisivo perché potesse avere luogo la rivendicazione di alcune prerogative giurisdizionali. È del resto verosimile che la questione delle proprietà collettive avesse stimolato la coesione della popolazione, suggerendo esperienze istituzionali più strutturate.
     Dalla fine del XII secolo è possibile seguire una progressiva divaricazione all'interno della comunità, legata anche in questa occasione alla gestione delle comunanze. Nel 1190 i milites dimostrarono di avere la capacità di agire in maniera coordinata, sostenendo una disputa con il capitolo cattedrale per la riscossione delle decime sui terreni arroncati di recente. Nel 1207 alcuni di loro, credenziari del comune rurale, si promisero reciproco aiuto nell'amministrazione delle loro terre, con il fine di recuperare «omnes comunias Carexiane que sunt montrate per inquestas in tota curte predicti loci». Sebbene il documento non sia chiaro, sembrerebbe delinearsi una linea d'azione univoca dei milites di Caresana, detentori di poderia al di fuori dell'abitato («extra villam milites [...] habebant poderia»), nei confronti delle superfici adibite a uso pubblico, che in quegli anni erano state oggetto di una ricognizione da parte del comune che con tutta probabilità era stata diretta contro le usurpazioni e gli interessi ormai consolidati dell'aristocrazia su di esse.
     La sedimentazione di interessi contrapposti nella gestione dei beni comuni ebbe un ruolo decisivo nella frammentazione della comunità, ma anche nelle temporanee forme di ricomposizione verso l'esterno: nei primi decenni del Duecento, di fronte alle pretese sul bosco di Gazzo avanzate dai comuni di Cozzo e di Candia, «domnos et populares» di Caresana reagirono uniti, pervenendo infine a un arbitrato con cui una parte della foresta fu riservata «pro comuni militum et comunis Carixiane et populi Carixiane» (Groneuer 1970, p. 98; cfr. anche le deposizioni prodotte in ABC Vercelli, Motta dei Conti, Atti di lite diversi dal 1226 al 1566, fascicolo senza data relativo agli anni Trenta del Duecento). Nel giro di alcuni decenni lo sviluppo di interessi di parte nella gestione delle risorse collettive aveva quindi condotto alla configurazione, anche dal punto di vista istituzionale, dei milites di Caresana da un lato e del populus dall'altro.
      Nel corso della prima metà del Duecento la comunità irrobustì ulteriormente i suoi ambiti di autonomia dal capitolo della Chiesa episcopale: i patti del 1228, se implicarono la rinuncia, contestata negli anni seguenti, alla foresta di Gazzo, per altro verso definirono meglio i diritti del comune rurale. Ulteriori riconoscimenti furono conseguiti con l'erezione di Caresana a borgo franco nel 1233 da parte dei canonici e nel 1255 da parte del comune di Vercelli. La comunità era di norma diretta da consoli, anche se in circostanze particolari si ricorse alla nomina di un podestà inviato dal capitolo (Mandelli 1857, II, pp. 222-223).
     Dal basso medioevo, la comunità dovette affrontare un consistente processo di indebitamento (le prime testimonianze di debiti della comunità, in realtà, risalgono già ai primi decenni del Duecento: ABC Vercelli, Sentenze, 25 agosto e 7 dicembre 1226), in parte compensato con la vendita delle comunanze (cfr. il lemma 'Comunanze'). Nel tentativo di ottenere un alleggerimento delle imposizioni, nel 1663 la comunità ricordava il suo «mal stato nel qual si ritrova e di giorno in giorno va declinando», attribuendone i motivi «non tanto per li sacheggi incendii et rovina mancamenti de bestiame et morte delli homini patiti et seguiti nelle passate guerre», che avevano distrutto le case «sino alle fondamenta per più della metà della terra et le persone ridotte a pochissimo numero», quanto per le «somme de debiti contratti dalla comunità» (AST, Corte, Materie ecclesiastiche, 13ma categoria, Trafiggio vercellese, m. 1). La perequazione generale del 1731 annotava numerosi debiti contratti dalla comunità, fra cui quelli con Orazio Paoli, che nel 1614 aveva ricevuto da Emanuele I la riscossione del fogaggio, in seguito rilevata da Francesco Giovanni Buronzo (AST, Camera dei Conti, II archiviazione, capo 21, m. 1, f. 41). La relazione dell'intendente, scritta nel 1726, riconosceva che la «povera comunità di Caresana» stentava a pagare le imposte, per il difetto di uomini, le guerre e i numerosi debiti (AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114F, Caresana).
     Dal punto di vista demografico, la comunità contava sul finire del Cinquecento 1299 bocche dai tre anni in su (AC Vercelli, Armadio 74, Consegne di bocche e grani del 1578). Dopo un calo della popolazione avvenuto nel Seicento, la ripresa demografica potrebbe essere imputata anche allo sviluppo della risicoltura, che condusse da poco più di 1000 anime all'inizio del Settecento (Cerruti 2007, p. 66), alle circa 1600 persone attestate nel 1751, fino alle 2200 «con quantità di cassine disperse nel territorio» del 1821 (Bussi 1975, pp. 41-42).
Statuti
Non sono documentati statuti per la località. Forme embrionali di statuti possono essere riconosciuti nelle pattuizioni tra comunità e capitolo di Sant'Eusebio di Vercelli del 1228 (ABC Vercelli, Statuti e patti, cart. 90 [30 novembre 1228]) e del 1233 (Biscioni, 1/3, pp. 133-142). Si sono conservati i bandi campestri emanati in data 6 febbraio 1741 e 29 luglio 1742 (ABC Vercelli, Caresana, Scritture diverse, Conti, parcelle, convenzioni, note, bandi campestri, decreti, stati e collazione delle parrocchie). Estratti di bandi campestri approvati il 18 marzo 1793 sono conservati nell'Archivio della Biblioteca Capitolare di Vercelli (ABC Vercelli, Caresana, Liti per diritti di pascolo [11 dicembre 1824-25 luglio 1825]).
Catasti
Gli estimi più antichi risalgono al 1551 (AC Vercelli, Armadio 70, n. 5, consegnamenti 1551). Da tale data le registrazioni proseguono piuttosto regolari per tutto il Vercellese. Per Caresana si sono conservati registri del 1559, del 1574 (AC Vercelli, Armadio 72; Armadio 70, n. 30), del 1652 (AC Vercelli, Armadio 70, n. 44) del 1656 (AC Vercelli, Armadio 73, m. a), del 1697-1698 (AC Vercelli, Armadio 71, m. a, Brogliazzo della misura dei beni di Caresana). Come è noto, la Perequazione generale del 1730 non riuscì a portare a termine la catastazione parcellare dei singoli centri (Quazza 1957, p. 153). Negli anni immediatamente successivi, nel 1733 e nel 1739, i Savoia posero le basi perché tali iniziative venissero portate a termine dalle singole comunità. Si deve con tutta probabilità a simili disposizioni il catasto approntato nel 1741 dall'ingegnere e geometra Pietro Denisio (ASVc, CC, m. 90). Oltre al volume, il perito disegnò, su incarico della comunità, una mappa «di tutto il territorio d'esso luogo in contraddittorio delle comunità de luoghi circonvicini circa la liquidazione de confini» (la mappa è conservata presso la Sala del consiglio del palazzo comunale di Caresana). L'archivio di Stato di Vercelli conserva anche il catasto del 1810 e numerose registrazioni avvenute tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento (ASVc, Comuni, Caresana, mm. 81, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91; ASVc, Dipartimento della Sesia, m. 121, Catasti).
Dal punto di vista della cartografia catastale si può fare riferimento alla succitata mappa di Pietro Denisio, al Catasto Rabbini (AST, Camera dei Conti, Catasti, Catasto Rabbini) e al catasto prodotto negli anni 1935-1955 (ASVc, Disegni, Mappe catastali). Bisogna però rilevare che un intero mazzo conservato presso l'Archivio di Stato di Vercelli, contenente, secondo le indicazioni d'inventario, alcune mappe catastali e tavole del 1810, 1882 e 1888, risulti ad oggi irreperibile (ASVc, CC, m. 89). Presso l'Archivio capitolare è inoltre conservata una mappa del territorio di Caresana del 1836 con collazione dei catasti del 1741 e del 1810 (ABC Vercelli, Mappe non inventariate).
Ordinati
Le delibere del consiglio comunale si sono conservate dal 1701 (ASVc, CC, m. 6): esse, però, sono inventariate come Ordinati soltanto a partire dal 1780 (ASVc, CC, mazzi 8­14). Dopo il 1865 tale serie assume il nome di Verbali del consiglio comunale (ASVc, CC, mazzi 14-18).
Dipendenze nel Medioevo
Nell'882 la curtis di Caresana, assieme a Langosco, fu donata da Carlo il Grosso alla Chiesa di Vercelli (sul privilegio grava la possibilità di un'interpolazione avvenuta tra la fine del X e gli inizi dell'XI secolo, di recente ridimensionata da Francesco Panero: Panero 2004, pp. 31-32). Nel 987 il marchese anscarico Corrado Conone, figlio del re Berengario, confermò la curtis con castello di Caresana al capitolo di Sant'Eusebio. Fra il 1144 e il 1146 un quarto della curtis del luogo fu assegnato al capitolo di Santa Maria, mentre a quello di Sant'Eusebio rimase il rimanente (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, pp. 150-158). L'esercizio della giurisdizione da parte dei canonici fu ostacolato, oltre che dai diritti rivendicati dai canonici di Sant'Andrea (ABC Vercelli, Motta dei Conti, Atti di lite diversi dal 1226 al 1566, fascicolo senza data relativo agli anni Trenta del Duecento), dalla progressiva affermazione del comune locale, che prima, nel 1233 (Biscioni, 1/III, pp. 133­142), strappò la qualifica di borgo franco ai religiosi e quindi, nel 1255 (ABC Vercelli, Statuti e patti, cart. 91, [15 giugno 1255]), ottenne il medesimo privilegio dal comune di Vercelli, in concorrenza con la chiesa eusebiana.
Feudo
Durante gli ultimi secoli del medioevo Caresana fu feudo della famiglia de Dionisiis. L'affermazione della discendenza sulla località è legata agli stretti rapporti con la Chiesa episcopale di Vercelli. Nel 1256 i canonici concessero in custodia ai fratelli Pietro, Matteo e Buongiovanni la torre e il dongione della vicina villanova di Gazzo (ABC Vercelli, AP, cart. 9 [1 novembre 1256]). Nel corso del Trecento la stirpe ricevette dal vescovo a più riprese, nel 1311, nel 1329 e nel 1344, l'investitura di un terzo delle decime di Caresana (Bussi 1985, p. 105). Nello stesso periodo essi avocarono a danno dei canonici ulteriori prerogative legate all'esercizio della giurisdizione: nel 1340 essi avevano costruito alcuni mulini e avevano abbattuto una torre del capitolo dicendo che era costruita sul loro castello (ABC Vercelli, AP, cart. 37 [18 novembre 1340], 11 dicembre: «turris dicti capituli et ecclesie que diructa et prostrata fuit ad terram per dictos fratres de Dionixiis ut dicitur que turris erat eddificata et fundata apud castrum dictorum de Dionixiis in loco Carixiana»). L'ascesa della stirpe appare formalizzata solo nel 1348, quando i de Dionisiis compaiono come feudatari dell'ordinario diocesano per Caresana, all'interno del Libro dei feudi di Giovanni Fieschi (Libro delle investiture, 413). A più riprese tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Seicento essi furono coinvolti in liti con la comunità locale, legate alla gestione delle comunanze e, nel 1618, all'iscrizione di un appartenente alla stirpe nell'elenco di coloro che dovevano contribuire al pagamento della taglia locale (AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114F, Caresana [6 novembre 1618]). Secondo Casalis, Carlo Emanuele I nel 1613 avrebbe infeudato Caresana agli Avogadro di San Giorgio (Casalis 1836, p. 515). Assegnato nel 1620 da Carlo Emanuele I per metà a Giovan Francesco conte di Stroppiana e per l'altra metà a Francesco Salomone, il feudo nel 1722 fu acquistato dal Adalberto Daniele Guerra di Cherasco, il cui nipote, nel 1759, lo cedette ai Massel, originari di Pinerolo, che lo tennero sino alla fine del secolo, quando furono sostituiti dalla famiglia vercellese dei Raspa (Bussi 1975, p. 95; Guasco di Bisio 1911, p. 396).
Mutamenti di distrettuazione
Malgrado la sua posizione di confine sia con il marchesato, poi ducato, di Monferrato, sia con la Lombardia (il contado di Pavia fino al XIV secolo, poi la dominazione viscontea, quindi lo Stato di Milano), Caresana non risulta avere subito mutamenti di distrettuazione, rimanendo inquadrata tra le località del contado vercellese. La posizione di frontiera fece sì che in più occasioni, nei momenti di guerra, Caresana venisse presidiata da milizie. Nel 1321, per esempio, il villaggio, al centro di scontri tra la città, filo­viscontea, e le milizie guelfe fu fatto presidiare da consistenti guarnigioni (AC Vercelli, P, m. 8 [6, 20, 24 agosto 1321]).
Mutamenti Territoriali
Dal punto di vista dei confini, le tappe più significative nel processo di costruzione del territorio comunale risalgono al basso medioevo: la nascita di Villanova Monferrato sul finire del XII secolo, la spartizione del 1228 con i canonici di Sant'Eusebio e lo sviluppo, soprattutto nel corso del XIV secolo, di Motta dei Conti sottrassero buona parte delle vaste risorse boschive di competenza di Caresana, ubicate alla confluenza tra il Po e la Sesia. L'area di Gazzo, in particolare, che ancora nei primi decenni del Duecento era considerata come parte del territorio di Caresana, nel Quattrocento era ormai legata a quello di Motta dei Conti (ABC Vercelli, Motta dei Conti, Atti di lite diversi dal 1226 al 1566, fascicolo senza data relativo agli anni Trenta del Duecento; 20 maggio 1435). In età moderna i confini rimasero piuttosto stabili: le variazioni più significative si verificarono sul versante orientale, segnato dai frequenti cambiamenti di letto della Sesia. Un tentativo di razionalizzare la situazione di tale area avvenne tra la fine del XIX secolo e gli inizi del successivo, quando il comune di Caresana concluse una permuta con quello di Langosco. Lo scambio di territori, progettato nel 1892 e ratificato fra il 1909 e il 1910, prevedeva la cessione da parte di Caresana di una porzione di territorio sita attorno alla cascina Le Motte, che, in seguito ai mutamenti di alveo della Sesia, si era ritrovata al di là del fiume, verso Langosco. Per contro Langosco consegnò tre porzioni di territorio, ubicate al di qua della Sesia, verso Caresana: la prima includeva la cascina Guidia, in una laguna ritagliata tra la Sesia e la roggia Bona, detta Mortuzza o Sesia Nuova; la seconda e la terza erano più a sud, nei pressi della cascina Conti (o Galleria) e della regione Isolone, tra la Marcova e la Sesia, poco a nord di Motta dei Conti (ASVc, CC, m. 104).
Un'altra angolatura attraverso cui possono essere seguite le trasformazioni del territorio di Caresana è costituita dall'evoluzione del paesaggio. Nell'alto medioevo il territorio comunale era caratterizzato da vaste superfici incolte e paludose, che si estendevano su un suolo irregolare, segnato da numerosi avvallamenti e dossi disegnati dalla Sesia, di cui è rimasta ampia traccia nella toponomastica attuale (cascina Dosso, cascina Vallare). Se la creazione di una curtis "pioniera" verso la fine del IX secolo comportò una prima espansione dei coltivi, ancora fra XII e XIII secolo il territorio di Caresana era dominato dai boschi e dalle acque. La Sesia creava terreni acquitrinosi e insulari, rivestiti da prati, gerbidi e alberi. Nelle zone dove l'acqua ristagnava è documentata la presenza di salici. Per esempio, nel 1190 il «fundus vallis Gallarie erat inundatus aque et ibi erant salices»: negli ultimi decenni il terreno era però stato bonificato e gli alberi abbattuti per fare posto ai campi (Le carte dello archivio capitolare, II, pp. 247, 259). In tale periodo si intensificarono infatti le operazioni di dissodamento, talora su iniziativa spontanea, talora concordate fra il capitolo di Sant'Eusebio e la comunità (Panero 1984, pp. 135-140). Dalla metà del Trecento si diffuse in maniera consistente l'alteno o piantata, già attestato nella prima metà del secolo precedente (Carte dell'archivio arcivescovile, doc. 97-100; Biscioni, 1/III, doc. 134; ABC Vercelli, Caresana, Libro dei Consegnamenti e delle misure [1348]), con la vite talora abbinata al salice (ABC Vercelli, AP, cart. 41 [1 aprile 1348]; Notai, 266). Ancora nei catasti della metà del Cinquecento la policoltura era prevalente. Secondo tale fonte risultava assai diffusa anche la canapa, già documentata sul finire del XV secolo (AC Vercelli, Armadio 70, n. 5, consegnamenti 1551; Bussi 1985, 110, reg. 39). L'alteno non è invece attestato nei catasti della fine del XVII secolo, che non menzionano neppure la risicoltura: tale coltivazione, sino a quel momento assente, forse anche a causa dell'irregolare conformazione del territorio, si diffuse nel corso del Settecento, in ritardo rispetto ad altre aree del Vercellese (AC Vercelli, Armadio 71, Brogliazzo della misura dei beni di Caresana; per un quadro generale Bullio 1969, che tuttavia talora pare confondere Caresana con Caresanablot), grazie anche al progressivo livellamento degli avvallamenti presenti nell'area e allo sviluppo dell'irrigazione: nella seconda metà del Settecento sono documentati numerosi interventi di riordino delle canalizzazioni esistenti, con l'inalveazione del cavo Borlino e lavori sulla roggia Bona (ASVc, Intendenza di Vercelli, Serie I, Inventario dei disegni, n. 54, in data 19 agosto 1776; n. 85, in data 25 febbraio 1784. Per la prima metà dell'Ottocento sono inoltre documentate opere del capitolo di Sant'Eusebio, che fece scavare un cavo: ABC Vercelli, Caresana, Scritture diverse, Conti, parcelle, convenzioni, note, bandi campestri, decreti, stati e collazione delle parrocchie, in data 25 aprile 1837). L'introduzione del riso è documentata con sicurezza per la prima volta nel 1710. Con regie patenti del terzo decennio del secolo essa venne permessa da Carlo Emanuele in alcune aree prossime alla Sesia, lontane dai luoghi abitati e dalle strade, nelle regioni Prato Maggiore, Gerbone, Sabbioni e Cornaletto, secondo il capitolo, che ne aveva fatto domanda, altrimenti sterili (ABC Vercelli, Risaie [22 marzo 1737, 24 aprile 1738, 24 aprile 1739]). Una menzione in grado di fare retrodatare tale coltivazione, del 1635, è forse da ricondurre a Caresanablot (ABC Vercelli, Caresana, Liti per diritti di pascolo [13 marzo 1635]: si noti la coincidenza cronologica con un'analoga lite sicuramente relativa a Caresanablot conservata in ABC Vercelli, Risaie [28 giugno 1638]). La coltivazione del riso, di fatto assente nel catasto del 1741 (ASVc, CC, m. 90; si tengano presenti però le osservazioni di Bullio 1969, p. 38, sulla tendenza degli estimi a sottostimare tale presenza), si intensificò durante la seconda metà del secolo: se le patenti del 1738 consentivano la risicoltura su 238 giornate, nel 1792 la quota era salita a 600 giornate (Bussi 1937, p. 13;
Bussi 1975, p. 41; per un termine di confronto generale con la progressione del riso in questo periodo Pugliese 1926, p. 30). Essa, sviluppatasi a fatica a causa della prudenza del governo centrale, che nel 1728 aveva addirittura pensato di estirpare tale coltura dal Vercellese, delle perplessità di ampi settori delle classi dirigenti sulle ripercussioni sanitarie (Faccini 1976, Giordano 2007) e delle resistenze locali, ancora nei primi decenni dell'Ottocento rivestiva soltanto una minima parte del territorio di Caresana: nei catasti del 1809-1810 (ASVc, CC, m. 91) le risaie, per lo più di pertinenza dei grandi proprietari, come il capitolo di Vercelli, i Raspa e gli Avogadro, erano diffuse soltanto in quattro delle dieci contrade del comune (Incastrone, Valera, Borlino, della Costa) e, anche nelle aree dove erano meglio attestate, di rado superavano il 20 per cento della superficie totale, che continuava a essere dominata dagli arativi. L'ufficiale locale, in questo periodo, ricordava che «une petite partie de ce vaste territoire été cultivé à riz depuis un temps immemorial», mettendone in connessione la coltura con la scarsa produttività dei terreni (ABC Vercelli, Risaie). Attorno agli anni Venti dell'Ottocento alcune richieste al re effettuate dai grandi proprietari dell'area, in particolare il capitolo di Vercelli e i conti San Martino della Motta, rendono conto della volontà di ampliare le superfici a riso (ABC Vercelli, Risaie).
Comunanze
L'evoluzione delle comunanze di Caresana può essere descritta come una lenta quanto inesorabile "tragedia delle proprietà collettive", che condusse dall'iniziale ricchezza di beni comuni nei secoli centrali del medioevo a un collasso di tali possedimenti in età contemporanea: se fra XII e XIII secolo le comunanze costituivano superfici vastissime, capaci di sollecitare la definizione degli assetti istituzionali della comunità a loro difesa (cfr. il lemma 'Comunità, origine, funzionamento'), nel 1937 la relazione del perito incaricato dal Commissario per la Liquidazione degli Usi Civici, in base alla legge 1766 del 1927, si limitò a constatare l'assenza di forme di sfruttamento collettivo sul territorio comunale e l'esistenza di poche pezze di terreno soltanto di proprietà municipale, assegnate alcuni anni dopo, nel 1939, alle categorie A (i boschi in riva alla Sesia) e B (le risaie di titolarità municipale): lo stesso podestà del luogo, nel 1933, dichiarò, riguardo ai possedimenti comunali di Caresana, che «tranne quelli adibiti a servizi di utilità pubblica, gli altri da tempo immemorabile vennero sempre concessi in affitto e su di essi mai vennero esercitati usi civici da parte di questa popolazione» (ASVc, CC, m. 104).
Fra XII e XIII secolo, l'agire politico della comunità fu legato soprattutto alla difesa di tali beni, attraverso una lunga serie di liti, nei confronti delle usurpazioni dei proprietari locali, delle rivendicazioni degli aristocratici, dei cittadini vercellesi, dei titolari di giurisdizione in loco e dei signori e delle comunità confinanti. Nel complesso la comunità riuscì a conservare il controllo su una quantità apprezzabile di superfici incolte. Nel 1160 essa recuperò le terre occupate da Amizo de Piscina. Sulla fine dello stesso secolo imbastì un'inchiesta su tali beni che per un verso limitò l'uso dei comunia ai residenti nel villaggio, per altro pose un freno alle usurpazioni dei milites locali (Rao 2005, p. 11). Nello stesso periodo la comunità si scontrò con i comuni di Cozzo e di Candia e con i conti di Langosco per la foresta di Gazzo (Groneuer 1970, p. 98; Rao 2007, p. 64). A più riprese, nel 1187, nel 1228 e nel 1261 essa definì i suoi diritti sulle comunanze nei confronti del capitolo di Sant'Eusebio (Le carte dello archivio capitolare, II, doc. 197-199; ABC Vercelli, Statuti e patti, cart. 90 [22 aprile 1228]; Groneuer 1970, pp. 200-210).
Dall'inizio dell'età moderna possono essere seguite alcune iniziative che contribuirono a ridurre in maniera sensibile le proprietà collettive fruibili dalla comunità. Se il comune mantenne un complesso sistema di supervisione sulla gestione delle comunanze, le continue usurpazioni, le rivendicazioni dei feudatari, alcuni processi di privatizzazione, le crescenti alienazioni volte a sanare i gravosi debiti e, dalla metà del XVIII secolo, le trasformazioni del paesaggio dovute all'introduzione della risicoltura condussero da un lato alla scomparsa delle forme di godimento collettivo degli incolti e dall'altro a un fortissimo impoverimento del patrimonio comunale. Un primo significativo momento può essere individuato in una lite discussa negli anni 1498-1499 sotto i duchi di Milano tra i nobili de Dionisiis e gli uomini di Caresana. Dalla vertenza emerge che la comunità aveva venduto e diviso i pascoli a danno dei signori («homines ipsi ceperunt inter se dividere et alienare pascua et commune loci predicti in preiudicium ipsorum exponentium et ipsis exponentis non vocatis»). Secondo i feudatari la divisione aveva comportato anche l'usurpazione di terre «dominicali», in particolare alcuni campi, parte a prato, parte ad arativo, che erano stati occupati dai fratelli Pietro, Giorgio, Giacomo e Giovanni Brunelli (AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114F, Caresana [26 maggio 1498]). Il documento rende quindi conto del processo di privatizzazione avviato dalla comunità, ma anche delle rivendicazioni dei feudatari su alcune risorse collettive. Una scrittura del 1580 consente di chiarire le forme di gestione delle comunanze adottate dalla comunità. Quest'ultima lamentava che da tempo immemore, a dicembre di ogni anno, eleggeva 12 credenziari per la gestione delle cose pubbliche («il manegio delle cose pubbliche di essa communità»): sul finire del loro mandato, gli incaricati nominavano «tre persone dil populo», che a loro volta eleggevano altri 12 credenziari per l'anno venturo (AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114F, Caresana [4 giugno 1580]). L'articolato sistema pare esprimere la volontà di mantenere forme di gestione delle comunanze vicine alle istanze popolari e di prevenire le usurpazioni dei maggiorenti locali. Il medesimo documento denunciava però che da tre anni tale pratica era stata interrotta, a causa di alcune malversazioni («per lo qual tempo s'introdutto uno abuso in esso luogo»).
In effetti dagli ultimi decenni del XVI secolo sembrano intensificarsi sia le alienazioni, sia le usurpazioni, frenate a stento dalla comunità, di beni comunali. Nel 1572 i de Dionisiis della Rocca e la comunità si scontrarono in un nuovo procedimento: i Caresanesi avevano cercato di annullare la vendita di due pezze di comunanze a un cittadino di Vercelli, Giovan Tommaso Perpetuo, che poi le aveva cedute ai feudatari (AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114F, Caresana [1572]). A distanza di due anni la comunità dovette chiamare in giudizio un esponente della famiglia vercellese dei Centorio, che aveva occupato una pezza di gerbido nei pressi della Marcova da numerosi anni tenuta in affitto dalla comunità (AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114F, Caresana [6-7 novembre 1574]). Nel 1578 la collettività supplicò di rendere nullo un contratto per la vendita di una comunanza ai signori Domenico ed Eusebio fratelli di Bertolono di Caresana, avvenuta nel 1556 (27 ottobre 1578). Nel 1587 essa dovette mobilitarsi contro Giacomo Raspa di Caresana, che non pagava da tre anni l'affitto per i beni comunali, malgrado gli fosse stato richiesto (AC Vercelli, Armadio 57, Terre distrettuali, 114F, Caresana [23 aprile 1587]). I ben cinque procedimenti intentati dalla comunità nel quindicennio intercorso fra il 1572 e il 1587 evidenziano una fase di particolare impegno da parte dei Caresanesi nella tutela del loro patrimonio, ma tradiscono anche la loro crescente difficoltà a opporsi al processo di depauperamento delle proprietà collettive.
Nei secoli successivi le alienazioni e le usurpazioni non si arrestarono. Nel 1627, la comunità cedette diversi terreni di origine fluviale, gerbidi e giare, in pagamento di un debito di 350 fiorini nei confronti di Giovanni Maria Rasca, cittadino di Vercelli (ASVc, CC, m. 104); nel 1695, alcuni gerbidi furono venduti ad Agostino Cerruti (Cerruti 2007, p. 45). Nei catasti del 1697-98 tra i beni della comunità non figuravano che sette gerbidi (AC Vercelli, Armadio 71, Brogliazzo della misura dei beni di Caresana, f. 17v). Nuove vendite e usurpazioni si verificarono sul finire del Settecento, fra il 1796 e il 1797 (ASVc, CC, m. 34, 106). È verosimile che a tale data il patrimonio comunale fosse assai compromesso. Le consuetudini di pascolo sui terreni non coltivati (gli "usi civici" ricordati dal podestà locale nel 1933) dovevano però essere ancora vitali: per tutto il Settecento esse sono attestate, sia sui campi lasciati al riposo invernale, sia sugli incolti perenni ubicati per lo più in prossimità della Sesia (ABC Vercelli, Caresana, Liti per diritti di pascolo [6 aprile 1717, 20 maggio 1778, 19 agosto 1839, 31 gennaio 1840, dove sono riferiti documenti degli anni 1667, 1787, 1807]). Nei boschi e gerbidi della Sesia, in particolare, dovevano coesistere pratiche di sfruttamento comunitario da parte di più villaggi, a dispetto del tentativo di alcune comunità di esercitare diritti esclusivi su tali terreni. Nel 1770 scoppiò una lite tra Langosco da un lato e Caresana e Motta dei Conti dall'altro: il primo abitato intendeva interdire l'accesso alle superfici fluviali nei pressi del suo territorio alle due comunità, che da tempo immemore erano solite condurvi il bestiame per il pascolo (ABC Vercelli, Langosco, Atti di lite diversi [14 maggio 1770]).
Tali pratiche furono con tutta probabilità annientate dalla progressiva espansione, nel corso dell'Ottocento, della risicoltura e dall'incremento della produzione agricola sollecitato soprattutto dai grandi proprietari. Pare significativa, al riguardo, una lite fra il capitolo di Sant'Eusebio di Vercelli e la comunità avvenuta negli anni 1824-1825 e ripresa nel 1839­1841. I canonici chiesero il recesso dalla comunione di pascolo su 773 giornate di terreno di loro proprietà nei pressi della Sesia Morta. Essi motivarono la loro richiesta adducendo «il bene dell'agricoltura» e rimarcando che sarebbe rimasta intatta la possibilità del pascolo invernale comune sulle altre 2029 giornate in loro possesso (nel complesso i beni dei canonici coprivano quasi la metà della superficie totale del territorio comunale). L'istanza fu osteggiata dalla comunità, che era solita affittare i pascoli invernali a «pecorai forestieri» e che da tale perdita avrebbe ricevuto, a suo avviso, un grave depauperamento, che avrebbe avuto notevoli ripercussioni anche sull'agricoltura del villaggio. Di tale parere fu anche il giudice che emise la sentenza, secondo cui
il territorio di Caresana è capace e suscettibile di mantenere il bestiame che ivi si trova attualmente qualora venga continuato il sistema dei pascoli comuni, e che d'altronde detto numero di bestiame attuale rimane indispensabile per il lodevole ingrassamento e coltivazione dei beni di detto territorio destinati per massima parte a coltura asciutta, dietro le note proibizioni sulle risaie, di modo che egli è di tutta necessità che detti terreni destinati a coltura secca vengano come per lo addietro ingrassati coll'attuale numero di bestiame del quale se ne dovrebbe anzi promuovere la moltiplicazione.
L'uso comune sulle 773 giornate in questione era a suo giudizio tanto più necessario in quanto si era di recente interdetto il pascolo nei boschi. Del resto neppure l'uso delle acque, il cui sviluppo soltanto, con la produzione di nuovi prati, avrebbe potuto consentire un incremento del bestiame, era una soluzione praticabile dalla comunità, poiché esse spettavano quasi per intero ai canonici (ABC Vercelli, Langosco, Atti di lite diversi [19 agosto 1839, 31 gennaio 1840; 11 dicembre 1824-25 luglio 1825]). Secondo il magistrato, dunque, il mantenimento del sistema degli open fields, che permetteva un'adeguata produzione di concime, era essenziale per il buon funzionamento dell'agricoltura locale, basata su colture asciutte. Egli sottintendeva peraltro la possibilità che questa necessità venisse a mancare nel caso di un ulteriore incremento delle risaie, limitate dagli interventi legislativi.
el complesso, si deve osservare la scarsa rilevanza locale dei più significativi processi di liquidazione degli usi civici su scala nazionale: le dismissioni di età napoleonica e quelle stabilite dalla legge 1966 del 1927.
Liti Territoriali
Le liti territoriali condotte dalla comunità di Caresana si concentrano soprattutto fra XII e XIII secolo, quando la presenza della vasta foresta di Gazzo rendeva incerti i confini e i diritti di pertinenza dei signori e delle comunità dell'area. Una lunga scia di vertenze per il possesso di tale bosco contrappose la collettività del villaggio al capitolo di Sant'Eusebio. Forse già i succitati accordi del 1113 fra vescovo e homines potrebbero celare una conflittualità pregressa sul bene (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli I, pp. 82­83). La lite divenne manifesta tra il 1185 e il 1187 (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli II, pp. 167-168, 197-199) e conobbe recrudescenze fra il 1226 e il 1228 (ABC Vercelli, Statuti e patti, cart. 90 [22 aprile 1228], cart. 91 [22 febbraio 1226]) e fra il 1255 e il 1261 (Groneuer 1970, pp. 200-210). Nei primi decenni del Duecento il comune di Caresana difese le sue prerogative su Gazzo anche nei confronti dei canonici di Sant'Andrea, dei conti di Langosco e dei comuni di Cozzo e di Candia (Groneuer 1970, pp. 92-99; Zug Tucci 2000,
pp. 7-9; ABC Vercelli, Motta dei Conti, Atti di lite diversi dal 1226 al 1566, fascicolo senza data relativo agli anni Trenta del Duecento).
Dopo tale periodo il territorio di Caresana pare essere rimasto piuttosto stabile. Alcuni contenziosi avvennero nel 1562 con la comunità di Motta dei Conti per le terre delle regioni della Carpeneia e di Gazzo, incluse tra la Sesia, la Marcova e il Lamporo o Abbeveratore (ABC Vercelli, Motta dei Conti, Atti di lite diversi dal 1226 al 1566: tale regione nel Duecento faceva parte del territorio di Gazzo). Dal contenzioso emergono alcune rilevanti pratiche rituali di ricognizione del territorio messe in atto dalla comunità: l'azione possessoria, volta a imprimere nella memoria collettiva i confini del territorio del villaggio, registrava una notevole partecipazione popolare ed era orchestrata dalla chiesa locale attraverso una processione. Secondo alcuni testimoni, a memoria d'uomo, in corrispondenza con i salmi, la popolazione di Caresana («una bona parte del populo»), non solo uomini, ma anche donne («molti homini et done»), uscivano dalla chiesa parrocchiale e, proseguendo per la strada che dalla chiesa di San Giorgio si dirigeva a sud dell'abitato, in direzione di Villanova, giungevano sino alla cappella di San Cataldo. Di lì attraversavano la Marcova, spingendosi fino al limitare del territorio di Motta dei Conti: quindi, raggiunta la Sesia, risalivano verso Caresana. La spiccata valenza territoriale del rituale è denunciata dall'apposizione di cippi confinari che i bambini, incoraggiati dai preti, piantavano durante il percorso della processione («li pretti dicevan alli putti che piantassero delle croci sopra ogni cantone di campo overo di strada»). Del resto, agli uomini di Caresana, vecchi e giovani, era ben chiaro che la pratica serviva a designare il territorio del villaggio («ha sentito dire tanto dalli vechi quanto dalli giovani d'esso loco di Caresana che in ogni loco dove andavano alli detti salmi che era fine di Caresana»).
L'area del territorio di Caresana che rimase meno definita e che, per tale ragione, fu al centro di contenziosi, era ai confini con il comune di Langosco, a causa dei continui cambiamenti di corso della Sesia. Una vertenza del 1787, in particolare, riguardava i confini nei pressi della cascina Guidia. Langosco ottenne che la linea divisionale venisse posta alla metà dell'attuale corrente della Sesia, incamerando l'alveo abbandonato (ASVc, CC, m. 34). Dalla disputa emerge che il confine tra le due comunità era già stato rilevato nel 1732 e nel 1739. La carta redatta da Pietro Denisio in occasione dell'estimo del 1741 evidenzia, del resto, vaste enclaves di Caresana oltre la Sesia, in direzione di Langosco.
Altre liti con le comunità contermini non sembrano invece avere coinvolto la questione dei confini. La tregua del 1326 con Casale riguardava il libero transito degli uomini nei due comuni, l'uno sottoposto a Vercelli, l'altro ai marchesi di Monferrato (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Feudi per A e B, m. 12 [27 ottobre 1326]). Una vertenza molto più tarda, del 1902, con Pezzana era relativa al pagamento dei costi per la riparazione del ponte sulla Bona nei pressi della cascina Castelletto (ASVc, CC, m. 34).
Fonti
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Caresana, Scritture diverse, Conti, parcelle, convenzioni, note, bandi campestri, decreti, stati e collazione delle parrocchie;
Motta dei Conti, Atti di lite diversi dal 1226 al 1566; Risaie.
Camera dei Conti, II archiviazione, capo 21, m. 1; Camera dei Conti, Catasto Rabbini;
Dipartimento della Sesia, m. 121, Catasti;
Armadio 74, Consegne di bocche e grani del 1578 Armadio 57, Terre distrettuali, 114F; Pergamene (P). Acta Reginae Montis Oropae (ARMO), Biella 1945, 3 voll. IBiscioni, I/3, a cura di R. Ordano, Torino 1956 (BSSS 178).
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Descrizione Comune
Caresana
Dal punto di vista dei confini, l'area di competenza di Caresana era fino al XIV secolo assai più estesa dell'attuale territorio comunale e includeva in direzione sud le vaste aree forestali alla confluenza tra la Sesia e il Po. Le spartizioni territoriali con i canonici di Sant'Eusebio di Vercelli, lo sviluppo, fra Due e Trecento, degli abitati di Gazzo e di Motta dei Conti e la progressiva colonizzazione degli incolti da parte dei villaggi della zona contribuirono a circoscrivere la sfera di influenza della comunità all'interno dei confini odierni. Sul versante orientale la Sesia si è imposta come confine solo durante il basso medioevo. Fra IX e XII secolo il territorio si estendeva probabilmente anche sulla sponda sinistra: nell'882 Carlo il Grosso donò alla chiesa vercellese la «cortem Carixianam cum Langusco sibi adiacente»; la foresta di Gazzo, concessa dal vescovo di Vercelli alla comunità di Caresana nel 1113, in tale data confinava con le terre della comunità di Cozzo Lomellina. L'attuale delimitazione del territorio è stata condizionata dai cambiamenti di letto del fiume, verificatisi con frequenza sino alla fine dell'Ottocento.
La parabola seguita dal territorio e dalle proprietà collettive sembra coincidere con il declino della comunità: dotata di una configurazione istituzionale e sociale complessa (comune del popolo e dei milites), capace di difendere con efficacia, fra XII e XIII secolo, le sue notevoli risorse nei confronti dei villaggi contermini e di domini anche potenti, quali il capitolo di Sant'Eusebio e i conti di Langosco, appare meno dinamica nei secoli successivi, soprattutto dopo il XVII secolo, quando Caresana incontrò forti difficoltà demografiche e finanziarie. Lo sviluppo della risicoltura, a partire dal Settecento, ma soprattutto nei due secoli successivi, ha offerto una possibilità di ripresa, con un costante progresso demografico fino agli inizi del Novecento, ma anche con consistenti trasformazioni nei rapporti di lavoro.