Montaldo Scarampi

AutoriTorre, Angelo
Anno Compilazione2005
Anno RevisioneVERSIONE PROVVISORIA
Provincia
Asti.
Area storica
Astigiano.
Abitanti
688 (ISTAT 2001).
Estensione
666 (ISTAT); 681 (SITA).
Confini
In senso orario: Montegrosso, Rocca d’Arazzo, Mombercelli.
Frazioni
Forni, Sant’Antonio.
Toponimo storico
Monsaltus in MGH, O. Alfieri ecc. secoli XI e XII.
Diocesi
Asti.
Pieve
La pieve di Montaldo è presente con le chiese pertinenti, in Libro verde della chiesa d’Asti, 16.05.1153, p. 203, e 1154 cum ecclesijs (cum) ad se pertinentibus, p.207; id. 1156, p. 212; non è invece nominata in 1159 e nella conferma del 1164; è compresa in “posse civitatis ast” riferito a 1190 da Ogerio Alfieri in Aliquid de Istoria civitatis Astensis, cap.51, p. 67 (si tratta di un passo molto dubbio); tra le chiese pertinenti sono indicate nel 1345 San Giuliano di Montaldo e la chiesa di Malamorte (Belveglio) , non più nominate in seguito: Registro delle chiese, p.526.
Altre Presenze Ecclesiastiche
In Montaldo sono presenti possessi dell’Abbazia San Bartolomeo di Azzano (Carte dell’abbazia di San Bartolomeo di Azzano, p.115). A fine XVI la Visita Apostolica Peruzzi rileva la chiesa parrocchiale di san Pietro, ormai esterna all’abitato, e un oratorio dell’Annunciazione, più centrale, in cui si esercita la cura d’anime. In questo oratorio rileva la presenza di altari laterali senza tuttavia indicarli. E’ presente anche un oratorio di Disciplinanti dedicato a San Nicola, antico e in apparenza radicato. Poco meno di due secoli dopo, la Relazione dell’intendente nel 1747 rileva quattro compagnie di devozione agli altari alterali (SS. Sacramento, Carmine, Rosario e Cintura) della parrocchia ormai saldamente identificata con l’Annunciazione e non ricorda più la parrocchia di san Pietro. Accanto, una modesta popolazione clericale di 4 sacerdoti e 3 chierici, uno dei quali esercita la carica di “rettor di scuola” ma è in conflitto con la comunità (AST, Corte, Provincia d’Asti, m. 17 n. 2).
I dati settecenteschi indicano anche che la Parrocchia è attribuita per concorso episcopale, dotata di g. 60 “migliori sul territorio e immuni”. Esse sono assegnate parte dalla Comunità, parte dalla Contessa di Montaldo Scarampi. Ha un reddito di l. 500 annue con un volume di entrate incerte per l. 60. Affiancano il parroco 3 sacerdoti secolari, e tre chierici. Le compagnie del SS Sacramento, Rosario, Cintura non hanno redditi perpetui, e la sola compagnia del Carmine può vantare un censo di l. 6 annue. Più ricchi i Disciplinanti di S. Nicola, che sono dotati di l. 75 annue derivanti da capitali crediti. Senza redditi è anche la Congregazione di Carità, che tuttavia sembra avere una vita reale, poiché se ne ricorda la “colletta per sovenire quelli che per infermità non ponno uscire dal luogo”.
Assetto Insediativo
Si nota la presenza di un centro forte nonostante una ridotta dimensione numerica, che per secoli ha ignorato l’esistenza di una popolazione periferica distribuita in cascine più che in contrade (Relazione dell’intendente). Solo alla fine del Settecento (AST, Camera dei Conti, Allegato E) e soprattutto a partire dall’Ottocento questa popolazione viene nominata esplicitamente, e con il secolo successivo affiora la presenza di borgate: Forni a partire dal 1911, San Giacomo e Sant’Antonio dal 1951, che nel loro insieme ospitano il 57% degli abitanti. (Censimenti ISTAT).
Le fonti settecentesche parlano di Montaldo Scarampi come di un luogo “unito, solo alcuni fuochi (sono) dispersi” (AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, c. 21). Questa configurazione accentrata è confermata dalla Relazione dell’intendente, che parla di Montaldo Scarampi come di luogo “unito e non diviso in borgate”, circondato da colline e valli; tuttavia questa descrizione sembra corrispondere a una lettura parziale: già nel 1767, gli “abitanti dei Cassinali” sono indicati esplicitamente (AST, Camera dei Conti, Allegato E). Con la fine dell’antico regime l'immagine del luogo si complica e si frastaglia. I dati relativi alla popolazione indicano nella prima metà dell’Ottocento un notevole peso della popolazione periferica: nel 1838 sono segnalate Case 205, Famiglie 233, Popolazione 1035; nel 1848 Case 159, Famiglie.256,Popolazione 1114; nel 1881 la popolazione totale di 1607 si divide tra l’agglomerato (1020), sparsa (587) più 37 assenti.
Oggi il luogo si presenta compatto dal punto di vista della presenza di borgate, con la sola contrada “Forni” che conquista visibilità a partire dal 1911. Ma sembra innescare un processo, poiché immediatamente conquistano visibilità due contrade, San Giacomo e Sant’Antonio, segnalate a partire dal censimento del 1951. Questa nuova presenza corrisponde al minimo storico della consistenza demica del luogo.
Comunità, origine, funzionamento
Nel 1747 la Relazione dell’intendente parla di un consiglio composto di tre persone, e lo giustifica con il fatto che “si tratta di luogo infimo” (cioè molto piccolo); sono in ogni caso indicati 14 individui capaci di fungere da consiglieri. La comunità fa collettare grani per i poveri; esiste una casa del comune, con archivio.
La documentazione amministrativa centrale mostra però una presenza attiva della comunità. Nel corso del secolo XVII sono conservate proteste della comunità di Montaldo Scarampi nei confronti di Torino: nel 1618 essa richiede una “Grazia di scudi 140 di debito pregresso” risalente al sussidio del 1610, mentre al 1648 risalgono delle “proteste per alloggiamento cavalleria e successivo saccheggio e furto lingerie grani vini foraggi e bestiami”. Chiedono e ottengono la grazia di emine 36 grano per nuovo comparto dei grani, di prolungare di due anni i debiti tanto in comune quanto in particolare, visto che ci sono particolari "obbligati per servitio commune del proprio” (ottengono un anno di dilazione); la spedizione gratuita di lettere a Torino. Per quanto riguarda altre richieste, come la grazia di tutti i carichi, e, a fronte degli eccessivi gravami per il sale, il calcolo “a rata delle bocche”, la risposta è interlocutoria (AST, Camera dei Conti, Patenti Controllo Finanze: R° 33, 1618 in 19, 6 novembre1618; R° 127, 1648, 27 luglio1648).
Statuti
La comunità è in possesso (controverso) di “esazione di bandi campestri e multe” e di tagliamenti d’alberi (A.S.T., Corte, Provincia d’Asti, m. 17); anche (A.S.T., Camera dei Conti, Senato, s. II cat. 22, m. 144/2, n 65, “Interrogatori da farsi ai testi per la causa de bandi campestri”. I bandi sono della comunità e non dei signori, e si applicano tanto a beni dei particolari che a quelli dei signori ed ecclesiastici (1718).
Catasti
Segnalato, con libro di trasporti, in Relazione dell’intendente;
A.S.T, Camera dei Conti, II Archiviazione, m. 161: Registro delle notizie prese da Commissari deputati per la verificazione de contratti a corpo di beni dal 1680 al 1717 inclusivamente circa la qualità delle misure, registro de beni di caduna comunità del Piemonte, e denominazione de cantoni, membri e cassinaggi. Da questi documenti risulta una lenta assimilazione delle norme sabaude: in particolare, le misure riportate al f. 67 del giornaliere mostrano come il catasto del 1676 adotti la misura camerale, ma “nel commercio” fino al 1725 circa si valutava lo staio per tav. 12 (= st. 8 per far la giornata), in seguito tav. 12 1/2; registro a s. di d. 12 e d. di 4 quarti oppure 8 ottavi e applicazione sovra la bontà.
    
Mappe catastali attuali: vedi mappe.
Ordinati
Archivio Comunale in riordino, non accessibile al momento della redazione della scheda.
Dipendenze nel Medioevo
Nel 1190 viene compreso (implicitamente) nel “posse civitate Ast” di “ultra tangrum” che si estendeva da Masio a Neive, in O. Alfieri, Aliquid de Istoria civitatis Astensis, in Codex Astensis, c.51, p. 67; anche nel 1379 è inserito “in posse astense”, e in particolare in “ville in quibus commune ast iurisdictionem habet” (Rubrice Statutorum Civitatis Ast)1379.
Feudo
Nel 1329 Montaldo Scarampi, Vinchio e Mombercelli sono investiti dall’imperatore come feudi imperiali contro Asti ribelle (AST, Camera dei Conti, Art. 983). Ma nel 1339 esso è compreso nell’acquisto che gli Scarampi fanno di una nutrita serie di località a sud di Asti. Anzi, si può dire che di tale area Montaldo Scarampi rappresenta il vertice settentrionale e il punto più vicino alla città. (AST, Corte, Provincia di Asti, m. 17, n.8 Montaldo Scarampo). Le vicende successive riguardano divisioni e successioni, ma anche riferimenti a poteri territoriali, così come i rapporti fra signori e contadini. Ad esempio, si veda la Protesta di Oddone e Giovanni Scarampi a nome anche dei fratelli presso il delegato del Vicario Imperiale in Asti contro la vendita che Tomeno intendeva fare di 3/4 del castello e luogo di MONTALDO SCARAMPI (AST, Corte, Provincia di Asti, m. 17, n.8 Montaldo Scarampo, n.2, 14 e 28 giugno1365). Nel 1387 in ogni caso il paese è compreso nell’investitura che i Visconti fanno a favore di Antonio, Enrico vescovo di Acqui, Matteo fratelli Scarampi del quondam Oddonino di 1/4 di 3/4 (AST, Corte, Provincia di Asti, m. 17, n.8, Montaldo Scarampo, n.3, 19 settembre1387). MONTALDO SCARAMPI fa poi parte – con Mombercelli, Bubbio, Monastero e palazzo di Asti, delle aree che nel 1398 si dividono Giovanni e Antonio del quondam Bonifacio. (AST, Camera dei Conti, senato, S.II, cat. 22, m. 143) e con Mombercelli, della divisione fra Luca e Tomeno: ma compare anche come vero e proprio bene fondiario che viene scambiato: ad es. nel 1476 Pietrino Scarampi signore di Cortemilia e Montaldo Scarampi cede ad Antonio Provasio le ragioni del fu Oddino Badilo di Montaldo Scarampi (si tratta forse di un’enfiteusi: AST, Camera dei Conti, art. 595, §2/2); nel 1489, del territorio di Montaldo Scarampi sono investiti Lazzaro e fratelli con 1/8 Cairo, Vignarolo, castello e luogo di Montechiaro (AST, Camera dei Conti, art. 595, §2/2).
All’inizio del Cinquecento queste divisioni e successioni hanno già prodotto una situazione assai confusa, nella quale agisce una pluralità di aventi diritto. Nel 1515 essi stipulano convenzioni reciproche per la ripartizione dei redditi, su cui verte lite, ed è oggetto nello stesso anno di una transazione fra diversi rami dei Roero (di Revigliasco e di Montegrosso), degli Scarampi (di Vesime e del Cairo) e degli Incisa (con questi ultimi sono necessarie ulteriori convenzioni per la giurisdizioni). Nello stesso tempo continuano le divisioni: ad esempio, nel 1525 un ottavo di Montaldo Scarampi viene concesso a Giovanni Bartolomeo del quondam Tomeno insieme con la parte del quondam Oddonino in Cortemilia Saleggio e Castelletto e porzione di retrofeudo di Borrino, Denice e aderenza di 1/8 di Roccaverano come feudo nobile, gentile, antico avito e paterno, con mero e misto imperio, omnimoda giurisdizione, omaggio di fedeltà, pedaggio, forni, decima, fodro, fitti, censi, prati terre, cigne, gerbidi, boschi, pascoli, ripe, acquatici., venationi e piscationi, iuribus, iurisdicionibus, praerogativis, praeeminentiis et aliis juribus. (AST, Corte, Provincia di Asti, m. 17, n.8 Montaldo Scarampo, n.4, 1525).
Questa frammentazione (che è difficile immaginare pacifica) e le guerre d’Italia imprimono in ogni caso una svolta alla situazione, che si traduce nel 1530 nella creazione di Contado di Canelli da parte di Carlo V, in cui è compreso Montaldo Scarampi (AST, Corte, Provincia di Asti, m. 17, n.8, Montaldo Scarampo). Questa nuova “linea” della galassia Scarampi manifesta immediatamente una grande attività: ad esempio, nel 1541 si stipula una convenzione tra gli Scarampi e Montaldo per la successione di persone senza parenti. Si registrano i beni dei signori in Mombercelli. Contemporaneamente, però sorgono liti tra Incisa e Scarampi, Scarampi e Roero per Montaldo. E’segnalata una lite fra Montaldo e Mombercelli per taglie su beni di abitanti di Montaldo Scarampi in Mombercelli (AST, Camera dei Conti, senato, S.II, cat. 22, m. 143: Atti fra Comunità e comunità e tra comunità e signori (nn. 1-35)).
Sempre del 1541 è una convenzione tra Scarampi e Montaldo Scarampi sui laudemi (AST, Camera dei Conti, senato, S.II, cat. 22, m. 143). Continuano invece le tensioni tra consignori: nel 1589 si assiste a una divisione tra Scarampi del sito degli Incisa in Montaldo Scarampi (AST, Camera dei Conti, senato, S.II, cat. 22, m. 143).
Verso la fine del secolo XVI, complice certamente la nuova presenza dei Savoia nell’area astigiana, gli Scarampi cercano di affrontare il problema della frammentazione dei loro poteri signorili con l’adozione da parte di Ludovico II Scarampi del proprio nipote Ambrogio Antonio Crivelli, il figlio della figlia di Ludovico, Margherita, andata sposa ad Alessandro Crivelli, patrizio milanese. Questa adozione sarà foriera di violente divisioni. Intanto, la separazione di Montaldo Scarampi e Loazzolo dal Contado di Canelli da parte di Francesca Maria Valperga, cui si oppone Carlo Emanuele Scarampi Crivelli primogenito di Ambrogio Antonio (AST, Camera dei Conti, Patenti Piemonte, R. 27, 1602, 268-75).
Ambrogio Antonio Scarampi Crivelli cita in giudizio Amedeo Nicolao di Luigi suo fratello per recuperare Montaldo Scarampi e Loazzolo che questi tiene come erede di Francesca Maria sostenendo che si tratta membri annessi al contado di Canelli in Primogenitura concessa da Carlo V a Nicolao e Ludovico padre naturale e padre adottivo di Francesca Maria e Ambrogio Antonio. Luigi tiene il possesso a nome di Carlo, che unisce con consenso di Ambrogio Antonio tutti i beni in una primogenitura con successione aperta alle femmine. (Ibidem). A partire da questa data, l’appartenenza di Montaldo Scarampi al ducato di Savoia non sembra più messa in discussione, come testimoniano le quietanze per cavalcate (Camera dei Conti, senato, S.II, cat. 22, m. 143, 1609-92). La stessa fonte riporta nel 1622 la protesta del marchese per gravami di “molti milioni di fiorini” da parte del duca di Savoia per mancata consegna cavalcate: gli atti sarebbero andati persi nell’assedio di Canelli 1614, ma molto probabilmente sono in mano del rivale Luigi con cui vertono liti. Seguono altri atti simili di Giulio Cesare (AST, Camera dei Conti, Patenti Piemonte, 40, 183) e il Consegnamento a Carlo Emanuele I da Alessandro Scarampo di castello e beni feudali in Montaldo Scarampi, Castelletto Valle Uzzone e l’aderenza di Roccaverano. In precedenza, nel 1608, una sentenza del duca di Savoia ha definito “feudali di nuova legge” beni campestri di Alessandro, Giulio Cesare e Bartolomeo, e li ha condannati a prendere l’investitura particolare e pagare laudemio di sc. 100 (l’atto riporta l’elenco delle terre) e ha imposto la “promessa di far conoscere a SAR ‘macchinazioni’” (AST, Corte, Provincia di Asti, m. 17, n.8 Montaldo Scarampo. n.5, 4 marzo1609).
Successivamente, il feudo risulta conteso fra i diversi rami degli Scarampi del Cairo, di Canelli ecc. A questi conflitti partecipano le famiglie collegate per alleanza matrimoniale. Ne sono esempi: l’Investitura Carlo Emanuele I a Vittorio Bartolomeo Scarampo di 1/4 e 1/8 di Montaldo per la successione del padre Alessandro con aderenza per Castello ecc. di Roccaverano cui ne segue un’altra nel 1621 (AST, Corte, Provincia di Asti, m. 17, n.8 Montaldo Scarampo, n.6, 1618.i.29); il Consegnamento di Vittorio Bartolomeo Scarampi q Alessandro di beni e giurisdizione in Montaldo Scarampi. (AST, Corte, Provincia di Asti, m. 17, n.8 Montaldo Scarampo, n.7, 9 gennaio1620); nel 1650, la lite in Camera dei Conti fra Annibale Curione e il Patrimoniale di Sua Altezza, Cavalier Verdina, e Carlo Alessandro e Scipione fratelli Scarampi. I Curione pretendono 1\3 dell’eredità di Pietro Gerolamo Scarampi su Vinchio e Montaldo Scarampi (AST, Camera dei Conti, Senato, S.II, cat. 22, m. 143); nel 1658 Alessandro Scarampi presenta testimoni sul possesso del feudo di Montaldo Scarampi da parte del quondam Pietro Gerolamo del quondam Giulio Cesare senza contraddizione e abitazione in castello (AST, Camera dei Conti, Art.595, §2,m. 14/2): le prove consistono nel pagamento del laudemio per cessione di castello e ragioni feudali e allodiali di Margherita sul territorio di Montaldo Scarampi; nel 1660 verte lite fra Alessandro ed eredi del fu Vittorio Bartolomeo per la costruzione di una scala per accedere a porzione di castello; nel 1669, Montaldo Scarampi è conteso a Carlo Antonio Scarampi dai Taparelli Lagnasco e dalla contessa Busca Cacherana; nel 1679 verte lite tra Carlo Alessandro e Montaldo Scarampi per beni ceduti alla comunità da sua sorella Margherita Scarampi come erede del fu Pietro Gerolamo Scarampo e figlia del fu Giulio Cesare. Nel 1680 Carlo Antonino dona tutti i beni alla moglie Cacherana Osasca (AST, Camera dei Conti, Art. 595, §2, m. 17/2, n. 4); nel 1687 verte lite fra Carlo Alessandro e Carlo Antonino per possesso di boschi in Montaldo Scarampi, regione Vallone della sella. Da queste liti nascono discussioni e riflessi sulla natura del feudo di Montaldo Scarampi: la controversia riguarda il fatto se i feudi monferrini siano alienabili nonostante l’erezione di fedecommesso.
Nel 1733 viene dato un parere sulla natura del feudo di Montaldo Scarampi nel corso di una lite fra signori e comunità per il taglio dei boschi (v. Parte Seconda).
Il feudo viene ridotto a mani regie per 2/3 per la morte del marchese Giuseppe Maria Scarampi: non risultano redditi né fondi feudali; il castello è ridotto a poche camere per il vassallo, Alessandro Pio Cacherano Scarampi abitante ad Asti. Il restante terzo è conteso per la morte di Giuseppe Maria Scarampi fra i Della Rovere, gli Scarampi di Prunetto e altri (AST, Camera dei Conti, Art. 983: 1753: sommario della causa tra scarampi Pruney Giuseppe galeazzo, Vittorio Amedeo Costa della Trinità e Comm. Giuseppe M. Filiberto Ottavio Ponte di Scarnafigi per il feudo di Cairo e porzione di Castelletto Saleggio): Prunetto vanta pretese ereditarie su 14/32 di Montaldo Scarampi.
Mutamenti di distrettuazione
Provincia di Asti nel secolo XVIII. 
In anni recenti ha aderito alla Comunità Collinare Val Tiglione e Dintorni Unione di Comuni; Regione Agraria n. 3 - Colline del Belbo e del Tiglione.
Comunanze
In generale la documentazione contenuta nella Perequazione è opaca (AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, Capo 21, mm. 13, 65-68, 99, 101, 161). La comunità possiede beni comuni per sole g. 19.53 (1730 circa: totale secondo la misura generale); è invece ampiamente provvista di boschi comuni, come si ricava dai dati relativi ai redditi derivanti da uso comune, che ammontano a lire 119.1.6 per g. 7.46 di coltivo, e a lire 316.19.6 per g. 55.9 di alpi pascoli boschi (è la quota più alta della provincia). In ogni caso, nel Settecento, non vi sono beni comuni “venduti senza solennità”.
Mancano dati relativi ai beni enfiteutici ecclesiastici e feudali; i dati si riducono alla misura delle terre immuni g. 8.14 (2 volte Montegrosso!!!). Non ha beni infruttiferi, ma dagli atti risultano g. 0.1.6. per chiese e siti di esse.
Nel 1767 risultano proprie della Comunità g. 50, e 80 pezze in enfiteusi.
L’ambiguità di questi dati è illustrata dalla contesa fra comunità e signori nella prima metà del Settecento, grazie alla quale possiamo comprendere l’incertezza dello statuto giuridico della terra attraverso un rituale collettivo di utilizzo del bosco (v. Parte Seconda).
Liti Territoriali
Non sono numerose e sono collocate in fondi non esplicitamente dedicati alle liti territoriali: il riordino dell’Archivio comunale potrà certo portare alla luce nuovi materiali.
     Con Belveglio: nel 1540 si hanno conflitti per beni ereditari fra Belvedere (Belveglio) di beni in Montaldo Scarampi (A.S.T., Camera dei Conti, Art. 595, §18, m.1, n. 7), con l’invasione di parenti armati in casa di un erede contestato, protetto dal signore.
      Con Mombercelli: nel 1541 corre una lite fra Montaldo e Mombercelli per taglie su beni di abitanti di Montaldo Scarampi situati in Mombercelli (AST, Camera dei Conti, senato, S.II, cat. 22, m. 143: Atti fra Comunità e com. e tra com. e signori (nn. 1-35); nel 1631 si addiviene a una transazione tra Montaldo Scarampi e Mombercelli per taglie (A.S.T., Camera dei Conti, Senato, S.II, cat. 22, m. 143, n. 34).
     Con Rocca d’Arazzo: nel 1674 sono redatti “testimoniali di visita sovra le novità fatte da quelli della Rocha d’Arazzo sovra le fini di Montaldo Scarampo, et in un sito controverso tra le comunità dei suddetti luoghi in una pezza di terra propria delli eredi Gonella nella regione detta alla Simia vicina alla strada detta la strada franca comune tra essi due luoghi (A.S.T., Camera dei Conti, art. 475).
Fonti
Il libro verde della chiesa d’Asti, a cura di G. Assandria, Pinerolo 1904-1907 (BSSS 25-26), docc. 315-17, pp. 202-215.
Rubrice Statutorum Civitatis Ast per F. Garonum de Liburno, Asti, 1534, capo 44, p. 59.
Relazione dell’intendente
A.S.T. (Archivio di Stato di Torino).
A.S.T., Camera dei Conti: art. 475;
Patenti Piemonte, , R. 27, 1602, 268-75
Senato, s. II, Cat. 22, Scarampi del Cairo (in part. m. 141, Miscellanea di scritture tanto relativamente alla famiglia Scarampi, che ai suoi redditi sopra li feudi di Cairo - Bubbio - Montaldo Scarampi - Roccaverano - Vinchio - Canelli - Loazzolo - Denice - Montechiaro – Mombercelli);
Mappe, Allegato C, 1764, mancante dal 1982; Allegato A-B, francese, nn. 108b e 131, mappa parcellare a colori; Allegato reg. E, 1767, n. 78; G, francese, verbali proprietari regg. 271-484.
A.S.T., Corte, Archivi comunali piemontesi, n. 298, 1773;
Paesi, in genere, m. 13;
Provincia d’Asti, m. 17;
Paesi per A e B, M, m. 25.
Bibliografia
Carlo Casto, Il mio borgo natio Montaldo Scarampi, - [S.l. : s.n.], stampa 2005 (Castell'Alfero : Espansione grafica)Angelo Torre, Il bosco della rama: rituali e forme di possesso nel Monferrato, in Comunità e questioni di confini in Italia settentrionale (XVI-XIX sec.), a cura di M. Ambrosoli e F. Bianco, Franco Angeli, Milano 2007;
Angelo Torre, Le terre degli Scarampi in Tra Belbo e Bormida, a cura di E. Ragusa e A.Torre, Asti, Provincia di Asti, 2003.
Descrizione Comune
Montaldo Scarampi
     Il piccolo borgo di Montaldo.Scarampi. ha un territorio stabile – peculiare nella regione piemontese -, compreso tra le comunità di: Montegrosso, Mombercelli e Rocca d’Arazzo (Relazione dell’intendente), che a metà Settecento è definito come una successione di “Colli erti e valli strette” (AST, Corte, Provincia d'Asti, m. 1, n.1, stato del personale, beni e bestiami). A questa conformazione del luogo corrisponde un insediamento concentrato, al quale fanno da contrappunto numerose cascine sparse sul territorio, che le fonti di antico regime tardano a riconoscere. Ancora a metà ‘700 il luogo è definito “unito, solo alcuni fuochi (sono) dispersi” (AST, Camera dei Conti, II Archiviazione, c. 21). Questa configurazione monocentrica è confermata dalla Relazione dell’ intendente, che parla di M.S. come di luogo “unito e non diviso in borgate”, circondato da colline e valli. Tuttavia questa descrizione sembra corrispondere a una lettura parziale: già nel 1767, gli abitanti dei “Cassinali” sono indicati esplicitamente (Allegato E). Con la fine dell’antico regime l'immagine del luogo si complica e si frastaglia. I dati relativi alla popolazione indicano nella prima metà dell’Ottocento un notevole peso della popolazione periferica: 1839 case 205, Famiglie 233, Popolaizone 1035(1838); (1848) C.159,F.256,P.1114; (1881) aggl.1020, sparsa 587, tot.1607, + 37 assenti (V. Assetto insediativo).
Oggi il luogo si presenta ancora accentrato, con una sola contrada, Forni, che conquista visibilità a partire dal 1911. LA comparsa sembra delineare un processo, poiché immediatamente due altre contrade, San Giacomo e Sant’Antonio, già segnalate nel censimento del 1951, conquistano diritto di nominazione. Oggi, secondo il sito web dell’ANCI, sono da segnalare parecchie borgate: oltre le tre già nominate, Orto, Croce, FornaceNave (http://www.guidacomuni.it).
Questa nuova presenza corrisponde tuttavia all’indebolirsi della consistenza demica di M.S. Si tratta di una curva dall’andamento molto netto. I 1383 abitanti del 1861 crescono fino ai 1914 del 1911, ma con la Prima Guerra Mondiale sembra profilarsi un declino inarrestabile (1921: 1752; 1931: 1578; 1936: 1483; 1951: 1270, fino ai 605 del 1991).
Prima di questo assetto pur debolmente frammentato, la popolazione era distribuita in prevalenza nel centro, e solo il 25% risiedeva fuori dal concentrico.
Questa parte dispersa della popolazione sembra dotata di una grande vitalità: intanto, è dai suoi movimenti che dipendono gli andamenti demici: nel Settecento i dati relativi alla popolazione forniti dagli intendenti, indicano di solito nello “spostamento di massari” le cause di variazione della popolazione (Stato della popolazione).
La distribuzione degli edifici ecclesiastici sembra confermare questo assetto dell’insediamento: la parrocchia di San Pietro in Visita Peruzzi nel 1585, risulta essere una chiesa campestre in cui non si esercita la cura. Questa si esercita nella chiesa dell’Annunciazione “intra terram”, una chiesa abbastanza grande, poiché contiene altri altari di cui la visita del 1585 non indica il nome, (c. 323r); esiste già un oratorio dei disciplinati dedicato a San Nicola con “immagini antiche” da cancellare. L’oratorio è sede di cerimonie pasquali ma senza banchetto. Tutti questi dati sembrano indicare una certa presa del borgo centrale. Questa sembra destinata a crescere, poiché a metà Settecento, la Relazione dell’intendente segnala, indizio di una vita rituale del piccolo borgo, una discreta presenza clericale: curato, 4 sacerdoti e 3 chierici (uno di questi, don Doglio, è in lite con il comune in quanto rettore di scuola) (AST, Corte, Provincia d’Asti, m. 17 n. 2); ma soprattutto, una parrocchia che ospita ben quattro associazioni devozionali, le compagnie del SS. Sacramento, Carmine, Rosario e Cintura, oltre ai Disciplinati. I dati settecenteschi indicano anche che la Parrocchia è attribuita per concorso episcopale, dotata di g. 60 “migliori sul territorio e immuni”. Esse sono assegnate parte dalla Comunità, parte dalla Contessa di M.S. Ha un reddito di l. 500 annue con un volume di entrate incerte per l. 60. Affiancano il parroco 3 sacerdoti secolari, e tre chierici. Le compagnie del SS. Sacramento, Rosario, Cintura non hanno redditi perpetui, e la sola compagnia del Carmine può vantare un censo di l. 6 annue. Più ricchi i Disciplinanti di San Nicola, che sono dotati di l. 75 annue derivanti da capitali crediti. A testimonianza di una vitalità del borgo, va segnalata anche una Congregazione di Carità, priva di rendite, ma capace tuttavia di provvedere ai poveri con una collettazione nel luogo, e con aiuti della Comunità, che secondo l’intendente raccoglie e distribuisce grano “per sovvenire quelli che per infermità non ponno uscire dal luogo”, cioè non sono in grado di recarsi a lavorare in Lomellina (Relazione dell’intendente).
In sintesi, un borgo piccolo ma capace di controllare fino a inizio Novecento un territorio boscoso punteggiato di cascine abitate da massari mobili: il controllo sembra essersi esercitato attraverso la concentrazione delle devozioni e delle pur modeste attività caritative nella località principale. Questa capacità si accompagna tuttavia a una mobilità della popolazione indigente, che va ricondotta all’insufficienza della produzione cerealicola dovuta forse alla natura boscosa. Tuttavia, il controllo del borgo centrale non va pensato come una condizione data e senza contraddizioni, poiché intorno ad esso si può individuare una serie di tensioni che investono la natura dei rapporti giuridici tra gli abitanti e i poteri locali e centrali.
Se guardiamo alle caratteristiche produttive, descritte con una certa precisione dalla documentazione amministrativa sabauda del Settecento, abbiamo un immediato riscontro di quanto appena detto. In relazione alla “coltura dei beni”, lo “stato del personale, beni e bestiami” a fine anni cinquanta del 700 definisce infatti Montaldo Scarampi nel 1747 “ben coltivato e fruttifero per vigne, scarso di prati e pascoli”, mentre fornisce dati quantitativi per il 1744: cochetti rubbi 397, fieno 170, formento 700, barbariato 602, meliga e marsaschi 720, canapa e lino 120, vino 480, noci pomi per l. 150, bestie bovine con nascite 84. Il tutto in relazione a 788 anime, giornate 1600 di cui 400 di campi, 900 di vigne, 9 di prati, 160 di boschi, 50 di gerbidi. Dati analoghi riporta la relazione del 1750, che aggiunge alcune caratteristiche relative alle attività integrative della popolazione locale, che si dedica a lavoro giornaliero in Lomellina per il raccolto del riso, che viene pagato in natura, e per il raccolto dei grani in Alessandria. L’intendente non ritiene possibile l’avvio di alcuna manifattura, pur in presenza di un piccolo notabilato e di alcuni personaggi facoltosi oltre i Cacherano e altri signori: “Maggiori registranti: Cacherano Scarampi, attori in lite, Giovanni Francino, Giovanni Doglio, Secondo Gianoglio, Guglielmino Gianoglio, messer Valerio Chiaretto, Bartolomeo Gianoglio, Alberto Barbero, Ercole Sartoris, Bartolomeo Rodani, notaio Nicola Scarampi, Vincenzo Gallo, Stefano Chiaretto, Francesco Maria Biglino, Domenico Grasso, di cui risultano “pecuniosi” messer Alberto Barbero, Antonio Francino a doppie 100 caduno”. Accanto a queste notazioni statiche, la relazione dell’intendente del 1750 segnala infatti “grano insufficiente”, cui si “supplisce con esito di vino per carra 110 a Torino”.
Questa destinazione dell’eccedenza vinicola, necessaria per equilibrare il circuito grano-vino, non è in contraddizione con la prossimità del mercato astigiano: a proposito del quale, sono ricordati parecchi momenti di tensione, legati alla volontà dei montaldesi di sottrarsi al pagamento dei dazi d’ingresso e di uscita delle merci dal vicino capoluogo: nel 1611, una sentenza della Camera dei Conti di Torino concedeva l’esenzione a Montaldo Scarampi dai daciti di Asti (AST, Camera dei Conti, Senato, s.II, Cat. 22, m. 143), ma si trattava di una soluzione temporanea e contestata, poiché i registri delle Sessioni camerali segnalano nel 1696 Conflitti sui transiti con Asti: la comunità è condannata a pagare dazi “pretesi dalla città per le merci che s’introducono in essa da particolari di detto luogo e vengono estratti dalla medesima”; successivamente si avranno incarcerazioni di alcuni abitanti per “violenze fatte al daziere d’Asti per vino che aveva in condotta” (AST, Camera dei Conti, Art. 618, Sessioni camerali, 1696); il conflitto con il patrimoniale della Camera dei Conti riaffiora nel 1717, quando Montaldo Scarampi cerca di far dichiarare “non esser li particolari obbligati a concorrer al pagamento di dacito e pedaggio” (AST, Corte, Provincia d’Asti, m. 17 n. 2). Certamente, l’economia di Montaldo Scarampi non si esaurisce nella prospettiva cerealicola degli intendenti sabaudi, e una serie di indizi ci parla di altre attività, che le fonti torinesi tacciono (esse si limitano a parlare di “Difetto di commercio” nel luogo (Relazione dell’intendente)). Per esempio, gli archivi dei signori di Montaldo Scarampi, gli Scarampi, parlano di relazioni con Genova (che per gli intendenti piemontesi si rispecchiano solo nella preoccupazione di rilevare la distanza di Montaldo da Genova, altrimenti incomprensibile), di attività di contrabbando, e di strade franche nelle comunicazioni con la vicina Rocca d’Arazzo (v. Liti territoriali). Intanto, gli stessi signori gestivano una notevole attività commerciale con Genova (canapa e seta: Torre 1993), e ancora in pieno Settecento, malgrado l’incorporazione nel regno di Sardegna di quasi tutti i loro feudi, i libri mastri segnalano la presenza nutrita di debitori, alcuni dei quali (due Barbero e un Averardo) sono legati a Genova e saldano in Savona (AST, Camera dei Conti, Senato, m. 144: Libro mastro della casa del Signor Marchese Giuseppe Scarampi del Cairo (1734-1746)): 33 debitori comprese le comunità di Vinchio, Montaldo, Roccaverano). Non va infine dimenticata la presenza ebraica, attestata a Montaldo Scarampi ancora a inizio XVII, quando il luogo era sede di un banco ebraico (AST, Camera dei Conti, Art. 595, §9, m.1/1, nn. 2 e 6).
Del resto, uno sguardo alla presenza e alla natura dei poteri signorili in Montaldo Scarampi è decisivo per chiarire questa compresenza di controllo del concentrico sul territorio periferico, caratteristiche delle aziende produttive e presenza di pur sporadiche attività commerciali messe in ombra dall’ideologia cerealicola degli intendenti. Questo sguardo consente di individuare e di capire le tensioni più profonde che attraversano il territorio di Montaldo Scarampi, e in particolare le aree periferiche in apparenza controllate dal borgo centrale e dai signori che vi risiedono.
Per analizzare questo aspetto, è necessario analizzare la natura del potere signorile sul feudo di Montaldo Scarampi. L’archivio familiare superstite, insieme con gli archivi di Camera, chiarisce alcuni di questi aspetti. In sintesi, le carte di famiglia mostrano un’incertezza costitutiva del possesso di Montaldo Scarampi da parte del potere signorile, le cui contraddizioni vengono alla luce nel corso del processo di costruzione dello stato sabaudo nella prima metà del Settecento.
Vediamo ciascuno di questi aspetti:
Il potere degli Scarampi, intanto, ha una natura incerta. Non nel senso che essi non possiedano legittimamente i luoghi, ma nel senso che il possesso avviene secondo modalità contrattuali, che ai nostri occhi possono apparire limitative. La negoziazione è continua, e investe innanzitutto i rapporti all’interno della galassia signorile.
Le vicende feudali di M.S. sono tra le più intricate, e anche per una ricostruzione sommaria non sono sufficienti i fondi canonici (AST, Camera dei conti, Indice dei feudi, oppure Corte, Paesi). E’ per questo necessario ricorrere a ciò che resta degli archivi di famiglia e ai fondi camerali.
Inizialmente (1329) feudo imperiale, dal 1339 è compreso nell’acquisto che gli Scarampi fanno di una nutrita serie di località a sud di Asti. Anzi, si può dire che di tale area Montaldo Scarampi rappresenta il vertice settentrionale e il punto più vicino alla città. Dopo una parentesi viscontea, attestata nel 1387, Montaldo Scarampi resta legato alla galassia Scarampi, anche se in modo tutt’altro che lineare. Tali vicende riguardano divisioni e successioni, ma anche riferimenti a poteri territoriali, così come i rapporti fra signori e contadini.
In seguito, Montaldo Scarampi resterà compreso, sia pure in modo non lineare, nelle vicende che contraddistingueranno i feudi Scarampi. All’inizio del Cinquecento queste divisioni e successioni hanno già prodotto una situazione assai confusa, nella quale agisce una pluralità di aventi diritto. Nel 1515 essi stipulano convenzioni reciproche per la ripartizione dei redditi, su cui verte lite, ed è oggetto nello stesso hanno di una transazione fra diversi rami dei Roero (Revigliasco e Montegrosso), degli Scarampi (Vesime e Cairo) e degli Incisa (con questi ultimi, ulteriori convenzioni per la giurisdizioni sono necessarie).
Questa frammentazione (che è difficile immaginare pacifica) e le guerre d’Italia imprimono in ogni caso una svolta alla situazione, che si traduce nel 1530 nella creazione di Contado di Canelli da parte di Carlo V, in cui è compreso Montaldo Scarampi (AST, Corte, Provincia di Asti, m. 17, n.8, Montaldo Scarampo). Questa nuova “linea” della galassia Scarampi manifesta immediatamente una grande attività.
Verso la fine del secolo XVI, complice certamente la nuova presenza dei Savoia nell’area astigiana, gli Scarampi cercano di affrontare il problema della frammentazione dei loro poteri signorili con l’adozione da parte di Ludovico II Scarampi del proprio nipote Ambrogio Antonio Crivelli, il figlio della figlia di Ludovico, Margherita, andata sposa ad Alessandro Crivelli, patrizio milanese. Questa adozione sarà foriera di violente divisioni.
Intanto, la separazione di Montaldo Scarampi e Loazzolo dal Contado di Canelli da parte di Francesca Maria Valperga, cui si oppone Carlo Emanuele Scarampi Crivelli di Ambrogio Antonio primogenito (1602: Patenti Piemonte, R. 27, 1602, 268-75).
Ambrogio Antonio Scarampi Crivelli cita in giudizio Amedeo Nicolao di Luigi suo fratello per recuperare Montaldo Scarampi e Loazzolo che questi tiene come erede di Francesca Maria perché erano membri annessi al contado di Canelli nella Primogenitura concessa da Carlo V a Nicolao e Ludovico padre naturale e padre adottivo di Francesca Maria e Ambrogio Antonio. Luigi tiene il possesso a nome di Carlo, che unisce con consenso di Ambrogio Antonio tutti i beni in una primogenitura con successione aperta alle femmine. (AST, Camera dei Conti, Patenti Piemonte, R. 27, 1602, 268-75).
A partire da questa data, l’appartenenza di Montaldo Scarampi al ducato di Savoia non sembra più messa in discussione, come testimoniano le quietanze per cavalcate (AST, Camera dei Conti, senato, S.II, cat. 22, m. 143: 1609-92, ma anche nel 1622 con una protesta del marchese per gravami di “molti milioni di fiorini” da parte del duca di Savoia per mancata consegna delle cavalcate (gli atti sarebbero andati persi nell’assedio di Canelli 1614, ma molto probabilmente sono in mano del rivale Luigi con cui vertono liti) (seguono altri atti simili di Giulio Cesare, in AST, Camera dei Conti, Patenti Piemonte, 40, 183).
Ma il feudo risulta conteso fra i diversi rami degli Scarampi del Cairo, di Canelli ecc. A questi conflitti partecipano le famiglie collegate per alleanza matrimoniale.
Da queste liti nascono discussioni e riflessi sulla natura del feudo di Montaldo Scarampi: La controversia è se i feudi monferrini sono alienabili nonostante l’erezione di fedecommesso.
Questa incertezza del possesso del feudo, probabilmente, è all’origine della incertezza dello statuto giuridico della terra che si manifesta in tensioni rituali fra una parte della comunità di Montaldo Scarampi e i signori. Queste esplodono nella prima metà del secolo XVIII a proposito della “Rama”, la raccolta collettiva di legna durante la festa dell’Ascensione e del Corpus Domini (V. COMUNANZE).
Questo episodio, che è stato oggetto di una lettura densa, permette di capire la centralità dei boschi non solo nell’economia locale, ma anche nella configurazione del potere. Essi sono oggetto di contrattazioni di vario genere. Intanto, sono gestiti attraverso contratti enfiteutici, che fino alla fine del secolo XVII sono regolati in natura: le enfiteusi per i boschi di Morsigliana, Valle della Sella o sia Ronco, Barlicorona, Gerbo o Peschera, si pagano in moneta solo da una ventina d’anni, ma negli anni trenta del 700 vengono dichiarati allodiali e la gente recede dai contratti d’affitto perpetuo (esempi in AST, Corte, Paesi, M, 25, n.21, 1711). Questo processo assume nella località di Montaldo Scarampi una valenza cruciale. La definizione dello statuto giuridico della terra, e in particolare la distinzione fra “feudale” (di nuova o di antica natura) e “allodiale”, implica una importante ridefinizione della configurazione dell’insediamento e dei poteri locali. Questa ridefinizione genera tensioni sociali.
I signori vantano un possesso di tipo feudale, cioè immune da carichi (1713 – attestazioni giudiziali di particolari di Montaldo Scarampi a favore di Vittorio di Carlo Alessandro di non aver mai posseduto beni allodiali e mai concorso nei carichi (AST, Camera dei Conti, Senato, S. II, Scarampi del Cairo, m. 144, n.51; nel 1713 si assiste a una lite fra la comunità e Carlo Alessandro, con interrogatori del 1717). I signori se lo fanno dichiarare a più riprese (ad esempio nel 1679 ci prova Carlo Alessandro con una transazione con particolari del luogo con cui ha lite (AST, Camera dei Conti, Senato, S. II, Scarampi del Cairo,m. 144/II, n. 46). Pochi anni dopo veniamo a sapere che si tratta di un possesso conteso fra i diversi rami (, ivi, n. 47: 1687, controversie sui boschi tra Carlo Alessandro e agente Carlo Antonino.
La contropartita di questo statuto privilegiato dei signori è esito di una contrattazione con i contadini, che vantano a loro volta diritti d’uso dei boschi: li riaffermano con una serie di rituali di taglio collettivo e notturno del bosco, che si concentra nell’Ascensione e nel Corpus Domini e si dirige verso il taglio di “broppe” – pali da vigna – e tra 1713 e 1733 dà vita a una contesa sociale e giuridica. Gli uomini di Montaldo Scarampi, attraverso la “Badìa della gioventù” – un’associazione giovanile che in Piemonte si è conquistata poteri giurisdizionali – e la compagnia del SS. Sacramento – emanazione del consiglio municipale. Fin dal 1718 esistono contestazioni da parte della comunità per le contravvenzioni signorili, mentre i signori e gli ecclesiastici contestano l’applicabilità dei bandi campestri ai propri beni (ivi, n. 65), ma il Senato di Torino ha riconosciuto i diritti della comunità sui boschi. Dopo qualche anno la lite riprende e si chiariscono i motivi della contesa: signori possiedono boschi su cui la comunità avanza pretese; i signori sostengono di coltivare vigne e campi, fare cioè “esercizi di padronanza”; in un primo tempo si dice che ciò deriva dal fatto che i boschi sono feudali e la feudalità deve essere esclusa dal dominio del suddito; inoltre si adducono a pretesto i danni che derivano dalla modalità “ineguale” di taglio dei boschi da parte della comunità: vi partecipano dei forestieri, che la sentenza senatoria ha proibito; si compiono diverse spedizioni, si asporta legname dai fondi dei particolari e lo si conduce verso fondi di particolari; i signori temono che il “popolo” vada tumultuosamente e “non resta possibile contenerli senza grande dispendio di truppe”; inoltre i boschi sono ripartiti in piccole porzioni, e i partecipanti si accaniscono su alcune, a causa di opportuni atti di giustizia di uno dei signori; i particolari si recano nei boschi “di notte in un sol corpo” suscitando timori di congiura; infine i boschi sono scarsi al punto che vi è mancanza di “legna da far foco”; la perdita danneggia il principe; i parroci hanno sempre stigmatizzato il rituale della Rama; il possesso della comunità non è comprovabile, non procura alcun utile, “tutto che dicasi per la chiesa”.
Il dibattimento e le memorie degli avvocati chiariscono tuttavia la sostanza della contesa: Luigi e Giuseppe, succeduti a Carlo Alessandro, e Giovanni Cacherano, erede di Carlo Antonino Scarampi, tengono i boschi indivisi, come è provato da atti di possesso quali il taglio totale, il cambio di colture, l’affitto a terzi; i boschi sono feudali, immuni dal 1609, ma la comunità lo contesta. La Perequazione ha introdotto cambiamenti di rilievo: “tutti questi beni sono ora divenuti allodiali”; si è iniziato il pagamento dell’imposta all’esattore Cavedio. Il fatto che i boschi siano ormai dei signori (allodiali) ha importanti conseguenze: secondo i signori “non compete a nessuno di appropriarsene il taglio e trasporto”; di fronte alla rivendicazione del possesso da parte della Comunità i signori affermano che l’immemorabile possesso da parte della comunità non è provato; il cerimoniale di comunità in corpo intiero, dovrebbe aver jus lucrativo o oneroso da parte degli antecessori (il che manca). I signori invece sono in grado di provare con testimonianze che il taglio danneggia i boschi in quanto “fatto da figlioli e gente non pratica, tumultuosamente da tutti”; la stagione della Rama non è propizia al taglio “in qual stagione essendo le piante in umore con tagliarli in tal tempo si devasta il ceppo”; il taglio indefinito e indistinito in tutti i boschi “col sfiorare (scalvare) le più belle piante si devastano li virgulti attigui con distruzione di tutti i boschi”; si tratta di un danno inollerabile perché i signori possiedono 12 ½ gg. cad. e vanno a comprare legno fuori dalla com; taglio con uomini uniti in truppa e tumulto di notte armati di armi da taglio e anche da foco; pericolo per ufficiali. In sostanza, l’opposizione dei signori si basa sulla convinzione del fatto che “si come d. boschi da feudali di nuova legge esser divenuti allodiali per R. Editto per quali devono pagare, e pagano i possessori, onde con il sud. Taglio o sij devastatione ne resta intollerabile ed insofribile il pagamento; si aggiungono “continui devastamenti per il pascolo di Bestiami e persone che continuamente ne vanno rubare per far foco per esser attigui alle fini di Mombercelli e Rocha d’Arazzo feudi imperiali che in quelli boschi gli vanno armati con armi da foco il che da sud. Signori non si pol impedire per le spese gravi li vorrebbero a mantener uomini armati per ovviarli; taglio precario, perciò lecitamente negato.
In sintesi, i “Signori pagano le taglie, non è ragionevole che li Proprietari concorino al pagamento de carichi, e non possino ricavar tutti li frutti”.
L’esito della contesa è da identificare in una serie di cause successive dei signori contro la comunità: per il fodro (1732), per abuso di forni privati a scapito di quelli signorili (1733), ecc. Ma nuove liti tra i signori per la successione del marchese Antonio Maria di Mioglia (linea Cairo) riaprono le ostilità fra i signori, che verranno chiuse nel 1753 con il passaggio di Montaldo Scarampi ai Costa della trinità e ai Ponte di Scarnafigi, e poi all’incameramento del feudo da parte della corona.
In sostanza, la compattezza territoriale della comunità di Montaldo Scarampi nasconde una indeterminatezza della natura giuridica della terra che rende possibili usi molteplici delle risorse attraverso pratiche rituali e atti di possesso che entrano a pieno titolo nelle negoziazioni sociali.
In questa configurazione, il rapporto fra comunità e stato assume una connotazione particolarmente rilevante. La comunità infatti appare attiva nel suo rapporto con l’autorità centrale, e sembra orientata a piegare a proprio vantaggio la presenza dello stato nella sua relazione con i signori.
La documentazione amministrativa centrale mostra una presenza attiva della comunità. Nel corso del secolo XVII sono conservate proteste della comunità nei confronti del centro: nel 1618 essa richiede una Grazia di scudi 140 di debito pregresso risalente al sussidio del 1610, mentre a trent’anni dopo risalgono delle “proteste per alloggiamento cavalleria e successivo saccheggio e furto lingerie grani vini foraggi e bestiami” Chiedono e ottengono la grazia di emine 36 grano per nuovo comparto dei grani, di prolungare di due anni i debiti tanto in comune quanto in particolare, visto che ci sono particolari "obbligati per servitio commune del proprio” (ottengono 1 anno di dilazione); la spedizione gratuita di lettere a Torino. Per quanto riguarda altre richieste, come la grazia di tutti i carichi, e, a fronte degli eccessivi gravami per il sale, il calcolo “a rata delle bocche”, la risposta è interlocutoria (AST, Camera dei Conti, Patenti Controllo Finanze: R° 33, 1618 in 19, 6 novembre1618; .R° 127, 1648, 27 luglio1648).
La definizione del territorio comunale sembra piuttosto precoce: i conflitti con Canelli non riaffiorano dopo che nel 1527 vengono lanciate accuse di “opere diaboliche, violenze e venefici, untore in occasione di peste” nei confronti di un Maissano de Rasgio di Montaldo Scarampi (AST, Camera dei Conti, art. 595, § 19, m. 1, n. 1); il “pagamento vita natural durante delle taglie” viene ricordato nel 1629 come premio dell’omicidio offerto dal mandante al sicario, e l’acquisto all’incanto di beni - tipico in caso di debiti di natura fiscale – espone l’acquirente alla minaccia di omicidio da parte del debitore (AST, Camera dei Conti,art. 595, § 19, m. 1, n.25).
I conflitti con Rocca d’Arazzo, nel 1674, vertono intorno alla strada franca, ma anche intorno ai boschi.